La vicenda del Nuovo Banco Ambrosiano

Alla costituzione del Nuovo Banco Ambrosiano, in quella successione convulsa di giornate che andarono da venerdì 6 agosto – quando venne costituita la nuova società che doveva rilevare l’azienda del vecchio Banco Ambrosiano attraverso l’atto di cessione e le autorizzazioni necessarie all’assunzione di questa azienda di credito – fino all’apertura degli sportelli il successivo lunedì 9 agosto posso dire che eravamo consapevoli dei rischi e dei problemi che avremmo dovuto affrontare. Ma anche dei risultati che già in quel momento potevano ritenersi raggiunti. Un giorno credo che cederò alla tentazione di raccontare come sono andate effettivamente le cose dicendo anche perché domenica 8 agosto mi trovai gravato da una responsabilità indubbiamente senza molti precedenti, dato che il consiglio di amministrazione mi aveva concesso un mandato per definire un contratto che era di dimensioni inusitate nella nostra storia economica e sapevo che non avrei più avuto la possibilità di riconvocare il consiglio di amministrazione e che quindi era un mandato che dovevo assolvere assumendomi per intero la responsabilità di quanto avrei fatto. A mezzanotte di quella domenica trovai la forza di dire che non avrei firmato se non fosse stata modificata una certa clausola che in effetti, un’ora dopo, all’una del lunedì, sette ore e mezza prima che si riaprissero gli sportelli, venne modificata.
Avevamo la consapevolezza di avere evitato una serie di inconvenienti che indubbiamente avrebbero portato a modifiche molto importanti nell’assetto bancario, ma che non si sarebbero fermate a questo aspetto data l’importanza trainante che ha nell’intera economia e finanza di un paese. Si era evitato, attraverso alcune iniziative e il raggruppamento di quelle banche, che il dissesto del vecchio Banco Ambrosiano finisse con il rilievo di tutto il gruppo, compresi la Banca Cattolica del Veneto e il Credito Varesino, da parte di un’unica banca pubblica che era già pronta.
Ognuno può giudicare quali effetti avrebbe avuto sulla geografia del sistema bancario italiano, già così squilibrata a vantaggio del settore pubblico. Sarebbe infatti risultata dimezzata la parte residua rimasta in mano ai privati. Un’altra possibilità era la chiusura temporanea degli sportelli con il conseguente crollo dell’azienda bancaria che aveva già visto dimezzati nel giro di pochi mesi i depositi e che sicuramente non avrebbe retto al panico determinato da una chiusura. Ne sarebbe conseguita l’assunzione da parte di una o più banche, al solo fine di spartirsi gli sportelli, ma con effetti ancora più disastrosi. Tali effetti sarebbero ricaduti sull’occupazione; avrebbero determinato la distruzione di un patrimonio aziendale e di avviamento che invece nella combinazione che si è realizzata è stato stimato addirittura 350 miliardi; avrebbero portato all’annullamento brutale di ogni residua aspettativa dei vecchi azionisti. In più si sarebbe realizzata la successiva spartizione delle due banche del gruppo, delle due banche controllate dall’Ambrosiano a vantaggio ancora una volta delle banche più forti che sono quelle pubbliche, come insegna la vicenda ultimissima di rilievo dell’IBI da parte della Cassa di Risparmio delle Province Lombarde. Voglio dire qui con chiarezza, con fermezza che questi risultati ci appaiono di assoluta gravità; questi esiti erano invece auspicati, anche se in modo inconfessato, da molti autorevoli esponenti del mondo bancario e finanziario italiano. Posso dire di averne avuto le prove – ma anche questo fa parte del racconto da rinviare ad altri tempi – attraverso la conversazione con uno di questi esponenti del mondo bancario pubblico che tuonava contro l’autoritarismo di tipo amministrativo che ha portato al decreto di liquidazione coatta amministrativa e che quindi ha consentito il subentro del Nuovo Banco Ambrosiano. Questo personaggio invocava le leggi di mercato; leggi che in questo caso avrebbero portato all’annullamento brutale di interessi, di aspettative e di una realtà occupazionale e professionale dell’entità di quella del vecchio Banco Ambrosiano, che impiega oltre 4000 dipendenti.
