La crisi dell’euro tra politica e mercati

Parliamo della crisi in cui ci troviamo. Chi e come è in crisi? Il titolo dell’incontro fa riferimento a questa ipotesi d’interpretazione: politica e mercati. I mercati in questa fase sono giudici. Il progetto dell’euro è tutto politico, è la decisione che hanno preso nel 1992 con un apposito Trattato una serie di Paesi di dar vita a un’unione indissolubile, come per noi cattolici è il matrimonio, cioè una cosa che devi fare molto seriamente perché poi non puoi pentirti e cambiare moglie o marito. E in effetti, qualcuno diceva tre anni fa, all’inizio di questa crisi: la moneta unica è indissolubile, non c’è nessuna norma nel Trattato che dica come uno può uscire. Perché, se ci pensate bene, la sovranità monetaria condivisa è un sogno, se lo sbagli diventa un incubo, ma non è una cosa banale su cui puoi, come con le porte girevoli degli alberghi, uscire e rientrare. Qualcuno ha proposto che la Grecia torni alla dracma, ci stia tre mesi, la svaluti e poi rientri. Quasi che uno possa scherzare con la sovranità che la moneta rappresenta. Come dire, facciamo la guerra e poi a metà facciamo la pace per un giorno, e andiamo a cena assieme. Queste cose nella storia non sono mai successe. Attenzione, nella storia quand’è che i soldi servivano veramente? Quando dovevi alla fine della battaglia separare i cadaveri, perché in tasca i soldati avevano i soldi del loro sovrano e sui soldi ci si metteva la faccia del re. La storia ci ricorda che la moneta non è una cosa banale, è il sovrano che la dà ai sudditi da usare a suo nome, e se vi ricordate nel Vangelo quando portano le monete a Gesù, lui dice: date i soldi a Cesare, perché c’era Cesare sulle monete in Palestina duemila anni fa. Allora, la moneta è una cosa seria e non si può scherzare, perché se il mercato che facciamo con quella moneta è buono metti insieme il meglio di ogni Paese, e questo è il sogno. Pensate, siamo trecentotrentuno milioni di persone che hanno in tasca le stesse monete e grazie a questa moneta, se la cosa funziona bene, condividiamo il meglio di ogni Paese. Il meglio dell’Italia più il meglio della Francia più il meglio della Germania più il meglio della Spagna: siamo i primi al mondo. Non c’è altra area al mondo dove il meglio di questi duemila anni, selezionati in ciascun Paese dalle loro storie, è messo in comune fra tutti. Non c’è nessun altro Paese dove si viva così bene, dove si mangi così bene, dove le automobili funzionino così bene – quelle tedesche, ovviamente – e così via. Se voi selezionate il meglio di ogni Paese è il Paradiso Terrestre. Quando, invece, la sbagliamo e viene fuori il peggio di ogni Paese, siamo dovuti scappare in America, è successo nel secolo scorso che il peggio di ogni Paese ha governato per un po’ l’Europa e chi poteva scappava in America o altrove. Quindi, questa è un’Europa pericolosissima oppure bellissima solo se le regole funzionano.
