Ignazio Silone (l’eredità cristiana e il linguaggio biblico-simbolico)

Tematiche: Letteratura

Ignazio Silone si affaccia al mondo delle lettere nei primi anni ’30. Dopo l’adesione al partito comunista e la vita clandestina, dopo la rottura con il partito di Stalin e di Togliatti egli avvertiva il bisogno di riflettere sulle ragioni dell’adesione alla classe operaia; quelle stesse ragioni, che l’avevano portato ad una rottura clamorosa con i suoi antichi compagni1, un distacco che, lo sentiva, era destinato a segnare l’intera sua vita. Sono i temi di Fontamara, Vino e Pane e Il seme sotto la neve, i romanzi «svizzeri» dello scrittore abruzzese. Conviene, dunque, esaminare situazioni e incontri di Silone in Svizzera per meglio capire l’origine del suo impegno letterario.

La permanenza in Svizzera

Dirigente comunista fino alla fine degli anni ’20, dopo la rottura con il partito Silone, cercò rifugio in Svizzera dove arrivò nel 1930 nel mese di dicembre. Così egli stesso presentava la sua situazione in quegli anni: «gravemente malato, ero privo di mezzi; ero senza famiglia, ero stato espulso dalla Francia e dalla Spagna; non potevo tornare in Italia2» . Dopo una permanenza per ragioni di salute a Davos nei Grigioni, si stabilì a Zurigo dove ebbe modo di fare delle amicizie importanti. Il capoluogo elvetico, difatti, divenne ben presto uno dei luoghi preferiti dagli esuli antifascisti di tutta l’Europa. Tra questi il nome di Silone, che aveva lavorato nell’internazionale comunista, era stato in Francia e in Spagna, non era del tutto sconosciuto. L’antico militante che approdava alla letteratura per l’esigenza di capire e di riflettere3 poté allora entrare in contatto con alcuni di questi esuli avviando uno scambio fecondo che durerà negli anni. Ricordiamo alcuni di questi intellettuali: Georg Schmidt, Siegfried Giedon, Max Raphael, il poeta Jean Paul Samson. Particolarmente significativa si rivelò l’amicizia di alcuni giovani architetti provenienti dall’esperienza del Bauhaus Dessau. Con il loro sostegno Silone poté fondare la rivista «Information» che pubblicò e diresse fino al 1933. La rivista si occupava di letteratura e filosofia, di architettura, di cinema e di teatro4. Una vera fucina di cultura europea che fu all’origine della successiva, costante attenzione di Silone per i dibattiti e gli uomini della cultura europea. Ma ritorniamo agli amici di Zurigo. Tra i profughi vi erano i coniugi tedeschi Nettie Sutro e il marito Eric Katzenstein. Insieme la signora Sutro e Silone, per poter sopravvivere, lavorarono per qualche tempo a delle traduzioni. Di questo periodo scriverà non senza umorismo Silone: «Ricordo ancora con disgusto la fatica estenuante spesa attorno a un catalogo di utensili ad uso di parrucchieri per signora»5. Nel lavoro in comune Silone ebbe modo di parlare a Nettie del manoscritto di Fontamara che la signora gli chiese da leggere. Presa da entusiasmo, ella cominciò subito a tradurre il romanzo in tedesco. Al riguardo testimonierà Silone:

«Fu un atto di generosità anche l’interesse che Nettie portò ad un mio manoscritto, che poi lei tradusse in tedesco. Nessuno allora poteva prevedere, né l’autore né la traduttrice, che quel lavoro col titolo di Fontamara avrebbe fatto, qualche anno più tardi, il giro del mondo»6. Peraltro l’amicizia con Nettie aprì a Silone la strada per altri incontri ed altre amicizie. Nel suo salotto, infatti, al numero 140 della Mühlebachstr., convenivano Emst Toller7, Jacob Wasserman8, Martiri Buber. Dopo il fallimento del tentativo di pubblicare Fontamara in Germania, furono proprio questi amici a convincere Silone a pubblicare l’opera in Svizzera impegnandosi a sostenerne le spese con una sottoscrizione9.

La riscoperta dell’eredità cristiana.