Tutti avevamo la consapevolezza se non una consapevolezza piena, una consapevolezza ampia, di quelle che sarebbero state le difficoltà da affrontare, ma ovviamente queste si sono meglio definite e si sono ampliate successivamente. Per parlare delle quali ho fissato dieci punti, dieci problemi, ciascuno dei quali apparirà di una complessità e di un’imponenza da far paura. Sono obiettivi da conseguire e in parte conseguiti per la realizzazione di un Nuovo Banco Ambrosiano, forte e affidabile.
Il primo punto, il primo obiettivo era quello dell’arresto dell’emorragia di depositi del vecchio Banco Ambrosiano: si era passati a quasi 1800 miliardi dai 3600 che apparivano nell’ultimo bilancio, obiettivamente un po’ ‘drogato’. Bloccare l’emorragia e invertire la tendenza perché, secondo punto, secondo obiettivo occorreva ed occorre conciliare quelli che appaiono due termini inconciliabili su un piano di conto economico e aziendale: mantenere il personale, più di 4200 persone, con un lavoro dimezzato e, sempre per quanto riguarda i rapporti con il personale, decidere soprattutto per quanto riguarda il personale direttivo, quale meritasse affidamento e quale no.
Terzo punto, ricostruire l’immagine del Banco nei confronti delle altre banche italiane e soprattutto estere. La complessità di questo problema si può misurare considerando che una parte delle banche estere erano state abbandonate al destino della holding lussemburghese quindi con ridotte possibilità di recupero dei propri crediti; viceversa un’altra parte, quella che vantava crediti direttamente nei confronti del vecchio Banco Ambrosiano e che sono stati assunti dal Nuovo Banco Ambrosiano, poneva scadenze dell’ordine di 1000 miliardi di lire in valuta nell’arco di tempo fra settembre e ottobre. A questo punto seguì l’inevitabile attesa e quindi la necessità di superare vittoriosamente tutti i contenziosi legali che era logico aspettarsi e che di fatto sono giunti da tutte le direzioni. Sono arrivato a un quinto punto, i vecchi azionisti. Questo è veramente un problema enorme per la Lombardia, soprattutto per Milano e per la sua provincia. Io sono convinto che i risvolti di questo problema – la gravità della crisi di sfiducia, di delusione, di rabbia che la perdita dei propri risparmi ha determinato in un numero altissimo di famiglie, quasi 40000 – non sono stati ancora conosciuti e misurati né da un punto di vista civile né economico, né politico e neppure religioso. Ben presto questo è apparso essere non solo un problema da un punto di vista di ordine ambientale, di ordine diciamo pure ideale, morale, ma un problema centrale, forse il principale anche dal punto di vista aziendale, perché è risultato che nessuna banca era così compromessa nei confronti dell’ambiente del proprio azionariato come il vecchio Banco Ambrosiano: infatti clienti, dipendenti, tutto l’ambiente in cui operava il vecchio Banco Ambrosiano era un ambiente di azionisti.
Altro problema, altra difficoltà che si temeva e che si è concretizzata: giungere a un accordo il più possibile funzionale, unitario, perché una società deve esprimere una volontà, attraverso una composizione così eterogenea, per natura, per dimensioni, così ampia per composizione dei consigli di amministrazione. Il consiglio del Nuovo Banco Ambrosiano ha 18 membri più 5 membri del collegio sindacale sono 23 persone: una piccola assemblea. E ancora l’esistenza di un’opinione pubblica giustamente turbata e sconcertata dalla vicenda precedente e che quindi non poteva legittimamente operare distinzioni tra il prima e il dopo. Basti pensare, ad esempio, al giudizio nei confronti delle autorità centrali: noi abbiamo bisogno di un’opinione pubblica che sia convinta che la Banca d’Italia e gli organi centrali in questa vicenda si siano comportati in un modo ineccepibile; ma è molto difficile superare il convincimento – in parte giustificato – dell’opinione pubblica, che sino a quel momento non si poteva dire altrettanto.