Per farla breve, nel 1992 firmiamo un Trattato che dice: chi rispetta certe condizioni, e a rivederle adesso c’è da dire che le condizioni erano deboli, in altre parole presi dall’entusiasmo abbiamo detto che si poteva entrare facilmente, che bastava lavarsi le mani e ti potevi sposare con quella donna che non avevi condiviso mai intellettualmente o nella passione del desiderio. E’ un po’ strano sposarsi per sbaglio, perché poi se l’unione è indissolubile è meglio pensarci bene. E non avevamo nemmeno fatto bene un ragionamento sui figli che volevamo fare che, di nuovo per i cattolici, è uno degli scopi importanti del matrimonio, cioè come sarebbe venuta su l’Europa successiva. Pensate al vecchio sogno di avere università dove s’iscrivono tutti quelli dell’Europa: fare un’università europea; o un esercito europeo, per cui o ci difendiamo assieme o non ci difendiamo più. Il grosso delle nostre caserme è ancora contro l’Austria: quella è una guerra che non possiamo fare, abbiamo la stessa moneta, le guerre che si fanno avendo la stessa moneta si chiamano “guerre civili”. Ma il problema serio da un punto di vista economico è andare a vedere il progetto dell’euro e vedere cosa abbiamo fatto in questi anni, perché la casa comune si è crepata e ci piove dentro. Attenzione, per quanto bravi siano i giornalisti, tendono a credere a ciò che dicono i politici e tendono a ripetere ciò che sentono dire, ma oggi in tempi di internet voi potete scaricare gratis tutti i testi, ad esempio la bozza del trattato dell’altra sera, del 30 gennaio, è scaricabile, e potete vedere cosa esattamente è stato deciso. Che sarà il prossimo fiscal compact? Questo grosso passo avanti, che è anche un grosso passo indietro, perché abbiamo accettato che dovremo dimezzare il debito pubblico italiano e non è uno scherzo, anche se ci hanno dato vent’anni di tempo per farlo. I mercati non ci credono che l’Italia riesce a rispettare questo nuovo Trattato. Però, facciamo un passo indietro e ritorniamo a quell’aprile del 1989 quando il presidente della Commissione UE allora un francese, Jacques Delors, presenta il documento, si chiama Rapporto Delors (scaricabile) di quello che sarà l’unione monetaria, con le riforme e le condizioni da rispettare, perché ogni Paese partecipante abbia i benefici e non solo i costi di questa unione. Primo problema, le abbiamo fatte quelle riforme tutti noi? A me risulta che le ha fatte solo la Germania, con Schröder prima e la Merkel poi, paradossalmente quella che era già la più forte delle economie, perché negli anni Novanta aveva già messo a posto abbastanza la riunificazione, innovando in modo più efficiente quella parte che era rimasta cinquant’anni colonia sovietica e quindi indietro. Poi negli anni Duemila, con Schröder prima e la Merkel poi, fanno tutte le riforme che sono necessarie per avere anche loro, che erano già i più forti, i benefici dell’euro. Non a caso le riforme riguardano cose fondamentali come il funzionamento del mercato del lavoro, la flessibilità dei salari e così via. Se volete, è il programma dell’attuale governo Monti, cioè noi abbiamo vent’anni di ritardo, pensate stiamo ancora difendendo cose come l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori anni Settanta ma, peggio, stiamo ancora usando molto strumenti come la “cassa integrazione guadagni”, che significa che un’azienda che non ha futuro mette in gabbia i suoi lavoratori e li trattiene (possono fare dei lavori in nero, ma rimangono formalmente in quell’azienda e non possono andare a lavorare altrove), quando è chiaro a tutti che prima vanno a lavorare altrove e meglio è. Ma allora dovresti avere un sistema opposto alla “cassa integrazione guadagni”, devi avere un sistema di barelle che ti aiuta a spostarti, ti pagano mentre stai traslocando da quella fabbrica ad un’altra: questo è il welfare tedesco, da qualche anno. Attenzione, il welfare è ciò che caratterizza l’Europa rispetto al capitalismo americano dove ti mettono per strada e ti dicono vatti a cercare un lavoro. Noi no, abbiamo un sistema socialmente più avanzato, non a caso il nostro capitalismo lo chiamiamo “economia sociale di mercato”, cioè abbiamo cercato di temperare i difetti del capitalismo con un po’ di tutela dei lavoratori. Questa è l’Europa da cinquant’anni, quindi è la nostra cultura. Il problema è di adeguare questa tutela del lavoro, che è la parte debole contraente, ai momenti storici, alle esigenze della produzione efficiente, e così via. I nostri strumenti di tutela del lavoro, (dalla cassa integrazione guadagni agli scatti biennali nel lavoro pubblico), sono stati tutti pensati negli anni Sessanta. Quindi, per definizione, servivano a un altro mondo che non è più quello di oggi. Quello di oggi, nel Rapporto Delors è indicato chiarissimamente, richiede mobilità del lavoro: se quell’azienda va male, tu lavoratore devi andare altrove e il sistema ti deve favorire in ciò, guai a farti restare in una fabbrica che non ha futuro. Il nostro sistema più spreca risorse e genera così il debito pubblico che rimane ai nostri figli e nipoti da pagare, questo è il dramma del nostro Paese.
