La vita culturale nell’Italia settentrionale tra principato e impero

I. Cenni preliminari
In via preliminare sarà opportuna qualche precisazione sui termini impiegati e sui limiti dell’esposizione che segue. La parola "provincia" qui non avrà significato tecnico, cioè politico- amministrativo (con o senza pienezza di diritti civili), ma il valore generale di area periferica. Quindi "vita di provincia" si deve intendere nel senso che la locuzione ha nel linguaggio comune: cioè l’esistenza che si conduce nei piccoli centri lontani dalla capitale e dalle metropoli, con orizzonti limitati e prevalenti interessi locali, secondo un ritmo disteso che non piace agli ambiziosi e agli smaniosi di novità. Nel vocabolario latino mi pare che manchi un corrispettivo adeguato: per es. Plinio il Giovane descrive spesso la vita di provincia senza usare un termine specifico per designarla.
Ancora più difficile è denominare l’arca geografica da considerare. L’espressione "Italia settentrionale" è moderna, ma ormai entrata nell’uso anche degli antichisti , perché pare più adatta a circoscrivere la zona con l’estensione e la flessibilità necessarie (escluse le parti estreme a est, ovest e nord), meglio che la Cisalpina o la Transpadana o le regiones X e XI augustee . Qui convivono Insubri (Milano, Pavia, Como), Celti (Brescia, Verona, Padova, Vicenza), indigeni, Romani e immigrati di ogni provenienza, se si considera la cosa in modo acronico e globale .
Naturalmente la situazione è diversa secondo le epoche e le plaghe, per effetto di una mobilità indotta anche dalle vicende esterne (è il caso di Cremona) . Il livello di romanizzazione culturale è più alto in pianura che nelle valli; nella prima precede la conquista. Il possesso dei diritti politici è diverso da zona a zona e secondo i livelli sociali, ma a metà del I sec. a.C. è ormai generalizzato. L’omogeneizzazione è notevole, e al di là delle etnie l’unità culturale è forte. II comasco autore della Naturalis Historia può chiamare conterraneo il veronese Catullo (Praef. 1). Virgilio, che frequenta la scuola primaria a Mantova, va a Cremona per la media (o grammatica) e a Milano per le superiori (o retorica), prima di andare e a Roma e in Campania, pur rimanendo, sempre, mantovano e padano.
La sua vicenda è emblematica della condizione dell’Italia settentrionale. Molti uomini di questa vanno a Roma senza recidere le proprie radici. Il settentrionalismo di Virgilio, Livio, Plinio non è spirito di secessione, ma orgoglio della periferia di contribuire come tale alla grandezza di Roma. È noto che la storia romana vede la successione di fasi di contributi da zone diverse, anche più periferiche, dell’Impero, sia sul piano politico che su quello culturale. C’è il momento degli Italici come quello degli Spagnoli e così via. Anzi, l’orgoglio provinciale non contraddice neanche a una sorta di ecumenismo, poiché la carriera politica e gli studi mettono in contatto con altri popoli. Plinio il Giovane mantiene rapporti con gli spagnoli; lui e Tacito sono conosciuti oltralpe per le loro opere .
Si potrebbe dire piuttosto che i settentrionali si considerano in un certo momento come i veri romani sul piano morale, mitizzando la caratteristica della severità dei costumi, che la tradizione attribuiva agli antichi Quiriti. Si veda come Plinio insiste sulla moralità di alcuni centri urbani: raccomandando Minicio Aciliano, elenca come titoli a suo favore la nascita a Brescia e la discendenza da Padova: patria est ei Brixia, ex illa nostra Italia, quae multum adhuc verecundiae, frugalitatis atque etiam rusticitatis antiquatis retinet ac servat… Habet aviam maternam Serranam Proculam e municipio Patavio. Nosti loci mores: Serrana tamen Patavinis quoque severitatis exemplum est (epist. 1,14,4-6) . Non la secessione, ma la successione, e libertà nell’unità, sembrano le formule più corrette per designare questa situazione .