L’ambiente dei rifugiati in Svizzera non garantì a Silone solamente solidarietà umana e amicizia. Esso gli permise di far la conoscenza di un universo culturale quanto mai ricco e vario, dal quale non era assente la problematica religiosa, piuttosto latitante invece tra i letterati italiani. Ho già ricordato Martin Buber. Il grande pensatore tedesco di origine ebrea dalla vicina Germania sempre più spesso si recava a Zurigo a rinsaldare lo spirito degli esuli della prima ora. Nato a Vienna nel 1878 e morto a Gerusalemme nel 1965, Buber secondo la testimonianza di Darina Silone, esercitò un influsso decisivo sul marito10.

Due i principali insegnamenti buberiani che ritroviamo nelle opere di Silone.

  1. Anzitutto il rispetto della religione ebraica di cui si parla per esteso in Una manciata di more. In un episodio alquanto improbabile per la collocazione geografica ma di grande delicatezza ecumenica il signor Stem, il padre ebreo di Stella, prima di morire raccomanda ai cafoni, ai quali affida la figlia, non solo l’affetto per la ragazza, bensì il rispetto della sua religione. L’insistenza sul rispetto lascia effettivamente pensare ad una conoscenza diretta con persone di fede ebraica quali Ernst Toller e lo stesso Martin Buber.
  2. L’amore per la Bibbia. Nel 1925 Martin Buber aveva messo mano a un’opera grandiosa. Aiutato dall’altro grande maestro ebreo, Franz Rosenzweig, egli aveva iniziato a tradurre la Bibbia in tedesco con lo scopo, anche a rischio di ricorrere ad una lingua desueta, di mettere il lettore a contatto con la parola di Dio, con le sue asprezze e sorprese, necessariamente smussate dal linguaggio sacrale della tradizione. Il lavoro fu portato avanti insieme da Buber e Rosenzweig fino al 1929, poi solo da Buber che vi lavorò fino al 1932. Dopo una lunga parentesi egli vi rimise mano nel 1949 portandolo a compimento nel 1961. L’opera di una vita, dunque, sostenuta, secondo l’assirologo Alfred Jeremias, da un «bruciante interesse»11 che il traduttore cercava di trasmettere ad amici e conoscenti. Anche Silone, secondo la già ricordata testimonianza della moglie, fu colpito dalla passione biblica di Buber al punto da conservare sempre presso di sé la Bibbia tradotta dallo studioso ebreo12.

Sulla spinta della rinascita religiosa, tra le due guerre, a Zurigo Silone venne inoltre a contatto con il pensiero dei cosiddetti socialisti religiosi. Due autori colpirono più degli altri l’autore di Fontamara: Leonhard Ragaz e Paul Tillich13.

Leonhard Ragaz era nato in Svizzera nel 1868. Dopo gli studi di teologia a Basilea e nelle principali università tedesche, divenne insegnante di religione e parroco. Nel 1906 promosse la fondazione del movimento socialista religioso per applicare i dettami del Vangelo alla lotta sociale contemporanea. Successivamente fu professore universitario, ma nel 1921 rinunciò all’insegnamento per seguire il Settlement Gartenhof, una scuola popolare per lavoratori. Considerato l’antagonista di Barth, per il suo orientamento pratico, Ragaz sosteneva che «il socialismo religioso non è né un socialismo colorato religiosamente, né un cristianesimo colorato socialmente, ma una crescita del cristianesimo dal quale scaturisce il suo senso sociale e socialista»14. Già nei titoli dei suoi libri (Il messaggio del regno di Dio, il regno di Dio e la sequela, da Cristo a Marx, da Marx a Cristo) si incontrano espressioni che saranno riprese quasi alla lettera da Silone.

Più complessa la personalità e l’opera di Tillich, l’altro grande teologo che esercitò un notevole influsso su Silone. Nato in Germania nel 1886, divenne ben presto famoso come pastore e come professore a Marburgo e a Francoforte. Nel 1933, all’avvento dei nazisti, dovette rinunciare all’insegnamento ed emigrò negli Stati Uniti. Di lui Silone ammirava l’insistenza sulla dimensione etica. Scriveva, ad esempio, in un articolo dal titolo Il socialismo come questione ecclesiale: «Finora era l’interrogativo dommatico a muovere la Chiesa, d’ora in poi sarà quello etico»15.