Monti ha avviato un tavolo con l’obiettivo di fare quelle riforme grazie alle quali abbiamo i benefici dell’euro, perché se non si fanno queste riforme, dell’euro cosa si è capito? Abbiamo avuto i tassi bassi, finché i mercati credevano che diventavamo come la Germania. Peccato che dopo che i Greci hanno falsificato i conti e i mercati si sono bruscamente svegliati nel novembre del 2009, da allora i mercati non si fidano più e quindi ci guardano in faccia e dicono: tu quanto tedesco sei? Perché devo imparare il tedesco? No, basta imparare a rispettare le leggi, le tue leggi. I tedeschi vengono qui e ci chiedono: quand’è che cominciate a rispettare le vostre leggi? Non ci vogliono far diventare tedeschi: la Merkel non ha mai detto che dobbiamo rispettare le leggi tedesche, ci ha solo ricordato che dovremmo rispettare le leggi italiane. Perché l’altra cosa divertente che sappiamo di questo Paese è che la gente sa che ci sono delle leggi, ma pochi le scaricano da internet e se le studiano. È un bellissimo Paese. Guardate quante migliaia di pagine di nuove leggi ha prodotto il centro-destra in Italia. Il centro-destra anglosassone fa leggi di tre righe, io ricordo una legge di riforma dell’università inglese di qualche anno fa, era una paginetta. La Gelmini, che conoscete bene, è vostra concittadina, ha prodotto una legge di riforma che con tutti i decreti applicativi sarà di ottomila pagine e naturalmente nessuno la legge. Quindi noi abbiamo una cultura, da sempre, che fa leggi e spera che qualcuno gli dia retta. Non è la logica dell’euro, la logica dell’euro sono le poche leggi che servono a garantire la qualità di un buon mercato. Grazie alla moneta comune, il mercato è buono, se è presidiato da governi che cooperano tra di loro. Attenzione, nel Rapporto Delors c’era mobilità del lavoro, flessibilità dei salari, ma c’era anche una frase bellissima che era “un intenso ed efficace coordinamento delle politiche economiche”. Non abbiamo una Washington dove si fa a livello federale la politica economica che riguarda tutti, abbiamo solo una Federal Reserve, una Banca Centrale che peraltro sta a Francoforte e non a Bruxelles. Abbiamo però la teoria dell’euro con i diciassette governi che coordinano le politiche economiche di ciascuno e producono così una politica economica unica; in altre parole la politica economica europea che risulta da un gioco cooperativo.
Cosa sono i giochi cooperativi? Abbiamo due tipi di giochi. Il gioco a somma zero, dove io vinco quello che lui perde o viceversa: uno dei due vince quello che l’altro perde. Questo è un gioco in cui se vince sempre lo stesso, l’altro prima o poi va via. Non va avanti un gioco a somma zero a meno che non abbiamo tutti e due la stessa probabilità di vincere. Però un gioco così redistribuisce, non aggiunge nulla. I giochi cooperativi sono un altro tipo di giochi, è come marito e moglie che fanno figli. In altre parole, c’è un prodotto netto: due più due fa cinque e il vincitore si prende solo il quinto in più. Nei giochi cooperativi ci si divide la vincita netta; è un gioco che avete sempre convenienza a fare. Non perdete mai perché quello che ci mettete ve lo portate sempre a casa, e si divide il prodotto in più. I giochi cooperativi, sono giochi di squadra in cui ci mettiamo d’accordo ciascuno tenendo conto dell’interesse dell’altro. Questi giochi sono tipicamente quelli che devono riuscire a fare Paesi che sono in una situazione non normale, perché di solito i Paesi hanno ciascuno la sua moneta, la sua sovranità. Qui invece abbiamo ancora diciassette parlamenti, e diciassette governi, ma la stessa condivisa sovranità monetaria. È affascinante se va tutto bene; è pericolosissimo se la sbagli.