La coscienza di essere i veri romani per qualità morali (e forse anche per forza attiva) si accorda perfettamente con la difesa delle proprie libertà e dei loro simboli, come la statua di Bruto. L’accorto potere centrale non se ne preoccupa. Anzi, nel racconto di Plutarco, Vita di Dione e di Bruto 58 (5), Augusto, venuto in visita a Milano, loda i cittadini per la loro fedeltà verso gli amici nelle avversità; invece il proconsole L. Pisone fa zittire gli spettatori che in un processo applaudono troppo il difensore, il novarese Albucio Silvio, ma questi considera l’intervento dei littori come una limitazione della libertà e invoca la memoria di Marco Bruto, la statua del quale si ergeva nel luogo (Svetonio, Rhetores 30).
Tuttavia la prospettiva, che si vorrebbe qui considerare, non è quella dei settentrionali che, in politica o nella cultura o nell’amministrazione, sono inseriti direttamente nella storia grande di Roma e vi portano, in questo periodo, un contributo notevole . Si vorrebbe invece indagare sugli aspetti di vita locale. Su questi possono informare l’archeologia e l’epigrafia, con notizie non solo sulla cultura materiale e l’ambiente, ma anche sulle persone e le attività amministrative. Più interessante ancora sarebbe scoprire che cosa sta dietro le manifestazioni esteriori, per così dire i retroscena umani, le reazioni ai fatti o i modi di sentire, gli atteggiamenti e gli interessi reali. Per questi bisogna interrogare la letteratura intesa in senso stretto, ma non la grande storiografia, che si occupa principalmente dei problemi generali e delle personalità eminenti (nel bene e nel male). Purtroppo le fonti utili sono povere e lacunose: paradossalmente conosciamo meglio certe situazioni della Gallia del tardo impero (attraverso i XII Panegirici Latini) o della Bitinia del principio del II sec. d.C. (attraverso la corrispondenza di Plinio con Traiano), piuttosto che le vicende interne e quotidiane dell’Italia Settentrionale, anche nel periodo di massima vivacità . Però la critica recente sta facendo uno sforzo notevole per gettare luce sulle storie locali come sulla situazione e la cultura delle classi subalterne, attraverso le notizie indirette. Anche per l’Italia Settentrionale la bibliografia si arricchisce, soprattutto per merito degli storici, che vanno al di là dei nudi fatti. Naturalmente, usando testimonianze propriamente letterarie, come qui si vorrebbe fare, bisogna tener conto della lente deformante propria del genere.

 

2. La dimensione dell’intellettuale del Nord Italia: grammatica e praticità, cultura e politica
Molto sulla vita di provincia, e non solo intellettuale, si può ricavare dai grandi autori settentrionali, Catullo, Virgilio, Livio. Non mi soffermerò su questi, per i quali esiste una buona bibliografia , perché lo spazio non me lo permetterebbe. Ma devo sottolineare un particolare interessante, che accomuna i tre grandi, cioè l’interferenza della politica nella loro opera o nella valutazione della loro opera.
Il giudizio di Asinio Pollione sulla patavinitas di Livio è anche linguistico (l’atticismo dell’uno è antitetico alla lactea ubertas dell’altro), ma non è solo linguistico. Non mi pare azzardato confrontarlo con la qualifica di pompeianus che Tacito mette in bocca ad Augusto a proposito dello storico. Tale giudizio è politico-morale: “pompeiano” vuol dire “repubblicano”, cioè legato al passato di severità, moralità e libertà. Questi sono in parte anche i valori della restaurazione augustea (sentiti o meno che siano). Di questi valori ancora per molto tempo sarà simbolo proprio Padova, come si è visto . Ma a Padova Pollione aveva avuto occasione di esercitare una dura repressione: quindi patavinitas non poteva essere per lui un epiteto neutro . Essendo contrario, almeno nell’ultimo periodo, alle idee di Augusto, Pollione doveva esserlo naturalmente anche verso altri portatori di quelle idee: anzi, attaccare Livio repubblicano e conservatore poteva riuscire un modo indiretto di colpire Augusto. L’attenzione al passato, inoltre, poteva essere tacciata di astrattezza, e anche in questo Pollione, il quale era giunto alla storia dalla politica attiva, non poteva concordare con Livio, che veniva invece da studi di grammatica e di filosofia. Pollone era anche lui un Italico, ma più sprovincializzato e, finché gli fu possibile, attivo.