Ancora, l’opposizione, vorrei dire, l’influenza manovrata sugli organi di stampa di quelle forze che come dicevo prima non avrebbero voluto questa operazione e che allora hanno indirizzato nei confronti del Nuovo Ambrosiano critiche di ogni genere, sotto i profili più diversi e molte volte contraddittori. Si è passati dalla fase in cui si diceva che queste sette banche erano da assimilare a degli squali che avevano voluto impadronirsi di una preda a una fase diversa in cui alla prima avvisaglia di difficoltà si è detto che era stato un grosso errore e che se potessero i protagonisti di questa operazione tornerebbero indietro. Ma, come è noto, la critica maggiore è caduta sulla banca della Centrale e sui problemi connessi alla necessità di smettere le partecipazioni non bancarie in ossequio alle prescrizioni delle autorità bancarie. Ciò in una situazione che, anche per quanto riguarda la Centrale, non è di tutta tranquillità stante il fortissimo indebitamento che la Centrale stessa, nonostante la consistenza patrimoniale, registra fondamentalmente a seguito dell’operazione di acquisizione della Rizzoli, effettuata più di un anno fa. Infine il problema strettamente collegato all’ultimo discorso, il problema che di tutti forse appare il più difficile da risolvere, perché è quello che ha le maggiori implicazioni di ordine politico, il problema più scottante che è appunto quello del “Corriere della Sera” e dell’editrice Rizzoli. Ho puntualizzato alcuni dei principali problemi, delle difficoltà che abbiamo dovuto affrontare, ma sicuramente questo elenco non è esaustivo. Vediamo rapidamente di indicare come e in che misura si sia riusciti ad avviare la soluzione e a fronteggiare queste difficoltà. L’arresto dell’emorragia si è verificato a partire dai primi di ottobre. L’emorragia infatti era continuata per inerzia fino alla fine di settembre, raggiungendo anzi il punto più basso con 1800 miliardi di depositi. Nel giro di due mesi si sono recuperati più di 400 miliardi e oggi siamo a oltre 2200 miliardi di depositi. Questo è stato conseguito attraverso un lavoro che si è mosso in due direzioni: primo, attraverso il recupero della fiducia dei vecchi azionisti che come ho detto in gran parte erano depositanti e che se avessero deciso di togliere la fiducia avrebbero portato lo scivolamento dei depositi a dimensioni non più accettabili; secondo, attraverso un’azione promozionale di tipo nuovo che portasse anche questa banca, che negli ultimi tempi indubbiamente era stata retta con la mente più rivolta a grandi problemi strategici che a un impegno effettivo, a ritrovare quegli aspetti di efficienza e di produttività quotidiana che sono peraltro necessari perché qualunque azienda funzioni e prosperi.
Per quanto riguarda il personale, anche se non abbiamo assunto un impegno formale a mantenere il livello di occupazione che abbiamo trovato, ci siamo impegnati a fare di tutto, perché non si risolvesse questo gravissimo problema attraverso licenziamenti . Lo sforzo è consistito soprattutto nel riservare a questo personale, che è complessivamente di un buon livello professionale, un migliore utilizzo estendendo l’area della presenza della banca con la ricerca che è consentita di spostamenti da sportelli che impegnavano meno personale a sportelli in località più interessanti che quindi potevano assorbire una parte del personale eccedente. Ma lo sforzo è stato finalizzato soprattutto a ricercare nuovi filoni di impegno attraverso un potenziamento di quell’area di servizi su cui soprattutto le banche estere si sono da tempo indirizzate. Per quanto riguarda il rapporto con le banche estere siamo stati in grado attraverso anticipazioni della Banca d’Italia e ovviamente attraverso la capitalizzazione del Banco – che come tutti sanno ha portato nelle casse dello stesso 600 miliardi – di rimborsare alla scadenza tutti i 1000 miliardi che dovevano essere rimborsati entro la fine di novembre; ottenendo altri rinnovi e principiando con le banche un rapporto che si avvia a diventare corrente.
