L’enciclica sociale “Sollicitudo rei socialis”

Premesse

l. Nel mio intervento sarò schematico; con ciò non potrò venire completamente incontro all’obiettivo di rendere conosciuto a tutti il contenuto dell’enciclica Sollicitudo rei socialis. Cercherò, comunque, di offrire un criterio di lettura, basandomi sui tre contenuti fondamentali, attorno a cui ruota – a mio avviso – tutto il documento. In tal modo, la mia introduzione, arricchita dalle riflessioni approfondite del Sen. Carli e del Prof. Bazoli, ne potrebbe fornire una visione abbastanza completa.
La Sollicitudo rei socialis è un documento che si pone nella scia di tutto l’insegnamento sociale della Chiesa, specialmente di quello proposto nella Populorum Progressio e nel Concilio Vaticano II.
Chi ha un po’ di conoscenza di questi documenti, trova nella Populorum Progressio un richiamo continuo al documento conciliare Gaudium et Spes, che concerneva l’atteggiamento della Chiesa nel mondo contemporaneo. Anzi, la Populorum Progressio voleva essere proprio l’interpretazione del Concilio, perlomeno, per quanto riguarda tutte le problematiche della mondializzazione dell’economia e dello sviluppo.

2. Una seconda premessa ritengo debba essere fatta, rivolta, soprattutto, ai credenti. Le encicliche di questo Pontefice non partono, normalmente, dalle scienze umane, ma partono dal Vangelo e dal “progetto di Dio” per arrivare alla realtà, per tornare, immediatamente, al Vangelo.
Questo metodo originale del pensiero sociale, già presente nella la enciclica sociale di questo Pontefice (la Redemptor Hominis)
e ripreso nella Laborem Exercens, nella Sollicitudo rei socialis è – a mio avviso – portato a perfezione.
Detto questo, ecco i tre criteri di lettura, in cui credo sia possibile vedere riassunti i contenuti di questa enciclica.

Lo sviluppo

Il primo, quello dello sviluppo, è senz’altro il tema fondamentale. L’enciclica parte da un’analisi negativa per quanto riguarda lo sviluppo; questo fatto ha indotto alcuni lettori ad interpretarla in termini pessimistici, contrapponendola all’afflato della Populorum Progressio, ritenuto più aperto ed ottimista.
In realtà, l’impostazione assunta dalla Sollicitudo rei socialis è realista: di fatto, lo sviluppo non è avvenuto. Il Papa afferma, anzi, che il fossato tra paesi “sviluppati” e paesi “in via di sviluppo” si è allargato. In che misura questo sia avvenuto non tocca a me dirlo ma indubbiamente il sottosviluppo rimane ed è presente in tutto il mondo, anche nelle nazioni sviluppate.
Il giudizio sullo sviluppo che si trae dall’enciclica non è, peraltro, di natura strettamente economico-sociale, ma è morale, fondato sulla natura dell’uomo e sulla vocazione dell’uomo. I numeri 19, 20 e 21 del documento lo affermano con chiarezza. Il Papa non fa perciò una lettura puramente economicistica del problema.
La tematica dello sviluppo, quale primo criterio di lettura dell’enciclica è sempre posta in rapporto ad altri elementi. Eccone alcuni: il rapporto tra sviluppo e diritti umani, sia individuali che sociali – e su questo non mi soffermo; tra sviluppo e rispetto della natura, tema ricondotto oggi al concetto di ecologia, ma, in questo caso vista sul piano morale del «dovere» dell’uomo di rispettare le cose e di usarle. Qualcuno ha fatto una lettura riduttiva di questo problema, dicendo che il Papa ci presenta l’uomo solo come “giardiniere, colui che coltiva il giardino”, cioè senza una qualche iniziativa, mentre la sottolineatura è sul fatto che non si è padroni della terra e non si può per questo dilapidarla.
Un terzo rapporto è tra sviluppo e liberazione. E qui la nostra mente corre alla tematica della teologia della liberazione, bene espressa nelle dichiarazioni della Congregazione per la Dottrina della Fede, liberazione da intendersi come fondamento essenziale dello sviluppo; la libertà è, in sostanza, uno dei valori fondamentali senza i quali lo sviluppo non può esistere.
Sempre in riferimento al tema dello sviluppo, vi è nel documento pontificio una disamina della situazione attuale del mondo. Il n. 20 e seguenti descrivono chiaramente tutta la problematica. E unito a ciò, la consapevolezza che non ci sono più problemi regionali, nazionali o settoriali ma solo problemi mondiali.
In ultimo vorrei accennare al problema del supersviluppo, ripreso con estrema originalità dall’enciclica. Papa Giovanni Paolo II, pur ammettendo che non c’è contraddizione tra l’avere e l’essere, nota che questa contraddizione emerge perché nel mondo moderno l’avere è prevalso sull’essere. Ciò è vero specialmente nei paesi supersviluppati, poiché alcuni hanno troppo e per ciò stesso non “sono”, mentre molti altri non “sono” perché non hanno niente.
Parlando del supersviluppo, l’enciclica esprime un giudizio estremamente negativo. Lascio a voi la lettura dei paragrafi sull’argomento che mi sembrano estremamente importanti, segnalando specialmente il 34, laddove si dice con chiarezza che la condanna che il Papa dà del problema supersviluppo-sottosviluppo è una condanna morale, cioè sempre rapportata all’uomo, alla sua vocazione e alla sua natura.