Politicizzata in se stessa è la vicenda letteraria di Cassio Parmense, il quale era un deciso oppositore di Ottaviano. Di lui si ricorda la partecipazione attiva alla campagna di propaganda contro 1a parte avversa, combattuta senza esclusione di colpi. L’unica testimonianza diretta che ci rimane è quella conservata da Svetonio nella biografia di Augusta: Ottaviano viene presentato come una specie di mostro uscito dal connubio tra la figlia di un mugnaio e un cambiavalute di provincia. L’accusa di ignobilitas familiare (ricorda Orazio!) doveva essere frequente nelle polemiche, se Cicerone mostra di risentirsene nella Filippica 3,6,15. Ma Cassio non era solo un feroce libellista, animato da odio politico: secondo lo scolio a Orazio, Epist. 1,4,3 (nella quale si fa cenno agli opuscula di questo autore) avrebbe composto anche elegie, epigrammi e tragedie. Dunque aveva fama di letterato, onde una notizia leggendaria sulla sua fine lo fa morire ad Atene (la città della cultura per eccellenza), assassinato mentre stava studiando e derubato di scritti spacciati poi da altri per propri. Cassio era epicureo come molti settentrionali, ma l’epicureismo settentrionale, come altri periferici, per esempio quello campano, non proibiva la poesia e in più non impediva neanche la partecipazione politica. A sua volta la passione politica, scendendo ai bassi livelli dell’insulto, non precludeva la buona letteratura né l’alta poesia: Catullo docet.
Quindi il neoterismo può nascere con tutti i suoi pregi in mezzo al ribollire delle passioni, ai cambiamenti di partito, al rimescolamento delle genti. Ma non nasce nel deserto culturale. Nel Nord Italia la grande poesia è preceduta (e in un certo senso preparata) dalla fioritura delle scuole dei grammatici. Svetonio, De grammaticis 3,6, fa anche i nomi, onde Della Corte spiega: "Impiantate da Teucro, Isacco, Garete, nella Gallia Cisalpina… le scuole di grammatica fioriscono particolarmente nelle colonie più illustri della pianura padana, dalle quali vennero a Roma i letterati della generazione seguente: Valerio Catone, Catullo, Cinna, Bibaculo, Cornelio Nepote, Virgilio” .
Quindi nella regione si crea un’atmosfera di cultura, tanto che quando Bruto si prepara ad andarvi come governatore, Cicerone può assicurarlo che là egli potrà realizzarsi pienamente, aggiungendo agli impegni amministrativi lo studio (Orator 10,34: in maximis occupationibus numquam intermittis studia doctrinae). Si noti anche qui l’attività intellettuale intrecciata con quella politica e il clima favorevole a tale accoppiamento.