Questo il panorama degli incontri di Silone con il mondo culturale di lingua tedesca. Zurigo, tuttavia, era diventata una sorta di capitale della cultura europea. Lo scrittore italiano, dunque, ebbe modo di apprezzare e conoscere altri autori e pensatori europei. Qui è necessario ricordare due scrittori di lingua francese: Simone Weil e Albert Camus. Della prima scriveva Silone in un articolo del 1953: «Sono rimasto veramente sorpreso nel riscontrare come il dramma spirituale di questa ebrea francese somigli a quello di molti di noi»16, mentre nel saggio La scelta dei compagni ricorda Camus come amico e interlocutore. Dal canto suo Camus, subito dopo aver ricevuto il premio Nobel nel 1957, indicava in Ortega y Gasset e Silone i due scrittori europei a lui più vicini. Dell’italiano poi dichiarava: «Guardate Silone, che parla a tutta l’Europa. Se io mi sento legato a lui è perché egli è nello stesso tempo incredibilmente radicato nella sua tradizione nazionale ed anche provinciale»17. Ne possiamo dedurre che l’incontro con Buber, Ragaz e Tillich e l’ammirazione e l’amicizia per Simone Weil e Albert Camus furono all’origine della «riscoperta dell’eredità cristiana». Con questa espressione lo scrittore intendeva un cristianesimo demitizzato, attento alla dimensione etica, aperto all’anelito fibertario, calato nella tradizione dell’Abruzzo nativo. In una parola: un cristianesimo con il volto e le aspirazioni di Pietro Spina, il protagonista di Vino e Pane de Il seme sotto la neve, di Ed egli si nascose, che progressivamente riscopre la tradizione contadina e cristiana, si sente sempre più attratto dai racconti strampalati dei cafoni nei quali i protagonisti molte volte sono i santi. Piuttosto estraneo al mondo letterario italiano, Silone assimilava dunque la generale rinascita religiosa e culturale che si verificava in Europa tra le due guerre. Gli va peraltro riconosciuto il grande merito di non essersi limitato a prendere atto di questa rinascita a livello di riflessione e di pensiero, ma di averla elaborata creativamente nella sua opera di scrittore calandola nel fiero mondo contadino dell’Abruzzo nativo.

Linguaggio cristiano e situazioni bibliche

Protagonista di Pane e Vino18, di Il seme sotto la neve, di Ed egli si nascose, Pietro Spina è il personaggio in cui Silone maggiormente si è identificato, cui egli ha dedicato maggiore attenzione e cure. Se Fontamara era una storia collettiva in cui un intero paese di cafoni prendeva coscienza della propria condizione di sfruttati e cercava di reagire, Pietro Spina è l’intellettuale in rivolta il quale, dopo essere stato in esilio tanto dalla patria che dalla propria tradizione, ritorna al paese dove riscopre l’eredità cristiana che gli permette anche di riguadagnare la vicinanza alla sua gente, una nuova fratellanza e parentela. Ora in questo percorso di avvicinamento è interessante notare un crescente ricorso a immagini e a situazioni bibliche. Cominciamo con Vino e pane. Nella prima delle tre opere del ciclo di Pietro Spina le citazioni come le situazioni bibliche sono ricordate anzitutto da don Benedetto, il sacerdote‑maestro di Pietro, inviso alle autorità fasciste e alle gerarchie ecclesiastiche per il suo tenace antifascismo. Ricordando insieme ai suoi ex‑allievi l’assente e fuggitivo Pietro Spina don Benedetto commenta: «”Non crediate che sia una storia nuova” disse. “Tutt’altro, è una vecchia storia noiosa che sempre si ripete. Le volpi hanno le loro tane, gli uccelli del cielo hanno i loro nidi, ma il figlio dell’uomo non ha nulla sul quale posare la testa»19. Poi è Pietro stesso, accolto da un amico, a vivere una situazione biblica: «”Mi pare di essere in un Presepio” egli disse a Cardile. Perché l’immagine del Presepio fosse completa, bisognava, veramente, che egli fosse fiancheggiato dall’asino e dalla vacca. Nel suo caso l’asino e la vacca non mancavano, ma erano giù nella stalla, in compagnia di un cavallo, e solo di notte, perché durante il giorno dovevano guadagnarsi la paglia»20. Più tardi, poi, proseguendo l’iter di purificazione e di accostamento all’eredità cristiana, Pietro vestito da prete per sfuggire alla polizia fascista viene scambiato per un santo.

