La "Lettera a Bernanos" di Simone Weill

La “Locusta” di Vicenza ha fatto ancora centro: in un rapido volumetto ha raccolto il “Diario italiano” di Simone Weil – che si snoda attraverso cinque lettere a uno studente in medicina, Jean Posternak – ed un testo che merita di essere considerato, nella sua brevità, un classico della coscienza morale del XX secolo: la “Lettera a Bernanos”, scritta dopo la guerra civile spagnola e la pubblicazione del bernanosiano “I grandi cimiteri sotto la luna”.
Simone Weil entra subito in simbiosi con il nostro Paese. Il viaggio a Firenze e dintorni, a Milano, a Ferrara e a Ravenna, a Pallanza e a Stresa si svolge nel periodo di maggior consenso per il regime fascista, subito dopo la conclusione vittoriosa della guerra d’Etiopia; ma la Weil ha il dono di saper andare al cuore della gente e di non arrestarsi alle apparenze. Per questo le sue annotazioni sono ancora oggi rivelatrici di qualcosa di profondo, di quanto di meglio la nostra gente si porta dentro come atteggiamento di fronte alla vita. “Si incontrano tutti i giorni – annota, ad esempio, la Weil – in queste città uomini del popolo con una nobiltà e una semplicità di andatura e di atteggiamento che suscitano ammirazione. C’è una sovrabbondanza di grazia, quando la Provvidenza mette belle persone tra belle cose”.
Le “Cinque lettere a uno studente” sono semplicemente deliziose, da ogni punto di vista. L’autrice unisce alla entusiastica immediatezza delle impressioni un acume, una cultura, una umanità di altissimo livello. A Firenze, per esempio, si chiede se i dittatori soffocano o favoriscono, a loro modo, la civiltà. I versi che Dante dedica a San Francesco la estasiano: “Penso che in poesia s’incontrino raramente versi così forti e belli come i versi di Dante sulla povertà”. La rilettura di alcuni “Fioretti” di San Francesco le strappano un’espressione che si commenta da sola: “Ecco come concepisco i piaceri puri”. L’interlocutore è infatuato di D’Annunzio ed ecco la frecciata della Weil all’indirizzo dell’idolo: “Le bellezze di Firenze sono di quelle che D’Annunzio non saprebbe celebrare, almeno così immagino io. Lo dico a lode di Firenze, perché io sono ben lontana dal condividere la sua simpatia per il “Fuoco”, di cui lei mi raccomandava la lettura in una lettera. Questa maniera d’intendere l’arte e la vita mi fa inorridire e sono certa che quest’uomo sarà completamente e a ragione dimenticato”. Ciò che la nausea dell’Italia imperiale e fascista è la per-manente campagna di odio, ora contro l’uno ora contro l’altro nemico. “Quante volte in Italia – scrive da Parigi nella lettera IV – la lettura dei manifesti mi ha fatto ricordare con tanta immediatezza il verso stupendo di Sofocle, pronunciato da Antigone: – Sono nata per condividere l’amore, non l’odio”.
Nella “Lettera a Bernanos” la protesta della novella Antigone si leva alta e forte contro la violenza assassina, di cui la Weil – che era con le milizie antifranchiste – si rese conto di persona. Simone Weil si oppone ad ogni manicheismo menzognero e dichiara tutto il suo orrore per i crimini dei suoi, cioè dei repubblicani antifranchisti, lo stesso orrore che Bernanos aveva per i crimini dei franchisti. Weil e Bernanos: due coscienze che si misuravano col Vangelo, due spiriti liberi, due grandi. Non potevano non incontrarsi.

 

Giornale di Brescia, 4.8.1990.