Le vacanze dei romani

Mentre il popolo doveva accontentarsi delle Ferie, cioè delle feste religiose e civili, che del resto venivano organizzate con frequenza tra riti e spettacoli, i Romani delle classi alte godevano vacanze simili a quelle attuali di chi dispone di seconde e terze case; e si trattava spesso di grandi ville. Per avere un’idea basta leggere la descrizione che fa di una delle sue Plinio il Giovane, che si considerava un uomo frugale; del resto non adoperava queste sue dimore per feste mondane. Anche Cicerone, nonostante le sue difficoltà economiche, si preoccupava di abbellire le sue ville di statue greche, che gli procurava il suo amico editore e finanziatore Attico. Poco si sa della villula, che la famiglia di Catullo possedeva a Sirmione.
In genere i “Romani bene” disponevano almeno di due ville, una delle quali non molto lontana da Roma, per potervi andare agevolmente nei fine settimana. In ambienti di questo genere Cicerone immaginava lo svolgimento dei suoi dialoghi filosofici e politici, suggerendo l’idea che questi luoghi, lontani dai rumori della capitale e dalle beghe del Senato, servissero proprio alla riflessione sui problemi. Ma per i soggiorni estivi e le vacanze vere e proprie, anche brevi, servivano altre ville. Le zone più rinomate erano le coste tirreniche. Già Tiberio aveva valorizzato la grotta di Sperlonga, facendone un luogo simbolico pieno di statue, che ricordavano le gesta eroiche di Ulisse, eletto a specchio delle virtù superiori. Ricercate erano le coste campane, già celebri dai tempi repubblicani per l’amenità dei luoghi. Qui si conduceva anche vita di piaceri e ben si ambientavano le dicerie su Tiberio a Capri e i costumi di Pompei. Eppure non molto lontano da lì c’erano, o c’erano stati, luoghi di studio e di meditazione, come la villa dei Pisoni a Ercolano con una biblioteca famosa o il villino di Sirone, dove conducevano vita quasi cenobitica Virgilio e i suoi sodali.
Un buon programma per trascorrere le vacanze è tracciato da Frontone per Marco Aurelio, che era andato a Palo, poco a nord ovest di Roma, per un breve periodo, ma che avrebbe dovuto essere contrassegnato da ludo et ioco et otio libero. Vale la pena di lasciare la parola allo scrittore (traduzione di F. Portalupi): «Sono certo che tu ti sei preparato a godere così le vacanze in quella marina appartata: disteso al sole, in un angolo esposto a mezzogiorno, prima per assecondare il sonno, chiamerai poi Negro, ordinandogli di portare dentro i libri; poi, quando ti sarà venuto il desiderio di leggere», lo farai con Plauto, Accio, Lucrezio, Ennio; «poi ti inoltrerai il più possibile verso la spiaggia…; allora, se ti farà piacere, salirai a bordo di un battello e, con tempo sereno, godrai, al largo, della vista dei porticcioli e delle voci dei rematori, subito dopo ti dirigerai ai bagni».
Ma soprattutto Frontone insiste perché il principe approfitti della vacanza per riposare e quindi gli raccomanda il sonno, rimproverandogli l’abitudine di studiare di notte le cause, che doveva decidere di giorno. Gli intervalli all’impegno sono un obbligo di natura e allo scopo è stato inventato divinamente il sonno, come racconta una graziosa favola. All’ epoca di questa lettera Marco Aurelio era già imperatore e quindi gravato da impegni, ma anche da principe si concedeva poco relax. In una lettera di vent’anni prima Frontone gli aveva già raccomandato il sonno, e il giovane, quella volta dalla residenza estiva di Baia, gli aveva risposto celebrando i meriti della veglia. Tra i due si tratta in fondo di un gioco retorico, ma a parti invertite: il maestro raccomanda il relax e l’alunno esalta l’impegno. Non sempre Marco Aurelio è così occupato. Forse le vacanze migliori le aveva trascorse col padre adottivo, l’imperatore Antonino Pio, quando questi, come un borghese qualsiasi, in autunno andava a fare la vendemmia nelle sue vigne e si faceva allestire i pasti con la famiglia nella stanza del torchio, con la massima semplicità.
Stando alle informazioni letterarie, il modo intelligente di impiegare il tempo libero era abbastanza diffuso. Plinio il Giovane si rifugia nelle sue ville per coltivare il proprio hobby, che è la letteratura, stanco e annoiato, com’è, della vita pubblica e di una carriera politica prestigiosa, che è ridotta a pura formalità «quando tutto dipende dall’ arbitrio di un uomo solo» (che pure è Traiano, l’ottimo principe). Lì Plinio è quasi solo, con la moglie e qualche volta con pochi amici, tra conversazioni e letture, passeggiate e meditazioni. Poiché spesso la villa fuori dai centri turistici è collegata a una fattoria, non mancano i relativi fastidi padronali. Quest’ultimo collegamento tra residenze e proprietà fondiarie prelude al definitivo trasferimento in villa, che caratterizzerà i tempi dell’assenteismo civico e del declino di Roma.
 

Giornale di Brescia, 17.8.2003.