La settimana scorsa abbiamo avuto un incontro a Milano con i rappresentanti delle banche estere in Italia che sono affluiti compattamente e che hanno offerto alcune interessanti garanzie in ordine alla ripresa piena dei rapporti, pur dovendosi tener presente che tra le persone che hanno partecipato a quella riunione c’erano anche i rappresentanti di quelle banche nei cui confronti il Nuovo Banco Ambrosiano non ha assunto alcun impegno e che quindi rimettono la loro speranza di recupero soltanto alle sorti incerte, anzi incertissime, della liquidazione.
Non parlo del contenzioso, perché i tempi della nostra giustizia sono così lunghi che per dare un bilancio dei risultati di queste liti potremmo aspettare ancora vent’anni. Certo posso dire che sono state confermate tutte le previsioni che avevamo fatto circa l’ampiezza di questo contenzioso. C’è stato un contenzioso, che appare sempre più vasto, di ordine amministrativo, cioè ricorsi contro il decreto di liquidazione coatta amministrativa quindi contro il ministero e come contro interessati anche contro il Banco Ambrosiano da parte ovviamente soprattutto di azionisti. È di questi ultimi giorni un ricorso presentato anche dalla DOR che si ritiene evidentemente danneggiata nei propri interessi di azionista da questo provvedimento.
Ci sono state poi azioni incivili intese a far dichiarare la nullità dell’atto di cessione e persino ricorsi al pretore per richiedere provvedimenti di urgenza; questo è l’unico genere di contenzioso che, siccome richiede tempi brevi, è già stato fino ad ora risolto; ed è stato risolto a favore dei resistenti. Mentre si è risolto non tanto a vantaggio del Banco che non era parte in causa, ma a vantaggio della liquidazione la causa civile in primo grado relativa alla dichiarazione dello stato di insolvenza.
Veniamo all’opinione pubblica. Io ritengo che finora su questo piano abbiamo ottenuto dei risultati più che soddisfacenti. Nonostante gran parte delle riserve avanzate non fossero disinteressate, ma manovrate, siamo tuttavia riusciti, mi pare, a fugare in gran parte le riserve o per lo meno a impedire che esse trovassero una risonanza ampia nel pubblico, cui si deve riconoscere sempre la capacità di giudicare con la propria testa e secondo buon senso. A me è capitato anche di superare delle riserve prima intime poi un po’ anche di tutti i miei colleghi e amici con cui mi ero consultato, i quali mi avevano detto: “guai ad entrare in polemica coi giornalisti; è sempre una cosa negativa”. È capitato invece che prendessi anche la penna e rispondessi, perché quando certe critiche superano ogni limite di civiltà io ritengo e ho ritenuto allora che il non rispondere, il non scendere in sia pure garbata polemica significa rassegnarsi la volta successiva ad essere bersaglio di termini ancora più ingiuriosi. Se c’è una persona dal nome autorevole che si permette di dire certe cose, figuriamoci se i giornalisti dei quotidiani e soprattutto quelli delle riviste che adesso vanno tanto di moda nel trattare le questioni economiche non si potevano permettere di aggiungere a quello che era stato detto ben altro. Direi che forse l’elemento decisivo per questa opera di convincimento nei confronti della stampa è stato l’assunto che l’acquisizione della Centrale da parte del Nuovo Banco Ambrosiano era finalizzata non a conservare le partecipazioni non bancarie, non a mettere le mani sul “Corriere” e sugli altri organi importanti di stampa che fanno capo al gruppo Rizzoli che controlla complessivamente quasi un terzo degli organi di stampa italiani, ma era legata a una visione ostensibile a tutti, spiegabile davanti a tutti quale quella di mantenere integro il gruppo bancario rappresentato dalla Banca Cattolica del Veneto, dal Credito Varesino facenti capo all’Ambrosiano. Allora la possibilità di sciogliere questo nodo era ed è legata anche al fatto che il Banco Ambrosiano non è solo il Banco Ambrosiano, è il gruppo Ambrosiano. Se si considera l’insieme dell’Ambrosiano più la Cattolica del Veneto e il Varesino passiamo di colpo a una delle banche potenzialmente più belle dell’Italia settentrionale, con 360 sportelli dislocati in modo che i tecnici ritengono ottimale. Oltretutto il mantenimento dell’integrità di questo gruppo aveva anche il significato ineccepibile di modificare il meno possibile gli equilibri e gli assetti del sistema.