La solidarietà

Un secondo criterio di lettura lo si ha nel concetto di solidarietà.
L’enciclica, al n. 38, presenta la solidarietà come virtù cristiana, e non solo come conseguenza di una interdipendenza passiva tra gli uomini o i popoli. Perciò la solidarietà non è tanto un sentimento per cui, vedendo la gente che non ha, emotivamente si cerca di fare qualcosa perché abbia, ma è soprattutto l’attuazione del precetto della carità cristiana.
Nell’affermare questo il Papa si muove, anzitutto, dai fatti concreti, dal modo di vivere, e non tanto da un’enunciazione di principi; parte dalla realtà così come si presenta, di una interdipendenza ormai consolidata fra i singoli uomini, fra i gruppi sociali e – in definitiva – fra tutti i popoli. Il n. 38 descrive questo fatto con chiarezza.
Tale interdipendenza viene, oggi, accettata quasi passivamente, per cui ne deriva una frantumazione tra i popoli e tra gli uomini del mondo, divisi in un Primo, un Secondo, un Terzo, e un Quarto mondo.
L’enciclica vuole attirare la nostra attenzione sul Secondo e sul Quarto mondo, oltreché sui problemi del Primo – che è il nostro e di cui siamo a conoscenza – e sul Terzo mondo cui da sempre si presta attenzione con politiche di aiuto, anche se qualche volta solo sull’onda dell’emotività.
Ma sul Secondo mondo, l’altro sistema economico, e sul Quarto mondo, quello del sottosviluppo presente tra di noi, non si è certo fatta fino ad oggi una lunga riflessione. Eppure, la frantumazione del mondo ci porta a tenere presente l’interno concetto di interdipendenza.
L’interdipendenza, afferma il Papa, non si realizza solo perché nei fatti ogni uomo dipende dall’altro, un’economia si regge sulle altre o una nazione dipenda dall’altra.
Il problema della interdipendenza, problema storico perché l’uomo è un essere sociale, deve diventare un problema culturale, cioè portare tutti a sentirsi profondamente interdipendenti e non più a subire tale realtà. Questa interdipendenza, assunta in modo etico, diventa la virtù della solidarietà.
Qual è l’oggetto della solidarietà? Il Papa giustamente afferma che oggetto della solidarietà è il bene comune, il quale deve essere assunto come criterio di obbligo morale per gli orientamenti della vita pubblica e privata.
Tale affermazione implica che se non si tiene conto di questo criterio, si va contro la legge morale. Ma pare che il Papa vada anche più in là. Sia nel suo discorso durante il viaggio a Verona, sia nell’intervento tenuto al termine del convegno su “Uomini, nuove tecnologie e solidarietà” nel novembre scorso, Giovanni Paolo II ha precisato che se fino ad oggi si partiva dal bene privato per giungere al bene pubblico, d’ora in poi si deve partire dal bene comune per giungere al bene privato.
Si richiede, perciò, un ribaltamento nel modo di pensare. Si è sempre ritenuto che fosse necessario arricchire se stessi, per poi cedere il superfluo ai poveri. Pare, invece, che il Papa, ci ricordi come non si possa “star bene” se gli altri “stanno male”, sulla base dello “io sto bene quando tutti stanno bene”.
Le conseguenze di un siffatto capovolgimento concettuale sono enormi, ma non tocca a me, ora, trarre da questo principio degli orientamenti.
Desidero, piuttosto, sottolineare come nel documento pontificio la solidarietà sia concepita come un virtù specificatamente cristiana (n. 40) e che, pertanto, richiede gratuità, perdono e riconciliazione. La solidarietà non è relegata al solo piano economico, ma riferita soprattutto al piano umano: centrale è l’uomo, non il dare.
Alla luce di questi principi è da leggere quanto viene detto nel n. 42 a proposito dell’opzione preferenziale per i poveri, tenendo presente che la solidarietà non deve essere ritenuta una virtù accanto alle altre, ma il principio unificante della vita civile e cristiana, poiché essa è la traduzione logica della carità cristiana fondata sulla vita trinitaria di Dio, sulla vita in comunione delle tre persone divine.
In questo quadro va anche interpretato l’appello ecumenico ed interreligioso dei nn. 38 e 47, per cui ogni credente in Dio, a qualsiasi titolo creda, è chiamato a collaborare con tutti gli uomini di buona volontà per la costruzione di una autentica solidarietà. E sempre alla luce di questa logica nasce anche l’appello del Papa: “di fronte ai casi di bisogno, non si possono preferire gli ornamenti superflui delle chiese e la suppellettile preziosa del culto divino; al contrario, potrebbe essere obbligatorio alienare questi beni per dare pane, vestito e casa a chi ne è privo. Come si è già notato, ci viene qui indicata una gerarchia di valori nel quadro del diritto di proprietà – tra l’avere e l’essere, specie quando l’avere di alcuni può risolversi a danno dell’essere di tanti altri” (n. 31).