Allora, che dire di un Governo che invece di cooperare con gli altri cerca di fregarli? Perché questo è successo: il Governo greco di centrodestra per anni falsificava i bilanci, cioè faceva un deficit che le banche tedesche finanziavano e nessuno se ne accorgeva. Le famose agenzie di rating dov’erano? Questi sono andati avanti per anni a falsificare i bilanci mentre l’euro richiede giochi cooperativi. Attenzione, il debito che tu fai diventa credito per chi te li presta questi soldi. La zona euro è una zona equilibrata: complessivamente i diciassette Paesi hanno una bilancia dei pagamenti nei confronti del resto del mondo che è in equilibrio, il che vuol dire che chi spende molto usa i risparmi degli altri. Per anni, Grecia e Portogallo moltissimo, Spagna e Italia abbastanza, Irlanda per qualche anno, hanno speso più di quello che potevano. La parte nord dell’Europa ha finanziato la parte sud. Quando è venuto fuori l’imbroglio greco si sono molto arrabbiati i tedeschi e anch’io se fossi tedesco mi sarei arrabbiato. Nella caricatura giornalistica, c’è solo la Merkel ma voi dovreste avere davanti ottanta milioni di tedeschi per accorgervi quanto la Merkel è brava a tenerli buoni, perché sono furibondi. Loro hanno fatto le riforme in cui gli operai hanno lavorato un’ora in più gratis affinché la grande industria tedesca tornasse a investire in Germania; hanno tirato la cinghia per anni e adesso si sentono dire che devono pagare i debiti di quegli imbroglioni che si aumentavano gli stipendi e basta. La situazione non ci permette di fare prediche ai tedeschi. Anzi noi dovremmo: a) cercare di fare le riforme per avere i benefici dell’euro; b) stare attenti che se facciamo troppi debiti, stiamo dando un imbroglio al creditore. I mercati finanziari per dieci anni hanno creduto che noi con quei soldi che pagavamo poco – perché eravamo trattati da tedeschi e quindi ci indebitavamo con tassi uguali a quelli tedeschi – stessimo facendo investimenti per raggiungere l’efficienza tedesca. Invece ce li stavamo mangiando e basta: stipendi immeritati. La flessibilità dei salari di cui parla il Rapporto Delors vuol dire pagare bene chi lavora bene, non pagare di più gli amici o chi invecchia. Gli scatti biennali sono una cosa italiana, chissà perché il mio stipendio deve crescere con la mia età, eppure per mia fortuna è successo. Allora, il progetto dell’Euro parte nel 1992 con il Trattato di Maastricht, preceduto da studi e documenti molto belli dove c’era già tutto scritto, che le condizioni di successo di quel progetto ambizioso andavano rispettate, ogni Paese facendo le necessarie riforme. Le riforme non piovono dal cielo, perché noi avevamo ancora sovranità nei parlamenti e nei governi nazionali. Quindi Bruxelles non riesce a imporci niente, tanto meno la Merkel riesce a imporci qualcosa, anche il nuovo Trattato, se lo guardate bene, non ci impone niente che non sia “non danneggiare il prossimo”. Ma non danneggiare il prossimo è già nel Vangelo: danneggiare il prossimo è fare troppo debito, perché se fai troppo debito prima o poi è il creditore che ci rimette. Non dice neanche ama il tuo prossimo, dice solo non danneggiare il prossimo, che è il minimo per una coesistenza civile. E non ci impone nulla che non sia nel nostro interesse, cioè fare le riforme per avere i benefici dell’euro non è che fa guadagnare i tedeschi, ma fa guadagnare noi. I benefici spettano ai Paesi che, avendo capito il gioco, ne rispettano le regole. Se tu non li vuoi i benefici, peggio per te. Il Trattato richiede che tu non danneggi il prossimo e questi bei documenti ti aiutano a capire cosa dovresti fare per avere i benefici. Finché la Grecia non è diventato un problema, il fatto che sprecasse i soldi che prendeva a prestito era peggio per lei. Nel momento in cui ha preso talmente tanti soldi da diventare insolvente nei confronti dei creditori, questo effetto negativo lo hanno avuto gli altri Paesi.