L’attività pratica rappresenta un giusto temperamento alla teoretica: nella biografia degli illustri romani si trova spesso la nota delle limitazioni imposte agli studi filosofici in nome del realismo operativo, che non disdegna gli aspetti pratici. L’Italia settentrionale doveva registrare intense correnti di traffico commerciale e una fitta rete di interscambi. "L’assalto a Cremona nell’ottobre del ’69 trovò tanto entusiasmo tra i Flaviani proprio perché si teneva una fiera, quindi promettente bottino, e nella città erano confluite genti da tutt’Italia" . In questa linea si inquadrano e si intendono i guadagni dei poeti e dei grammatici. Sono note le ricchezze acquisite da Virgilio Il caso limite è rappresentato da Remmio Palemone (Svet., De Gramm., 23), il quale dalle sue lezioni ricavava 400.000 sterzi l’anno, ma altrettanto gli fruttava il patrimonio mobiliare e immobiliare costituito da una fabbrica di abiti e da vigneti. Di questa seconda proprietà era curator diligentissimus. Molti personaggi preferivano scegliere la carriera delle lucrose procurationes , anziché il cursus honorum. Così fece per es. Plinio il Vecchio, che ricoprì moltissimi incarichi amministrativi e finì solo come comandante della flotta di Miseno.
Nonostante l’avidità e le ricchezze a Remmio Palemone i guadagni non bastavano: l’elevatissimo livello delle entrate e delle uscite del suo tenore di vita forse si spiega sul piano psicologico, riflettendo che il grammatico era nato schiavo, dunque per una specie di rivalsa sociale. Ma questa non era la norma dei cittadini facoltosi. Per es. Agricola, il suocero di Tacito, pur padrone di molte proprietà, vive modestamente, senza dar nell’occhio. Plinio il Giovane dichiara addirittura di procurarsi dai suoi beni disponibilità finanziarie per scopi sociali attraverso la frugalitas (Epist. 2,4,3)e la stessa politica finanziaria suggerirà all’imperatore di fronte ai cronici problemi del bilancio statale e alla necessità delle spese sociali (Paneg. 41,1).
I problemi economici, amministrativi e sociali occupano anche nelle sue lettere private uno spazio pari agli argomenti culturali e magari anche poetici. Egli unisce in sé le tre dimensioni, che si sono venute qui delineando come caratteristiche del Nord Italia romano, la partecipazione politica, gli interessi culturali e la competenza finanziaria. Questa è particolarmente apprezzata dall’imperatore, che si trova a dover gestire un impero immenso e disparato, con una burocrazia ancora bambina: l’ultimo incarico sarà il proconsolato in Bitinia con poteri speciali per riordinare e controllare l’amministrazione di quella provincia. Questo comasco può essere assunto come simbolo della dimensione pratica (economica e politica) degli intellettuali del Nord Italia. Le ricchezze sono molto apprezzate, ma non cercate come fine, bensì come mezzo , e spesso si riversano in forme politiche in senso lato . Le grandi disponibilità finanziarie servono per opere di patronato e di munificenza, dalle istituzioni alimentari alle opere pubbliche. Plinio si fa sponsor della nuova scuola di Como, della biblioteca civica, del restauro di monumenti; in questo modo contribuisce concretamente all’autonomia della piccola patria.

3. Incontri in provincia e fuori
La lamentata limitazione della maggior parte delle nostre informazioni ai personaggi eminenti e ai gruppi distinti, consente però di intravedere almeno in questi ambienti indizi di legami. Essi sono comunque significativi per l’unità culturale dell’area e la circolazione delle persone. Licinio Calvo ama Quintilia, che è forse parente di Quintilio Varo, come Vario ama Plozia, che è forse sorella di Prozio Tucca; Livio è imparentato coi Cassii. Non occorre ricordare i legami di Plinio il Giovane con l’autore della Naturalis Historia, zio e per adozione padre. Ai rapporti di parentela o di affinità si aggiungono quelli, amicali e culturali, di Catullo e Virgilio con neoterici e postneoterici. L’elenco di Mratscheck 159 comprende Valerio Catone, Cinna, Cornelio Nepote, Bibaculo, Alfeno Varo e Cecilio. Non meno ricche di riferimenti sono le Bucoliche virgiliane. La vasta corrispondenza di Plinio il Giovane con intellettuali e poeti, ridotti per noi a puri nomi, non fa distinzioni sulle regioni di provenienza.