Procedendo verso la conclusione, intendo parlarvi dell’impegno che abbiamo assunto di ristrutturare la Centrale. La Centrale interessa in quanto è il tramite, l’elemento di collegamento e di trasmissione da parte del Banco alle altre due banche (la Cattolica del Veneto e il Varesino) delle direttive al fine di realizzare quelle che si chiamano le sinergie di gruppo. Questo sistema del collegamento indiretto tramite una finanziaria garantisce il rispetto dell’identità, delle caratteristiche culturali, geografiche, ambientali di queste due banche più che non un’acquisizione diretta.
Il compito, la scommessa da affrontare da questo punto di vista è quella di riuscire a conciliare l’integrazione dal punto di vista tecnico-economico con il rispetto delle autonomie. Il programma quindi di ristrutturazione della Centrale è soprattutto un programma di dismissione delle partecipazioni non bancarie.
Adesso sono trascorsi tre mesi e mezzo dall’inizio dei nostri lavori: l’impegno preso era quello di approvare entro 6 mesi questo piano con delibere degli organi competenti, cioè del consiglio di amministrazione della Centrale e del consiglio di amministrazione del Nuovo Banco Ambrosiano. Io ho detto fin dall’inizio e qualcuno mi ha dato del matto, trovando in questo la riprova negativa del fatto che alla presidenza del Banco Ambrosiano era andato uno che non era banchiere e che non si peritava di nasconderlo, che 6 mesi sono sufficienti per realizzare questo programma.
Dopo averlo presentato al consiglio di amministrazione competente, ho presentato questo programma come un mio progetto personale e ne ho dato un’anticipazione alla stampa, a costo di farmi tirare le orecchie dalla CONSOB, che, per la verità, ne aveva qualche motivo. In questo modo tutti sono stati costretti a dire quali erano le varianti, le alternative che avessero eventualmente a proporre al programma. Il quale comporta che siano cedute, attraverso la creazione di altre due finanziarie, rispettivamente le partecipazioni editoriali e le partecipazioni assicurative, soprattutto la Toro Assicurazioni. Perché le due finanziarie? Questo al fine di consentire agli azionisti della Centrale che volessero, che fossero interessati a non perdere una quota in questa società che sono veramente l’una l’opposto dell’altra: la Rizzoli è un’azienda in grave crisi mentre la Toro è un’azienda gioiello e forse più preziosa delle partecipazioni bancarie. Non voglio dire assolutamente che ci sia qualche cosa che non va nelle partecipazioni bancarie, ma i miei amici di banca mi insegnano che in questo momento si guarda alle banche con una sicurezza meno salda nel futuro di quanto si guardasse nel passato: al contrario gli esperti – ma per fortuna gli esperti molte volte sbagliano e dico per fortuna dato che noi stiamo pensando di cedere la Toro – sostengono che il futuro invece garantisce ancora prospettive brillantissime al settore assicurativo. Quindi la formula delle due società potrebbe consentire agli azionisti della Centrale di avere la possibilità di esercitare diritti di opzione nei confronti di una o dell’altra delle due società. Quasi provocatoriamente ho afferamto al proposito che se non si troveranno dei compratori per la Rizzoli saranno ceduti gratuitamente i diritti di opzione ai soci; il che ispirato una vignetta che ho trovato molto efficace sulla “Repubblica” e rappresenta una scena di questo genere: Angelo Rizzoli (o Tassan Din, non ricordo) dice “comprati e venduti sì, ma regalati poi!”.
