Le storie e i volti delle pietre d’inciampo

Ci sono tanti modi di raccontare le storie delle persone, Gunter Demnig, un artista tedesco nato a Berlino nel 1947, ne ha scelto uno abbastanza singolare. Egli incide con martello e punzone, lettera per lettera, i dati salienti di una vittima delle dittature nazista e fascista. Imprime i loro nomi, le date della nascita, della deportazione e dell’uccisione, nonché il nome del lager in una lastra di ottone che poi fissa con malta e cemento nel marciapiede davanti alla porta dell’ultima abitazione in cui la persona visse, prima di essere catturata e deportata. Questo racconto è affidato al progetto artistico degli “Stolpersteine”, ovvero pietre d’inciampo.

Lo scrittore Claudio Magris, invitato dal Presidente Giorgio Napolitano al Quirinale per il Giorno della Memoria del 2009 affermò: “Sei milioni di storie simili e ognuna irripetibile, scolpite per l’eternità. Il modo più giusto di onorare quei morti e i pochi sopravvissuti sarebbe ricordarli uno per uno”. Esattamente questo è l’intento di Gunter Demnig.

L’idea nacque a Colonia, città in cui viveva un gruppo numeroso di cittadini di origine rom e sinti che nel 1940 furono inviati nei campi di sterminio nazisti; fu la prova generale di quella che sarebbe poi stata la deportazione degli ebrei. La volontà di ricordare questo crimine indusse Demnig nel 1990 a tracciare una striscia di vernice colorata che dall’abitazione di ogni famiglia conduceva alla stazione dove iniziò il trasporto verso i lager. La reazione negazionista di una ex vicina di casa delle vittime indusse l’artista a cercare una forma di testimonianza duratura nel tempo. Dopo vari tentativi, nel gennaio del 1995, vennero deposte a Colonia le prime 15 pietre d’inciampo. Lo scorso maggio 2023 Demnig ha deposto la centomillesima a Norimberga, città in cui nel 1935 si promulgarono le leggi razziste “a tutela della razza ariana”.

Sebbene la richiesta cresca anno per anno, Demnig è rimasto fedele alla sua idea iniziale: “Una pietra, un nome, una storia”; le inscrizioni sono sempre realizzate a mano, un tempo da lui, oggi da un suo collaboratore. Egli ci racconta che, nonostante il lavoro appaia monotono, mentre incide il nome è impossibile non provare un moto di empatia per la vittima, proprio come capita a noi quando ci imbattiamo in una pietra d’inciampo: ci inchiniamo e leggiamo la storia che ci racconta. Questo approccio è una voluta contrapposizione alla macchina dello sterminio che cancellava le persone, trasformandole in numeri o pezzi “stuck”, come ci ha narrato Primo Levi.

Le pietre d’inciampo iniziano il loro racconto con “Qui abitava” e cosa c’è di più antiretorico che ricordare le vittime non in un monumento unico e centralizzato, ma ognuna singolarmente davanti alla sua casa? Alberta Levi Termin, sopravvissuta alla Shoah, ha detto: “I miei cari, almeno i loro nomi, tornano a casa, non sono più nel vento, non sarà solo la pietra tombale posta nel cimitero di Ferrara accanto a quella dei nonni a ricordarli. Qui, su questo marciapiede cammina la vita, e i loro nomi ne faranno parte”.

L’artista, dopo averla realizzata battendo il metallo, si inginocchia per mettere a dimora ogni pietra, e fino a pochi anni fa Gunter Demnig ha viaggiato instancabilmente per più di 250 giorni all’anno e deposto ogni singola pietra d’inciampo.