Conoscenze e amicizie si trasformano spesso in rapporti di collaborazione (anche questo è un tema presente nell’epistolario pliniano) magari postuma (Vario e Tucca preparano l’edizione virgiliana) o in sodalitas nel senso stretto del temine, cioè di vita in comune. È il caso del gruppo Virgilio, Vario, Tucca, Quintilio Varo, che si trasferisce in Campania, dunque in ambiente epicureo, adatto a questo tipo di esistenza. Il primo e l’ultimo sono certamente settentrionali, il secondo e il terzo con molta verosimiglianza . È probabile che Vario a un certo punto abbia rinunciato a scrivere in proprio di fronte alla grandezza dell’amico. Da buoni epicurei e persone ragionevoli, nel gruppo nasce il culto del maggiore, che favorisce lo stesso atteggiamento da parte di una più vasta cerchia di ammiratori: è il caso di Silio Italico e di Marziale di fronte al cantore di Enea, mentre Cecilio Epirota è il primo a introdurne la lettura nella scuola e Quintiliano 1,8,5 affianca l’epico latino ad Omero come inizio didattico. Asconio Pediano, che scrive il libro, famoso e perduto, Contra obtrectares Virgili, è padovano.
A maggior ragione i settentrionali tengono ben presenti i loro conterranei. Quando scoppia l’eruzione del Vesuvio, Plinio sta leggendo e riassumendo proprio Livio, per svolgere un compito assegnatogli dallo zio (Epist. 16,7 e 20,5). La venerazione per i conterranei vuol essere visibile: perciò Erennio Severo desidera avere nella sua biblioteca i ritratti di Cornelio Nepote e di Tito Cazio e li fa chiedere a Vibio Severo, concittadino dei due illustri personaggi (pavesi? milanesi?) attraverso Plinio, il quale esegue l’incarico con piacere, ritenendo che onorare i cittadini illustri è una forma di amor di patria (Epist. 4,28). L’autore della Naturalis Historia, 35,20, dopo aver lamentato che, dopo Pacuvio, la pittura non è più stata coltivata da uomini di rango (e quindi, va aggiunto, non è entrata a far parte dell’asse culturale della nazione), rileva la felice eccezione rappresentata dal cavaliere veneto Turpilio, suo contemporaneo, le cui opere si conservavano a Verona.
Per non dare un’idea troppo idillica della società degli intellettuali, aggiungerò che lo stesso Plinio, Nat. Hist. Praef. 16 critica Livio, il quale scrivendo pensava alla sua fama personale, anziché alla gloria di Roma. I,’attaccamento alla piccola patria porta a sua volta Plinio il Giovane persino a una larvata polemica verso lo zio, quando scrive che molti vanno lontano a cercare mirabilia, trascurando quelle che hanno sotto gli occhi (Epist. 8,20,1). Egli invece, che non ha specifici interessi naturalistici, porta a Licenio Sura ex patria una questione degna dell’interlocutore: la fontana intermittente (Epist. 4,30). E succede anche che qualche pessimista, aprendosi al mondo nella capitale, fissi la sua sede altrove che a Verona (come scrive Catullo 68,3,5 in un momento di malumore). Ma nel complesso l’origine diventa quasi un cognome o un titolo distintivo: Livio viene designato come Patavinus nella Cronaca di S. Gerolamo.
Non mancano casi di parzialità. Plinio il Giovane, che non ama gli spettacoli popolari in genere (Epist. 9,6, forse per memoria dei tempi neroniani ricordati sopra, tanto che si sente in dovere di lodare Traiano per aver "liberalizzato" il tifo, Paneg. 33,3) e preferisce onorare i defunti (Epist. 5,11,1) e acquisire meriti (Epist.1,8,10) con opere pubbliche e istituzioni sociali, loda Massimo, magistrato a Verona e patrono della città, per aver promesso ai Veronesi un munus gladiatorum, in onore della consorte defunta, che era di quella città (Epist. 6,34). La contraddizione è evidente. Lo scrittore cerca di superarla sostenendo che per una moglie carissima e probatissima un opus o uno spectaculum era dovuto. Peto Trasea, che aveva mostrato pochissimo dell’entusiasmo che era obbligatorio in occasione delle esibizioni teatrali di Nerone, non disdegnò invece di calcare le scene habitu tragico nella sua città natale, per partecipare ai ludi istituiti dal mitico fondatore Anteriore (come racconta Tacito, Annali 16,21, suggerendo però implicitamente la motivazione politica dei due così diversi gesti).

