Le Georgiche reinventate tra moralità e leggerezza

E’ stata data alle stampe da poco tempo la versione a cura di Sebastiano Saglimbeni delle Georgiche di Virgilio, da lui tradotte dal latino e riprodotte in questo nuovissimo volume con il testo a fronte. Il recente lavoro, pubblicato dall’ Associazione Concetto Marchesi di Gallarate, è corredato da alcune illustrazioni di Ernesto Treccani e comprende, in appendice, anche un saggio di Carmelo Salanitro, appunto sulle Georgiche virgiliane. Il saggio in questione è certamente un lavoro molto datato, visto che risale al 1933, ma viene qui riproposto come testimonianza della militanza letteraria antifascista dell’ autore, e della sua interpretazione in questa chiave dell’ opera virgiliana. Salanitro leggeva infatti in una prospettiva di lotta sociale le Georgiche virgiliane, come poema del lavoro e di quella che egli definiva "la causa e la sorte dei più meschini, che sono anche i più dimenticati e i più abbandonati". Si può ragionevolmente dubitare che sia stata questa l’ intenzione di Virgilio: ma non si può negare il massimo rispetto a una posizione critica che negli anni in cui fu avanzata costava molto, moltissimo in termini professionali e personali: come fu il caso di Salanitro, che dopo il carcere di Sulmona conobbe l’ orrore di Mauthausen, dove trovò la morte nel 1945.
Ma torniamo alla parte principale del nuovo volume, cioè la versione di Saglimbeni, che viene programmaticamente presentata dallo stesso come un po’ indipendente dal testo, "per una resa ritmica ed inventiva". In effetti, qualche passaggio suscita un po’ di stupore in chi legge, come all’ inizio del secondo libro, dove troviamo un "Fin qui poeta" per rendere solo l’ avverbio hactenus: ma è un esempio di quella tensione alla discorsività e alla leggibilità, che percorre tutto il lavoro.
La leggerezza della prosa del traduttore prende infatti per mano il lettore e lo conduce a passare con agilità da una pagina all’ altra, inseguendo la materia trattata e lasciandosi volentieri guidare dalla facilità della lettura. In questo modo, possiamo rintracciare celebri luoghi delle Georgiche e provare il piacere del riscontro dell’ originale che abbiamo in mente (o che ritroviamo nel testo a fronte) con la prosa che lo rende.
Proviamo a verificare la situazione che si crea, nel noto passo del finale del quarto libro, in cui Virgilio descrive la bellezza del paesaggio napoletano, dove egli si trova a vivere durante la composizione di quest’ opera. "In quel tempo la bella Napoli ispirava me Virgilio, / fiorente in mezzo a studi di un riposo inglorioso, / io che composi scherzando i canti dei pastori e, audace, / giovane, Titiro, io cantai sotto il tetto d’ un esteso faggio". E’ un locus amoenus anche questo, uno di quei paesaggi che la poesia antica ci ha dato, collegato a un’ idea di piacevolezza, di serenità e bellezza. Possiamo dire allora che il traduttore ha saputo rendere nella nostra lingua questo stato d’ animo, questo ambiente di piacere e di gioia, mantenendo così lo spirito dell’ autore in quel momento e in quel luogo.
Se questo è vero, siamo in grado ora di procedere a un test su di un passo più impegnativo, per verificare se l’ affermazione della sentenza virgiliana labor omnia vicit improbus del primo libro, versi 145-146, abbia qui avuto un’ interpretazione ottimistica, nel senso di uno sforzo improbo, capace di superare ogni avversità, ovvero pessimistica, cioè di una realtà della vita che risulta oppressa da una fatica che tutto domina e schiaccia. Saglimbeni, dopo aver tradotto le parole precedenti con "allora fiorirono le arti", rende il labor e ciò che segue del passo-chiave delle Georgiche con "vinse su tutto il quotidiano / lavoro". Improbus è dunque divenuto quotidiano, come è appunto il lavoro che ci dà il pane di cui vivere, e del quale abbiamo bisogno in continuazione.
In altre parole, a me sembra, Saglimbeni traduce dando una valutazione ottimistica, positiva, di tutto ciò che è frutto del lavoro umano, che risulta in grado di far superare le avversità e portare chi lo intraprende a una forma di realizzazione morale.

Giornale di Brescia, 8.1.2003.