La discrepanza tra i milioni di vittime: ebrei, rom, sinti, oppositori politici, militari, obiettori di coscienza, testimoni di Geova, omosessuali, disabili, e le capacità di Demnig è certo enorme; eppure, oggi è difficile pensare ad un modo più efficace di fare memoria della singola persona che fu privata della sua dignità e annientata. La prova è rappresentata dalla diffusione delle pietre d’inciampo che ha superato da anni i confini della Germania e si è estesa a tutta Europa: dalla Norvegia alla Grecia, dalla Russia alla Spagna. Probabilmente ci si sta rendendo conto che a ottant’anni di distanza, mentre i testimoni diretti sono in numero sempre più ristretto, le pietre d’inciampo, con la loro presenza sui marciapiedi del nostro continente, assumono il ruolo di silenti testimoni contro ogni aspirazione negazionista.

A partire dal 2012 sono state deposte a Brescia e in provincia 56 pietre d’inciampo in tredici Comuni: Adro, Brescia, Calvagese, Cevo, Collebeato, Desenzano, Gardone Riviera, Gavardo, Ghedi, Palazzolo sull’Oglio, Salò, Sarezzo e Tignale. Esse ricordano prevalentemente deportati politici e internati militari (IMI), ma ci sono anche quattordici ebrei; alcuni erano giunti in provincia di Brescia nella speranza di trovare qui un nascondiglio sicuro. Purtroppo, lo zelo della questura e le ben retribuite delazioni, li avviarono tutti ad Auschwitz.

Dietro ad ogni pietra d’inciampo c’è anche una famiglia o un gruppo di cittadini che si fanno carico della volontà di memoria e chiedono ai loro Comuni di autorizzare la posa sul suolo pubblico. Nella nostra provincia hanno collaborato al progetto almeno 56 classi della scuola secondaria di primo e secondo grado, i cui allievi hanno ricostruito le biografie. La CCDC ha promosso e coordinato il progetto a cui hanno aderito ANED, ANEI, ANPI, Casa della Memoria, e Fiamme Verdi. Restano comunque ancora tanti, tanti nostri concittadini per i quali si potrebbe deporre una pietra d’inciampo nei prossimi anni; è necessario che nuove classi con i loro insegnanti si rendano disponibili a condurre ricerche in archivio e a intervistare i familiari per ricostruire le biografie, che saranno poi pubblicate in un apposito opuscolo.

Quindi traslando la nostra esperienza locale si può ritenere che l’idea di Demnig abbia stimolato almeno una qualche centinaia di migliaia di europei a fare attivamente parte del suo progetto. È dunque confortante scoprire che in Europa vi siano ancora così tante persone mosse dallo stesso nostro intento: ricordare gli orrori del passato per acquisire la consapevolezza che la dignità umana è il bene supremo che dobbiamo tutti reciprocamente rispettare.

La diffusione europea delle pietre d’inciampo induce anche un’altra considerazione finale: dal 1985 la nota melodia della IX sinfonia di Beethoven è stata scelta quale inno ufficiale dell’Unione Europea. Come sappiamo Beethoven, in questo caso, trasse ispirazione dal poema di Schiller che inizia con le parole: “Gioia, bella scintilla divina” e conclude la prima strofa affermando: “tutti gli uomini diventano fratelli là dove battono le tue ali”. Si può immaginare che le vittime del nazismo e del fascismo avrebbero gioito nello scoprire che proprio dalle ceneri dell’odio e della distruzione provocate dalla dittatura e dalla guerra sia nato un organismo sovranazionale come l’Unione Europea, dedicato a creare reciproca comprensione e collaborazione tra le nazioni, presupposto di una pace duratura. La prossima volta che sentiremo risuonare l’inno Europeo pensiamo a quanti sono stati uccisi nei lager e a coloro che hanno combattuto nella Resistenza, anche con il sacrificio della vita, per la nostra libertà, guardiamo con coraggio al nostro futuro di cittadini europei che devono continuare la costruzione di un continente di libertà, democrazia, solidarietà e pace.

Nota: Intervento presso Brescia Istituto Astolfo Lunardi, 27 gennaio 2024.