La religione degli italiani

Nell’800, e in parte anche nel ‘900, il carattere della modernità-secolarizzazione è stato quello del voler dare una risposta non confessionale e non teologica ai problemi teologici che avevano travagliato la cultura europea dal Medioevo in poi. Va qui evocato il titolo del saggio di Benedetto Croce: Perché non possiamo non dirci cristiani. Egli ha avuto anche un’altra affermazione molto significativa: “Io non sono contrario al trascendente, ma ad un assoluto trascendente”. Il problema dell’Assoluto rimane, vi è quindi un’identità di problemi con differenti risposte. I cattolici e laici discorrevano attorno alla stessa problematica, quella conservata e ricevuta dalla tradizione. È difficile immaginare quanto il pensiero ottocentesco sia impregnato di teologia, quanto sia costante il confronto con il pensiero religioso cristiano, anche se le risposte erano opposte a quelle confessionali.
Il punto di maggiore confronto riguarda il valore della natura e la scienza, quindi il significato del cosmo e il ruolo dell’idea di creazione. Questo rappresenta un grande problema nello spirito religioso, rimasto comunque nella cultura ottocentesca. Il problema della storia, la sua teologia e il suo provvidenzialismo religioso, è la filosofia stessa. La domanda sul senso della storia, sulla collocazione di individui e popoli in essa, rimaneva. Il valore della tradizione cristiana all’interno della cultura e dell’identità europea, è qui il problema della Bibbia; quest’ultima è un universale punto di riferimento, però desacralizzato. La religione cristiana era la forma assoluta della religione perché rappresentava una delle forme assolute dello spirito. Il problema del rapporto con la società, con la religione, è un punto decisivo per comprendere il nesso sociale e la forma stessa della società. Il problema del fondamento dell’autorità e del rapporto tra libertà e costrizione sociale, della libertà religiosa, del movimento operaio (e quindi del rapporto tra economia ed etica), sono alcuni dei problemi cardine religiosi che hanno avuto risposte diverse.
Nell’Italia del nostro secolo, in particolare, questa forma di secolarizzazione che conservava le domande e cambiava le risposte, ha assunto quella che io chiamo, la forma dello “spiritualismo”. Non intendo con questo una particolare corrente del pensiero filosofico, ma quel cambiamento avvenuto nella cultura della borghesia dei ceti medi italiani tra l’età giolittiana e la prima guerra mondiale, per cui da volterriani e anti-clericali che erano, diventano spiritualisti in funzione anti-marxista e anti-socialista. Non cristiani, ma spiritualisti, vale a dire l’apprezzamento dei valori spirituali, l’attenzione al dato dello spirito che poi assumeva molte volte dei tratti nazionalisti. Il patrimonio culturale e cristiano della nazione è stato poi uno dei più grossi fattori di equivoco e di forza dell’influsso della Chiesa in Italia.
Qual è stata la reazione dei cattolici a questa situazione? Essa è consistita nella distinzione tra le conquiste storiche, i dati sociali, e le teorizzazioni che hanno strettamente accompagnato quelle conquiste storiche, ma che i cattolici hanno considerato non necessariamente legate ad esse. Chiaramente, questo non è avvenuto d’amblée; ci sono stati cristiani e cattolici che hanno rifiutato questi aspetti, ma la linea di tendenza è stata quella di dire un sì e un no. Ad esempio: sì alla scienza e no al razionalismo scientifico, sì alla storia e no allo storicismo, sì alla democrazia e no al democraticismo, sì all’indagine sulla Bibbia e no al razionalismo biblico, sì alla libertà religiosa (ultimamente) e no all’indifferentismo, sì all’industrializzazione e per certi aspetti al capitalismo finanziario e no al socialismo e al liberismo. C’è stato un atteggiamento bi-polare, per cui si sono accettati i risultati della evoluzione costituzionale, giuridica e economica che hanno caratterizzato il volto dell’Europa nell’ 800 e nel ‘900 (più erano separati dalle loro matrici ideologiche, tanto più li si accettava facilmente).
Un esempio classico, importantissimo, riguarda l’atteggiamento dei cattolici verso la Bibbia, che è il punto più delicato della secolarizzazione, quando si comincia a trattare la parola di Dio, il testo sacro, come se fosse un testo qualsiasi. In primo luogo, veniva analizzato etimologicamente come qualsiasi testo antico. Anche dal punto di vista filologico, si analizzavano la formazione, le dipendenze, lo si collocava all’interno della evoluzione spirituale e religiosa della umanità nel Mediterraneo antico. Questo è il metodo storico-critico e viene accettato dai cattolici. Non si accettano, però, il fondo filosofico e i presupposti teorici di questo metodo. Quanto si è detto per la Bibbia vale anche per i rapporti con la democrazia e per il problema della libertà religiosa. A questa alternanza tra un sì e un no, sul piano ideale corrispondeva un processo sociale: la dialettica tra separazione e integrazione. La separazione in forza dei principi, l’integrazione in forza dell’adesione ai processi sociali. La prima era invocata in nome della fedeltà, per questo aveva facilmente dei rappresentanti teorici. Invece, l’integrazione, per comunanza d’interessi, sostiene che non si possa tenere sequestrato a lungo dalla vita sociale generale un gruppo d’interessi, come ad esempio il mondo cattolico. Non solo in Italia, tutta la storia dei cattolici è stata caratterizzata da questa tensione tra separazione e integrazione, con anche grandi momenti di crisi. Accanto ad essi, in cui prevaleva ora lo spirito di separazione, ora quello di integrazione, vi è stata anche la costante ricerca di un punto di equilibrio.