E veniamo infine all’ultimo punto, che riguarda il “Corriere della Sera”. Ho già detto che per quanto riguarda il mantenimento degli impegni presi è sufficiente la presentazione di questo piano, perché noi ad un certo punto abbiamo a dismettere come Centrale la partecipazione nell’editoriale Rizzoli. Questo sarebbe stato un programma minimo e sufficiente. Tuttavia ci siamo caricati di un impegno maggiore pur con la consapevolezza di rischiare molto dal punto di vista della credibilità; abbiamo ritenuto che essendo nella condizione di proprietari sia pure di minoranza della Rizzoli e di creditori come Banco Ambrosiano della medesima, avessimo una posizione di particolare forza che forse ci avrebbe potuto consentire di sciogliere questo nodo che ormai da mesi per non dire da anni si cerca invano da tutte le parti di sciogliere e che rappresenta veramente uno degli aspetti più conturbanti della nostra vita nazionale e uno degli elementi di instabilità del nostro sistema politico. Sono tanti i politici che mi avevano detto, e l’hanno detto a mio avviso con buona ragione, che questo è uno dei principali problemi della vita politica italiana di oggi. La nostra posizione di forza ha consentito di chiarire la cosa e di farlo in tempi brevi, se si considera che sono passati meno di tre mesi da quando abbiamo affrontato questo problema. Il nostro obiettivo se ci riuscisse sarebbe quello di favorire una cessione o dell’intero gruppo Rizzoli o quanto meno dell’editoriale del ”Corriere della Sera”, a seconda se sarà più facile trovare compratori per l’intero gruppo o per questa testata. Compratori che rispondano, come ho detto più volte e sono ormai ripetizioni persino stucchevoli, a quei criteri di obiettività, di trasparenza che sono quelli che l’opinione pubblica chiede. E l’opinione pubblica chiede che anche questa vicenda si concluda in un modo comprensibile: se ci sono dei soldi da pagare occorre trovare chi ha questi soldi. Se non è un gruppo solo, come tutto ormai induce a ritenere, ad essere disponibile a trovare le somme occorrenti per questo acquisto, si riuniscono dei gruppi e se anche sono gruppi tra di loro in qualche modo confliggenti si mettono d’accordo. Diano luogo, cioè, a un gruppo di carattere pluralistico, che non sarebbe un male soprattutto se poi s’inventasse qualche formula che assicuri il contemperamento tra i vantaggi del pluralismo e le esigenze della funzionalità. Ritengo che sia già un contributo da considerare in termini senz’altro apprezzabili, il fatto che sia stato conferito il mandato alla Centrale, in una situazione che si è di colpo fatta chiara nel momento in cui la Rizzoli ha chiesto e ottenuto l’amministrazione controllata, perché questo significa che tutto ormai si svolge sotto gli occhi e con la necessaria autorizzazione del giudice. Quale sarà l’esito di questo mandato non sono in grado di dirlo. Ho però ritenuto di incoraggiare questa soluzione su cui oggi purtroppo si sono addensate alcune ombre che sarà doveroso cercare di allontanare nell’interesse non solo della nuova banca, ma nell’interesse proprio di una corretta impostazione e soluzione di questo problema. Indipendente dall’esito di questo mandato, cioè anche nell’ipotesi che non si trovasse un gruppo di compratori della Rizzoli o del Corriere della Sera, io credo che questo sarà stato comunque un contributo di estrema chiarezza perché io voglio vedere qual è il gruppo rispettabile che non essendosi in ipotesi fatto avanti in questo periodo in cui contrattare con la Centrale e con le garanzie che da questa sono state date di serietà e di pubblicità, aspetti che si concluda questo mandato per poi rivolgersi ai proprietari della Rizzoli cioè al duo Tassan Din – Angelo Rizzoli. In ogni caso il Corriere della Sera un compratore lo troverà: il problema è solo di vedere se lo troverà attraverso un’acquisizione dalla Rizzoli “in bonis”, come si dice in termini giuridici, o se lo troverà attraverso il rilievo di una Rizzoli che sia entrata in una qualche procedura.

NOTA: testo, non rivisto dall’Autore, della conferenza tenuta a Brescia il 30.11.1982 su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.