Peccato e strutture di peccato

Vorrei ora introdurre qualche considerazione sulla terza griglia di lettura dell’enciclica, che concerne il peccato e le strutture di peccato. Si comprende con più chiarezza che l’ottica dell’enciclica è morale, e che è sottesa una lettura teologica dei fatti.
Il Papa indica un metodo di lettura dei fatti come già richiamato nel convegno di Loreto della Chiesa italiana. E’ un richiamo poiché, capaci di una lettura dei fatti in chiave politica, economica, sociologica, lo si è assai meno per una lettura di fede o teologica dei fatti. Tale constatazione è applicabile al problema dello sviluppo e del sottosviluppo, ma è valido per l’interpretazione di ogni avvenimento. L’assassinio di un uomo politico, una guerra, la fame nel mondo, hanno bisogno di lettura di fede, oltreché una lettura puramente umana. E cioè: quali valori sono in ballo? Come ci si sente interpellati dalla crudezza di tali realtà? A che cosa ci richiama Dio permettendo questi fatti? Ed ancora, a quale tipo di impegno ci richiamano?
Si tratta di fare una lettura teologica dei fatti che parta dal “progetto di Dio”.
E qual è il progetto di Dio? Lo aveva già richiamato il Papa nella enciclica Laborem Exercens. Ora, nella Sollicitudo rei socialis ricorda con chiarezza che l’uomo è il signore delle cose; nulla al di sopra di lui se non il suo Creatore, non l’economia, né la politica, né lo sviluppo, poiché tutto è relativo a lui.
E nella scala dei valori economici il primo valore è la destinazione universale dei beni, quindi il diritto-dovere al lavoro per appropriarsi di questi beni e diventarne proprietari.
La volontà di Dio è che tutti i popoli e tutti gli uomini possano svilupparsi. Quel Dio che fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi, che fa piovere sui giusti e sugli ingiusti, è, infatti, Padre di tutti.