Credo che due istituzioni che rappresentino questo punto di equilibrio; una è l’Università Cattolica, che è stata volutamente e pensatamente strumento di integrazione nella cultura nazionale, e l’altra è il partito dei cattolici. Esso è apparso come una proiezione necessaria del cattolicesimo nei rapporti con la società secolarizzata: si poneva come un partito laico non-confessionale che non fosse la difesa istituzionale degli interessi clericali, ma che rappresentasse l’assunzione dei problemi nazionali da parte dei cattolici, come ai tempi di Sturzo e di De Gasperi.
L’altro punto italiano di equilibro è stato il discorso valoriale, che ritorna al problema dello spiritualismo: quest’ultimo ha creato attorno alla Chiesa cattolica un alone di consenso che toccava soprattutto il suo magistero morale e che permetteva alla Chiesa di perpetuare quella sua illusione di considerare il popolo italiano come popolo cattolico. In realtà la borghesia non fu né cattolica né cristiana, ma seppe coniugare la difesa dei propri interessi collettivi con l’accettazione di una serie di valori morali che, almeno in parte, coincidevano con la morale cattolica.
Lo sforzo di distinzione e di integrazione rappresentò una caratteristica progressiva nello spirito di accettazione della modernità da parte dei cattolici, mentre la diffusione dello spiritualismo nei ceti medi rappresentò, a parer mio, un momento di equivoco. I due elementi non sono facilmente componibili, ma l’irraggiamento della Chiesa cattolica si basò a lungo sulla coesistenza di questi due elementi che non sono riconducibili allo stesso spirito, ma che di fatto hanno operato congiuntamente.
Se questa era la situazione, che cosa è cambiato nel clima culturale e politico dell’Italia e dell’Europa? Mi sembra sia avvenuta una profonda modificazione, cioè la sua laicizzazione, la perdita di senso dei problemi tradizionali nella vita pubblica. Mentre nella cultura secolarizzata si dibattevano i medesimi problemi pur dando risposte diverse, in quanto essi conservavano la loro rilevanza per la vita pubblica, oggi questi sono conservati soltanto per una sub-cultura, cioè per la cultura di un gruppo particolare. Questo mi sembra il dato fondamentale. A volte la situazione attuale viene presentata come un conseguenza della decadenza delle ideologie (intesa come dato della violenza della società, poiché l’ideologia è l’aspetto violento della fondazione teorica della vita sociale). Per altro verso, però, l’ideologia è una valore ambiguo perché essa pretende che gli equilibri sociali siano auto-fondati e completamente auto-referenziati. Questo fenomeno ha portato ad un grande cambiamento nel senso del privato, che da fattore privato, caratteristica propria nel regime liberale, è decaduto a luogo delle azioni socialmente irrilevanti. Mi sembra che il privato sia il dato ininfluente del regime pubblico, e perciò si può verificare una discrasia tra il pubblico e il privato. Si può essere libertari nel privato e autoritari nel pubblico, che per uno spirito liberale era inconcepibile.
Insieme a questa profonda modificazione culturale (che risale all’illuminismo francese, a differenza della secolarizzazione, risalente invece all’illuminismo tedesco) e con l’avvento di una cultura radicale, c’è la fine dello spiritualismo nei ceti medi. È questo un grande cambiamento che avviene negli anni ’60 – ’70; i ceti medi non avvertono più lo spiritualismo come una garanzia nei confronti del marxismo e del comunismo, assumono una cultura profondamente diversa, e questo provoca delle nette divergenze valoriali. Quindi, si può dire che la Chiesa cattolica in Italia ha perso l’alone sociale attorno a sé, come si può notare dalle lamentele dei Vescovi, che affermano: “quel che diciamo, non passa o viene travisato dai giornali”. In realtà, prima passava una forma depotenziata di messaggio cristiano, appunto attraverso l’alone che circondava la Chiesa cattolica. Se questo è vero, quali sono allora i riflessi per la religione in Italia?
In sintesi, su può dire che è mutato nei più il modo di percepire la funzione, il ruolo, la rilevanza del fatto religioso negli ultimi due-tre decenni, poiché si è passati dalla secolarizzazione di tipo ottocentesco alla laicizzazione come irrilevanza pubblica dei problemi. C’è quindi una società totalmente auto-referenziata, che non ha bisogno di un fondamento, trascendente o meno, e che è permeata di una mentalità radicalmente individualista.
Il Concilio è, a mio parere, il punto più alto sia mai stato raggiunto nel declinare le possibilità di un incontro positivo tra religione e modernità. Oggi, però, non si avverte più come centrale nella propria esperienza religiosa il rapporto con la modernità. Per quanto concerne la vexata quaestio del rapporto tra Chiesa, mondo cattolico e politica, alcune spie fanno capire che ora il problema non è più o non è principalmente l’inserzione nel contesto democratico, su una posizione di autonomia ideale, ma la creazione di spazi per la vivibilità delle fede, perché nella nuova situazione i problemi che toccano la coscienza religiosa sono semplicemente dichiarati irriferibili nella cultura collettiva e sono affidati al privatissimum della coscienza. Si ha l’impressione che, avviandoci al Terzo Millennio, siamo entrati in una situazione che non presenta ancora una intelleggibilità ai nostri sguardi, tale da metterci in grado di rendere al nostro tempo e a Dio il servizio migliore.

Testo, non rivisto dell’Autore, dell’incontro tenuto il 3.2.1994 a Brescia su iniziativa della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.