In questi tempi è diventato di moda prendere capri espiatori, come la Germania che, si dice, ci chiede di diventare tedeschi, ma non è vero. L’integrazione che l’euro promette è integrazione tra virtù che rimangono nazionali, ma servono a un grande mercato. La teoria è questa: tu che produci questa cosa eccellente, grazie all’euro hai trecentotrentuno milioni di consumatori. Diventa possibile avere il primo mercato al mondo dove circola la nostra moneta, se la moneta è buona il mercato funziona bene, e qui i vari governi devono collaborare, a quel punto tutti stiamo meglio e il reddito cresce di più perché la competizione che c’è sul grande mercato garantisce che l’innovazione arrivi prima. Allora, questo in parte è avvenuto: guardate la ricostruzione dell’industria automobilistica tedesca, è impressionante in questi vent’anni! C’è chi dice che è merito dell’euro, no è merito dei tedeschi: hanno investito in una logica che è tipica del mercato euro, quello che sai fare bene lo fai di più, e non si sono inventati di assomigliare agli italiani, non producono beni che noi produciamo meglio, producono di più i beni su cui si sono specializzati. Questa è la specializzazione e la crescita che ti dà anche il fatto che tu hai un grande mercato. Queste cose che ha fatto la Germania nelle sue virtù noi dobbiamo farlo nelle nostre, i francesi nelle loro e così via.
Allora, ha un futuro questo euro? Se continuiamo a vantarci che i tedeschi ci chiedono di non fare troppo debito e noi lo facciamo lo stesso falsificando i bilanci, questo non è un euro che ha un grande futuro. Infatti, stiamo già discutendo dell’uscita di chi non se lo è meritato. Il problema complicato in questo momento è che dobbiamo porre rimedio agli errori passati e contemporaneamente meritarci un mondo migliore, e quindi è una crisi complicata. Il Trattato nuovo dice: bisogna in vent’anni tornare a un rapporto debito-pil pari a 60. Questo è un numero casuale, purtroppo messo in un Trattato. Non c’è teoria che dimostri la giustezza di quel 60. Peccato che è stato scritto nel 1992 e adesso è lì, ed è un incubo. Nella saggezza dei nostri padri non si facevano mai Trattati con degli obiettivi numerici. Il buon governo economico è altra cosa, ma l’unico modo perché la Germania adesso possa imporci disciplina è che prima o poi, con la dovuta gradualità, secondo il Trattato, tra vent’anni si torni a 60, cioè chi ha sforato torna indietro. Attenzione, che se non lo facciamo bene già questa è una minaccia. Siamo tutti oltre 60, anche Germania e Francia stanno a 80-85. Nel caso dell’Italia, il dubbio è se ce la faremo a fare una cura dimagrante per vent’anni, che significa ogni anno fare manovre di riduzione del debito, se non cresce il denominatore cioè il pil. Perché la priorità di Monti dopo la manovra salva-qualcosa, è diventata la crescita? Perché se tu vai in pareggio di bilancio e quindi il numeratore non cresce più, poi basta far crescere abbastanza il denominatore, cioè il pil, il reddito nazionale, che man mano quella discesa verso 60 avviene senza restringimenti eccessivi. È come uno che ha fatto un mutuo troppo grosso e poi sta su la notte e con quel di più di guadagno paga le rate e estingue il mutuo. Questa è l’ipotesi, dobbiamo tornare a crescere del 2-3 per cento ogni anno dei prossimi, dopo che per quindici anni abbiamo fatto solo lo 0,8, quindi non è uno scherzo. Però, se tornassimo a crescere del 2-3 per cento all’anno, allora crescendo il denominatore basterebbe tenere fermo il debito, senza più deficit, e automaticamente ogni anno da 120 si va a 117, 114 e giù giù in vent’anni si va a 60. Con la biro e un pezzo di carta è un conto facile da fare, però tornare a crescere ogni anno al due per cento vuol dire fare riforme epocali in questo Paese, che ormai è diventato un Paese immobile. A cominciare dal mercato del lavoro, organizzato per garantire che uno lavori dove è nato! Quando il Rapporto Delors diceva che serve la mobilità del lavoro. vi rendete conto che è una rivoluzione culturale questa: non so se Monti basta, se gli italiani non capiscono cosa abbiamo firmato nel 1992 a Maastricht! L’altro giorno Barroso in piena conferenza stampa ha detto che a Pisa l’Ikea voleva aprire una fabbrica, dalla Svezia veniva giù e gli hanno detto di no. Facciamo letteratura, perché l’Ikea a chi dà fastidio, alle famiglie che vanno a fare la spesa? Quando mai: l’Ikea dà fastidio al commercio locale, ai concorrenti.
