La vastità del mare nell’anima dei Greci

"E’ il mare l’ immagine che ci domina, se pensiamo alla Grecia: ma il mare è tutto, principio e fine della vita e dell’ immaginazione, abitazione di ogni sgomento e speranza" scrive Grytzko Mascioni ne Lo specchio greco, il libro in cui dimostra che è soprattutto il mare a rispecchiare la civiltà greca.
Questa idea di Mascioni può essere facilmente condivisa: è sulle rotte del mare che i Greci dell’ età micenea si sono lanciati per conquistare l’ antica Troia e vi hanno poi errato come Ulisse per ritornare in patria; più tardi sulle rotte marine si sono dispersi per fondare le loro colonie, per combattere all’ Artemision e a Salamina contro i Persiani invasori, per lanciarsi nella folle spedizione in Sicilia. E’ nelle acque di Azio, un promontorio della Grecia occidentale, che nel 31 a.C. si è combattuta la battaglia, destinata a porre fine all’ ultima monarchia ellenistica e a farla assorbire all’ interno del mondo e della storia di Roma.
Il mare allora è sempre presente, non solo nella geografia della Grecia, ma anche nella storia e, possiamo aggiungere, nella sua letteratura. E nella lingua prima di tutto: se sfogliamo un vocabolario di greco, troviamo che non bastava una sola parola per designare un elemento naturale così fondamentale, e così i Greci impiegarono termini come thálatta o thálassa, ma anche póntos, oppure háls, o anche ricorrevano a delle perifrasi, per esempio quella che lo indicava come la distesa umida, oppure come il regno di Posidone, che ne era il dio. L’ abbondanza lessicale è allora la spia di un frequente impiego, di un costante riferimento verbale e scritto.
Non sarà difficile a questo punto ritrovare alcuni celebri miti greci legati al mondo marino, o ripercorrere qualche pagina di storia che lo abbia come sfondo. Potrebbe essere sufficiente nominare Ulisse per associare il mito greco al mare, oppure ricordare come storicamente sia stata la grandezza della flotta e della lega marittima, sorta tra Atene e gli alleati, a fare grande questa città attica. Per altre località è stato invece l’ invio di uomini nelle colonie a fare altrettanto: si trattava sempre di colonie raggiunte per mare, quasi sempre fondate sul mare per opera di gente che sul mare abitava anche nella madrepatria.
Tra gli innumerevoli episodi che a questo punto potrebbero essere ricordati, due mi sembrano particolarmente significativi da proporre, per mostrare il legame particolare che unisce il mondo greco al mare: il primo è di natura mitologica, il secondo invece storica.
Nella settima Olimpica di Pindaro, composta nel 464 a.C., il poeta celebra un pugile eccezionale, Diàgora di Rodi, vincitore di molte gare panelleniche e, in questa occasione, dei giochi olimpici della sua specialità. Dopo aver cantato le doti fisiche e morali dell’ uomo, Pindaro passa a parlare della sua patria e racconta come Rodi sarebbe nata, emergendo dal fondo del mare in cui anticamente giaceva. Quando gli dei si spartivano il dominio sulle diverse parti della terra, dice Pindaro, l’ isola ancora non esisteva; ma Elio, il dio del sole, che per il momento non aveva ottenuto nulla su cui regnare, scorse in fondo al mare quell’ isola. "C’ era,- diceva agli altri dei- e la vedeva crescere su dal fondo, una terra amica di greggi, agli uomini feconda". Zeus gliela concesse in dominio e così l’ isola per il momento senza nome germinò, emergendo dall’ acqua salsa. Su quella terra il dio Elio, poi venerato sotto la forma e col nome di Apollo, si unì in matrimonio alla ninfa chiamata Rodi, che diede il nome all’ isola: ne nacquero sette figli, accorti e saggi. Da loro derivò tutta la stirpe degli uomini di Rodi.
E’ certo un mito ricercato, anche difficile da cogliere in tutti suoi passaggi e collegamenti, che sono i famosi voli pindarici. Invece più accessibile e probabilmente più noto è il racconto che lo storico ateniese Senofonte fa della ritirata dei mercenari greci dall’ Asia Minore, dopo la spedizione a favore del principe persiano Ciro. La narrazione è contenuta nell’ Anabasi che, dopo aver descritto il viaggio di andata verso l’ interno dell’ impero persiano, ha tramandato il drammatico ritorno di quegli uomini sbandati e disorganizzati, che desideravano solo salvare la vita e ritornare a rivedere la patria e i loro familiari. Senofonte indugia nei particolari del caldo prima, poi del freddo e della neve da loro incontrati; degli attacchi dei nemici, della fame patita, dell’ errare senza meta, per aver smarrito spesso la strada. Finalmente, giunti a un passo di montagna al di là del quale lo sguardo può spingersi molto in avanti, i Greci scorgono il mare: "Thálatta, thálatta!" è il grido unanime ed entusiastico che si leva; il mare è la via di salvezza, la fine delle sofferenze e dei pericoli: il mare significa pace, casa, famiglia.
Le acque scorte dai mercenari di Senofonte erano quelle del mar Nero; per quel percorso, che si sarebbe rivelato ancora lungo e difficile, Senofonte e molti altri sarebbero poi effettivamente rientrati in Grecia.

Giornale di Brescia, 2.8.1998.