«”Il tuo prete” esse dissero a Matalena “conversa con gli uccelli, come san Francesco”.

“Sì, egli è un santo”, rispose la locandiera “un vero santo”»21.

Ma la parafrasi biblica più completa si trova a conclusione del romanzo quando lo studente Luigi Murica, viene ucciso dalla polizia fascista. Per i pochi amici accorsi al suo funerale il padre celebra una sorta di Eucarestia laica:

«”E’ lui” egli disse “che mi ha aiutato a seminare, a sarchiare, a mietere, a trebbiare, a macinare il grano di cui è fatto questo pane. Prendete e mangiate, questo è il suo pane”.

Altri arrivarono. Il padre versò da bere e disse: “E’ lui che mi ha aiutato a potare, insolfare, sarchiare, vendemmiare la vigna dalla quale viene questo vino. Bevete, quest’è ilsuo vino”»22.

Alla luce di questa parafrasi, anzi, si può sostenere che lo stesso titolo del romanzo, ha un sapore evangelico.

Passando a Il seme sotto la neve, la vita comune tra Pietro, Simone, il sordo Infante, l’asino Cherubino e il cane Leone ricorda la vita in comune dei primi cristiani descritta negli Atti degli Apostoli, mentre Infante il sordomuto che vive con Pietro e va gratuitamente ad aiutare una famiglia particolarmente bisognosa viene scambiato addirittura per Gesù. Da ultimo Pietro stesso che si offre volontariamente al sacrificio addossandosi l’assassinio compiuto da Infante ricorda Gesù che volontariamente va incontro alla croce.

Il dramma Ed egli si nascose è la trasposizione per il teatro di Vino e pane. La prima versione è del 1943, la seconda del 1966. Nel dramma il misticismo si accentua ulteriormente: dal titolo desunto da un versetto del Vangelo23, al personaggio di fra Celestino che acquista rilievo, dà un’impronta di comunione e di significato salvifico alla vicenda di Annina e Luigi Murica, alla stessa parafrasi dell’Eucarestia più sopra ricordata. Mentre nel romanzo le parole della consacrazione sono accompagnate da una sorta di esaltazione del lavoro, nel dramma cresce l’attenzione per l’elemento più propriamente spirituale. Dice Daniele, il padre di Luigi ucciso dalla polizia:

«Prendete, mangiate e bevete. Quest’era il suo pane. Quest’era il suo vino. Egli non se ne potrà più nutrire»24.

Commenta Pietro Spina: «Il pane è fatto di molti chicchi di grano. Perciò esso significa comunione. Il vino è fatto di molti acini d’uva, e anch’esso significa comunione». Conclude fra Celestino: «Ma prima di stare assieme il grano dev’essere macinato e l’uva dev’essere pigiata. Non c’è comunione senza sofferenza»25. In quest’ultimo brano, la citazione evangelica lascia il posto al linguaggio simbolico, un altro elemento tipico del mondo siloniano di cui dobbiamo parlare nell’ultimo punto.

Il linguaggio simbolico

 Citazioni e situazioni bibliche sono accompagnate nelle pagine di Silone da allegorie e simboli, tratti dalla tradizione contadina e cristiana. Sono forme del linguaggio contadino con le quali i cafoni cercano di sopperire alla loro insufficiente dialettica. Silone, invece, se ne serve per valorizzare la dura esperienza quotidiana dei cafoni e nello stesso tempo per conferire alla stessa un significato trascendente ed ecumenico, per stabilire una comunione tra le esperienze dei poveri e diseredati del mondo di qualsiasi latitudine di luogo e di tempo26.