Allora, è un Paese che da quindici anni s’è fermato, tu vivi dove nasci, guai a te se ti muovi e l’università stai tranquillo che arriva sino a casa tua, attraversi la strada oramai ed entri in aula e anche i professori sono nati lì, quindi tutto in dialetto. Questo mondo come fa a essere quello che ricava benefici dalla moneta con su l’aquila? Guardate i mercati e vedete che stanno già quotando che la Grecia e il Portogallo escono: hanno una situazione incompatibile con il guadagnarci a restare nell’euro. Dopodiché può darsi che li salviamo e li teniamo nell’euro, ma se guardate l’analisi economica oggi la Grecia e il Portogallo salvati dalla Germania hanno di fronte a sé dieci anni tremendi. Uscire dall’euro è peggio che entrare, nel senso che la transizione è costosissima, per cui l’unica cosa che ha finora trattenuto i governi dall’uscire è il caos in cui vai quando cambi la moneta un’altra volta e tutti i contratti stipulati con la vecchia moneta devono essere ricambiati, come tutti i bancomat. L’uscire dall’euro non è uno scherzo e nessun governo la prende con leggerezza una decisione del genere. La teoria della “porta-girevole” è una stupidaggine, di chi non ha capito quanto la moneta ci condizioni nel nostro quotidiano operare. Una volta nella vita si può fare, ma dire che ogni tanto usciamo, e poi rientriamo nell’unione monetaria, vuol dire non aver capito quanto importante è la moneta per la vita quotidiana delle persone. E quindi non dobbiamo sottovalutare i costi dell’uscita dall’euro. Però essere in una situazione in cui non hai i benefici dell’euro e hai perso la sovranità per impiegare tutti gli strumenti che avremmo usato per ridurre l’onore del debito come in passato, non è uno scherzo. Ricordate la mega svalutazione della lira del 1992, la manovra cui fummo costretti dai mercati che non credevano più che noi avremmo pagato i debiti? La svalutazione è uno strumento costoso ma con dei benefici, restare nell’euro senza avere le carte in regola per trarne i benefici è un lento suicidio, è una corda che lentamente si stringe al tuo collo e quindi stai confrontando due mali.
Noi, come la Spagna, siamo in una situazione molto diversa. La Spagna ha metà del nostro debito pubblico, è un paese che s’è fermato: non cresce solo in parte, ha una disoccupazione elevatissima, non solo di giovani, e ha perso il sentiero della crescita. Noi siamo solo in parte simili: cresciamo poco perché le nostre virtù crescono altrove. Le migliori imprese italiane fanno crescere il pil del mondo non il pil italiano, cioè crescono altrove. Vengo invitato all’inaugurazione di fabbriche italiane in tutti i Paesi meno che in Italia. Ci sarà qualcosa che rende poco attraente questo Paese. Crescere vuol dire essere attraente a compensare il fatto che poiché i tuoi migliori crescono altrove, i migliori del mondo vengono qui, e quando noi crescevamo era anche perché godevamo dei benefici del Paese attraente e il resto del mondo investiva in Italia, cosa che non fa più né in portafoglio né tantomeno in fabbriche, pur avendo noi un lavoro qualificato, pur avendo tutti i fattori che in teoria dovrebbero favorire che qualcuno venga a produrre in Italia. Non cresciamo più per illegalità ed inefficienza: le due cose si sommano e sono in parte la stessa cosa. Pensate al cattivo uso che abbiamo fatto delle nuove tecnologie, internet: grazie a internet la mia produttività raddoppia se lo sostituisco a tutto il resto, ma se io ho molto “nero”, internet abbassa la mia produttività perché si aggiunge al non essere trasparente, al distribuire mance agli amici, politici o meno, ecc., a tutto questo mondo italiano al confine della legalità ma in parziale sovrapposizione. Siamo l’unico Paese al mondo dove girano le banconote da 500 euro, siamo l’unico Paese in zona euro che ne ha così tante; e dove stanno? Nella terza cassaforte dell’imprenditore che ha il “nero”, nella bustarella al politico disonesto; nel reddito del geometra che ti fa avere una variante illegale, e così via. Questo è il Paese, lo sanno tutti, la Banca d’Italia l’ha detto tante volte, abbiamo troppe banconote in questo Paese e a cosa servono se ciascuna persona onesta che io conosco usa solo la carta di credito, che però lascia tracce? Come fai a dare una bustarella con internet? E allora la gente gira ancora con buste con dentro i soldi, siamo il Paese della carta carbone, delle buste, delle fotocopiatrici: è drammatico. La legalità è anche innovazione perché grazie alla legalità usi le tecnologie dei mondi onesti. Questo nodo va sciolto, non possiamo rimanere con la corruzione da sudamerica e usare l’euro, delle due l’una, e voi vedete che questo è un Paese che ha ancora un mare di problemi in questo senso.