4. Alla ricerca di nuovi valori
Peto Trasea era il capo dell’opposizione senatoria, tanto importante che alla sua morte Tacito dedica il racconto di un exitus molto simile a quello di Seneca, a sua volta ispirato al Fedone platonico (Annali 16,34). Pur legato, come si è visto, alla sua terra, era però diventato un personaggio politico di statura nazionale e si era imparentato con famiglie di austera tradizione, anche provenienti da diverse regioni. Quello che si vuole qui far notare è che la genealogia, che in questo modo si instaura, si regge sulla via femminile. Egli era marito di Arria minore, figlia di Arria maggiore e di Cecina Peto, ucciso per ragioni politiche sotto Claudio; sua figlia Fannia era andata sposa a Elvidio Prisco, anche lui oppositore del regime, più volte condannato e finalmente ucciso sotto Vespasiano.
In questa linea le donne non hanno la semplice finzione di trasmissione della vita. Arria maggiore è l’eroina della famosa esortazione Poete, non dolet , con la quale diede l’esempio al marito titubante del modo di affrontare il suicidio comandato. Fannia si assunse davanti all’inquisitore la responsabilità di aver ordinato la biografia del marito e anzi ne salvò una copia; con animo virile sopportò due esilii e una relegazione (Plinio, Epist. 7, 19). Di queste due donne Plinio parla con ammirazione portandole come esempio di forza d’animo non solo al loro sesso, ma anche agli uomini. Una così coraggiosa partecipazione politica non toglie però nulla alle qualità femminili di amabilità e gentilezza. Nella galleria composta da Plinio compaiono donne colte (come la moglie di Pompeo Saturnino, che scrive versi, Epist. 1,16,6) ma anche semplicemente mogli, come quella di Macrino, morta dopo 39 anni di perfetta armonia coniugale (Epist. 8,5),o la stessa Calpurnia, alla quale e sulla quale il marito scrive più lettere, una specie di piccolo canzoniere in prosa sull’amore coniugale (cfr. specialmente Epist. 6,4 e 7,5) .
L’emersione della donna onesta, tradizionalmente relegata in casa, porta in primo piano la famiglia e apre finalmente sugli interni. Non si tratta semplicemente di sentimenti, ma di scoperta di un mondo di valori. Plinio finisce per comprendere che la misura delle opere non è la gloria e che è più valido l’eroismo oscuro del tutto gratuito. L’anonima donna di Como, che dà l’esempio al marito, afflitto da un male incurabile, del modo di porre fine alle sofferenze gettandosi nel lago, compie lo stesso gesto di Arria maggiore, ma senza la prospettiva di quella fama, che allo scrittore laico e in genere al mondo romano pareva l’unica ragione per impegnarsi nella vita . Anzi, Plinio scopre che l’eroismo non nasce dalle prospettive di gloria ma dalla forza morale, e questa si può esercitare in qualsiasi condizione. Arria e Fannia sono potute diventare consorti dell’eroismo dei mariti, perché avevano la forza d’animo dimostrata in casa: la nipote assistendo una Vestare colpita da malattia contagiosa, la nonna curando contemporaneamente il marito e il figlio ammalati e riuscendo a celare al primo la morte del secondo fino alla guarigione. Questo contributo all’allargamento della coscienza dei valori si inserisce bene nella linea della moralità fino ad allora un po’ chiusa e tradizionale .
 

Civiltà Bresciana, 2000.