In questo senso acquistano significato già le numerose statue ed effigie di santi di cui è ricco l’universo contadino, cosi come i romanzi di Silone. Queste statue27 che presentano una strana somiglianza con i contadini, sono venerate dai cafoni perché rappresentano comunque la possibilità di evadere dal loro mondo di stenti ed oppressioni. E’ il caso di san Giuseppe da Copertino, il santo dei poveri che al Patreterno in cielo chiede come ricompensa della sua santa vita un gran pezzo di pane bianco28 e di altri santi di Vino e Pane. Ancora più cariche di significato simbolico sono due immagini autobiografiche29 che ricorrono di frequente nelle opere di Silone: Gesù con il camice rosso e la figura di Lazzaro il ranocchiaro. Sottratti al particolare della cronaca, i due simboli impersonano l’ideale di giustizia e di comunione dei rivoluzionari, ma anche la serena certezza di sentirsi uniti a una tradizione che è più forte dell’ingiustizia e dell’oppressione del momento.

Di Gesù con il camice rosso parla anzitutto Uliva, il rivoluzionario disincantato e disperato di Vino e Pane. Egli ricorda a Pietro Spina:

« “Mi parlasti una volta di un tuo sogno segreto” disse Uliva. ‘Lo esprimesti in termini paesani: fare della Conca del Fucìno un Soviet e nominare Gesù presidente del Soviet. L’idea, certo, non sarebbe malvagia, se il figlio del falegname di Nazaret vivesse ancora realmente su questa terra e potesse esercitare personalmente quella funzione”».

Pietro gli risponde: «Se Gesù fu mai vivo, egli lo è ancora»30.

Ancora più complessa e articolata la figura di Lazzaro, uno dei protagonisti di Una manciata di more di cui Silone stesso offre un’interpretazione nei capitoletti introduttivi dell’Avventura31. In Una manciata di more Lazzaro è un contadino che non sa farsi i fatti suoi. Egli ha in deposito la tromba che soleva invitare i contadini a raccolta. Perseguitato dalle autorità egli scompare, ma questo conferisce un prestigio maggiore alla sua figura e alla sua tromba. Finché Lazzaro e la tromba possono ancora chiamare a riunione, vi è speranza per i poveri e timore e angoscia per gli oppressori. Presso di lui si ritrovano i contadini, i rivoluzionari antichi, i rivoluzionari nuovi.

«”Quando lo vidi la prima volta” disse Rocco “subito pensai d’averlo già visto”.

‘Torse ti ricordasti di certe immagini affrescate sui muri delle nostre chiese antiche” disse don Nicola. ‘1 santi che evangelizzarono le nostre valli e affrontarono il martirio, erano di questa specie»32.

Lazzaro e la sua tromba sono, dunque, il simbolo più completo di Silone. Essi esprimono immedesimazione con il destino della povera gente, lotta per i contadini e con i poveri, attesa di carattere messianico, speranza in una rinascita civile e morale. La figura di Lazzaro anticipa il discorso del regno, l’utopia di una società senza sbirri né leggi, fondata unicamente sull’amore di cui si parlerà più estesamente ne L’avventura di un povero cristiano.

Conclusione

Secondo il giudizio di Sapegno, al suo ritorno in Italia Silone era una voce alquanto spaesata nell’universo culturale italiano. Possiamo aggiungere che egli restò tale anche negli anni e nei decenni successivi. Questa sua estraneità, tuttavia, non era dovuta a una presunta, insufficiente formazione letteraria o al mancato inserimento nell’accademia italiana. Al contrario negli anni trascorsi in Svizzera Silone era venuto a contatto con correnti ed esponenti della rinascita religiosa in Europa, ne aveva subito il fascino, cercò di assimilarne il pensiero e di applicarlo alla lettura e alla interpretazione della tradizione contadina abruzzese. Più che un estraneo, allora, Silone ha rappresentato una possibilità di dialogo tra pensiero europeo e mondo contadino regionale secondo il lucido giudizio di Camus. Nello stesso tempo, sulla base del pensiero dei socialisti religiosi, egli istituiva un collegamento tra la speranza del regno di origine marxista e le attese messianiche e utopiche dei contadini che in Abruzzo potevano rifarsi all’attesa del regno suscitata dai fraticelli di ascendenza gioacchimita. Forse i letterati possono rimproverare a Silone un’insufficiente cura del dizionario, la poca varietà di personaggi e di situazioni. Egli ha impersonato, tuttavia, fino all’ultimo il tentativo di trasporre nella letteratura italiana temi della letteratura e del pensiero europeo, così come leale e impegnato è stato il suo tentativo di ricorrere all’eredità cristiana per cogliervi la forza morale per affrontare le sfide di un mondo che muta troppo in fretta. In questo, peraltro, è da cercare il segreto del suo successo che ancora dura.