Giovanni Paolo II nel 1990 aveva visto crollare l’area più corrotta del mondo che era una burocrazia comunista a parole, ma di fatto corrotta e inefficiente, come la Polonia. Va a Napoli e fa un discorso tutto giocato sulla legalità, dopodiché la Commissione Giustizia e Pace della CEI lavora un anno e produce un bellissimo documento che è scaricabile e che io consiglio ai miei studenti : Educare alla legalità! Rispettare le leggi dello Stato è vivere in un mondo civile, che significa anche da anni portare dentro i benefici dell’aumento di produttività che danno le nuove tecnologie che non a caso non sono compatibili con tutto questo mondo d’illegalità. Allora, anche queste cose sono culturali, sono politiche, ma quando, per esempio, Mario Monti, dice che ci vuole più legalità in Italia ha presente esattamente questi discorsi, come Mario Draghi, che l’ha detto più volte: senza legalità l’Italia non va da nessuna parte. Però questo dev’essere condiviso anche politicamente e dai cittadini, perché se no è chiaro che ci condanna al sottosviluppo. Queste cose sono importanti e sono nel patto costitutivo di un’Europa che cresca e torni ad essere un’area in cui le qualità di ciascun Paese sono valorizzate e messe in comune. Mi rendo anche conto che questo è un programma di lungo periodo.
La linea che è passata a Bruxelles finora è la linea tedesca:… s’incomincia a rispettare quel minimo di europeo che è nel Trattato di Maastricht e in questo nuovo Trattato, se lo leggete, non ci trovate nulla di grave. Al momento sta passando la linea tedesca ma non è per cattiveria o perché la Merkel vuole che trecentotrentuno milioni di persone parlino il tedesco. I tedeschi non stanno cercando d’imporre il tedesco al mondo, sono stati loro i primi a decidere che la qualità internazionale oggi usa l’inglese e si sono messi a studiare l’inglese. Quindi questa teoria che i tedeschi ci stanno bastonando perché vorrebbero che diventassimo obbedienti e possibilmente li imitassimo, è una ridicola rappresentazione della realtà che non ha fondamento e non c’è mai stata la teoria che dobbiamo diventare trecentotrentuno milioni uguali: è un’unione pessima quella in cui ci si scimmiotta a vicenda. Il bello dell’euro è di valorizzare le virtù e il meglio di ciascuno dei Paesi che condividono questa moneta e quindi è quello l’obiettivo. Nell’immediato però c’è il pericolo che i mercati non mollino la presa. La medicina tedesca cambia le paure dei mercati che noi siamo tutti candidati a fallire. Però è chiaro che, al di là di questa crisi, non c’è futuro in Europa se non riscopriamo come politica in ciascuno dei Paesi membri questo progetto ambizioso che era di avere prima ancora di un governo federale, che non è alle porte, la moneta come grande strumento di selezione, grazie a cui il meglio di ogni Paese, diventando comune, cresce. E quindi sono i nostri difetti che dobbiamo correggere per meritarci i benefici dell’euro. Questa è la scommessa da vent’anni e purtroppo molte classi politiche in molti dei diciassette paesi non l’hanno capito fino in fondo. Questi discorsi non li ho più sentiti fare negli anni successivi alla mitica stagione Ciampi-Prodi di quasi vent’anni fa.
Dobbiamo fare le riforme grazie alle quali cresce il meglio del Paese e diventa Europa. L’Europa è il meglio di ciascun Paese: questo è il sogno e bisogna avere il coraggio di tornare a dirlo spesso e volentieri.

NOTA: testo, non rivisto dall’Autore, della conferenza tenuta a Brescia l’1.2.2012 su iniziativa della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.