 

1 Silone successivamente raccontò le ragioni della sua adesione al partito comunista e del distacco dallo stesso nella forma più compiuta in Uscita di sicurezza.

2 I. Silone, Memoriale dal carcere svizzero, a cura di L. Mercuri, Lerici, Roma 1979, p. 9s.

3 Cfr. il saggio “La scelta dei compagni”, in Uscita di sicurezza, Vallecchi, Firenze 1965, pp. 133‑149.

4 Cfr. L. D’Eramo, L’opera di Ignazio Silone, Mondadori, Milano 197 1, p. 510 ss.

5 Eric und Nettie, opuscolo apparso a Zurigo nel 197 in memoria di Nettie Sutro.

6 Citato da L. D’Eramo, op.cit., p. 18.

7 Scrittore tedesco morto suicida ricordato da Silone in Uscita di sicurezza, cit., p. 133.

8 Romanziere austriaco, tra i primi ammiratori di Silone. Scrisse a Nettie Sutro che riscontrava nel romanzo una «semplicità e grandiosità omerica».

9 Per queste notizie cfr. L. D’Eramo, cit., p. 18.

10 Premessa a Severina, Mondadori, Milano 198 1, p. 20.

11 Pamela Vermes, Martin Buber, San Paolo, Cinisello B. 1990, p. 93.

12 Premessa a Severina, Mondadori, Milano 198 1, p. 20.

13 Ancora nel 1972, invitato a parlare al san Fedele di Milano, Silone scelse come tema del suo intervento L’utopia politica e religiosa «limitandomi a delle precisazioni su qualche movimento e personalità a me più noti: Ragaz, Tillich, Buber». Lettera ad A. Scurani, in Id., Ignazio Silone, p. 138.

14 W. Deresch (a cura di), La fede dei socialisti religiosi, Jaca Book, Milano 1974, p. 86.

15 Deresch (a cura di), op.cit., p. 119.

16 Epoca 17 gennaio 1953.

17 Riportato da L. D’Eramo, op.cit., p. 95.

18 Il titolo originale del volume era appunto Pane e Vino, pubblicato a Zurigo nel 1937. Successivamente Silone riprese e rielaborò tutte le opere dell’esilio. Nella revisione svolta tra gli anni 50‑60, egli cambiò il titolo al romanzo premettendo il vino al pane per l’importanza che acquista la bevanda quale segno di amicizia tra i cafoni. Al riguardo cfr. L. D’Eramo, op.cit., p. 140.

19 Vino e pane, cit., p. 39.

20 Op.cit., p. 57.

21 Ibid., p. 131.

22 Ibid. p. 367.

23 Si tratta di Gv 12,36 che Silone cita espressamente in esergo, in latino: «et abiit et abscondit se ab eis».

24 Ed Egli si nascose, Le edizioni mondiali, Milano 1966, p. 83.

25 Ibid..

26 L’avventura di un povero cristiano, Mondadori, Milano 19 71, p. 33.

27 Cfr. in particolare Il seme sotto la neve, cit., pp. 38-40; 118; 128.

28 Cfr. Fontamara, cit., pp. 162‑162.

29 Uscita di sicurezza, p. 45 s.; L’avventura di un povero cristiano, p. 24s.

30 Vino e pane, p. 245.

31 L’Avventura di un povero cristiano, p. 24s.

32 Una manciata di More, Mondadori, Milano 1971, p. 289.

NOTA: testo rivisto dall’Autore, della conferenza tenuta a Brescia il 9.3.1999 su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.