Gli ostacoli allo sviluppo

In quest’ottica morale riemerge allora il problema degli ostacoli allo sviluppo. L’enciclica li individua nei peccati individuali degli uomini che si oppongono alla volontà di Dio e che hanno sempre conseguenze sociali; due specialmente: la brama di profitto e la sete di potere da realizzarsi a “qualsiasi prezzo”.
E’ il caso di sottolineare che non si vuole demonizzare il profitto o il potere in quanto tali; ma quando profitto e potere sono ricercati come fini a se stessi diventano “strutture” di peccato, che quasi si autorigenerano.
Dice il Papa: “tuttavia è necessario denunciare l’esistenza di meccanismi economici, finanziari e sociali, i quali, benché manovrati dalla volontà degli uomini, funzionano spesso in maniera quasi automatica, rendendo più rigide le situazioni di ricchezza degli uni e di povertà degli altri. Tali meccanismi, azionati in modo diretto o indiretto – dai paesi più sviluppati, favoriscono per il loro stesso funzionamento gli interessi di chi li manovra, ma finiscono per soffocare o condizionare le economie dei paesi meno sviluppati” (n. 18). Più avanti il documento definisce questi peccati sociali, idolatrie, perché si oppongono al progetto di Dio. Chiede anche il Papa che queste strutture ingiuste, questi peccati personali e sociali vengano eliminati. Ma, per superare questo stato ingiusto di cose, è necessario da un lato l’intervento di Dio e dall’altro la buona volontà dei singoli.
Il Papa accenna infine a ragioni politiche individuate nella presenza dei due “blocchi internazionali”, quello capital-liberista e quello collettivista-marxista, da condannarsi non genericamente ma in riferimento allo sviluppo; veri e propri imperialismi che per rafforzarsi si armano e danno origine a guerre guerreggiate e a guerre fredde, dilapidando molti beni della terra.
Queste tre idee di fondo offrono la possibilità di una lettura più attenta dell’enciclica.
Nella Populorum Progressio già erano presenti le cause del sottosviluppo e le ragioni per cui la lettura della realtà mondiale è negativa. Nella Sollicitudo rei socialis si delinea, con attualità, la concezione dell’autentico sviluppo, e la lettura teologica dei problemi.
In questo quadro, il Papa offre anche orientamenti particolari, che credo saranno esplicitati dai relatori che seguiranno, per la loro specifica competenza; si tenga comunque presente che il Papa riafferma che la Chiesa non ha soluzioni tecniche da dare, ma suggerisce soltanto principi di riflessione, criteri di giudizio e direttrici di opinione.
Concludendo vorrei richiamare ancora una riflessione: c’è il pericolo che anche questa enciclica, dopo una fiammata di attenzione, venga poi immediatamente dimenticata.
Tutte le encicliche sociali, infatti, disturbano e scuotono. Tuttavia la dottrina sociale cristiana sta prendendo piede, anche in ambienti che nel passato erano molto indifferenti a proposito di questo servizio della Chiesa. Questo atteggiamento non credo che derivi solo dalle incertezze in cui il mondo di oggi sta vivendo, ma dal fatto che l’insegnamento sociale della Chiesa offre puntuali riflessioni e richiama i grandi valori, su cui è necessario fondare il vivere umano personale e sociale. Tuttavia anche questa enciclica pare essere mancante di un capitolo, l’ultimo: quello degli impegni concreti. Questo dovrà essere scritto dalle singole comunità cristiane, dagli uomini di buona volontà.
Qualcuno potrà ancora pensare che l’enciclica, presentando la realtà ed alcuni spunti ambiziosi, possa cadere nell’utopia. In realtà essa non cade nell’utopia negativa che si riassume nel detto: “sarebbe bello che…ma non è possibile”, ma propone un’utopia positiva, possibile e, quindi, doverosa.
E’ uno “slogan” che gli attuali pontefici, da Paolo VI in poi, ripetono con insistenza per riguardo ai grandi problemi del mondo: “è possibile, quindi, doveroso”.
L’insegnamento sociale della Chiesa, si legge nell’enciclica, non è da ritenersi parte della filosofia morale, ma della teologia morale, ed è quindi un richiamo forte alla coscienza dei singoli credenti e degli uomini di buona volontà. Ne consegue che tale insegnamento deve essere conosciuto ed applicato, poiché esso, come già affermava Giovanni XXIII, “è parte integrante della visione cristiana della vita”.
Il Vangelo di Matteo ci dà l’orientamento; Gesù Cristo ci giudicherà infatti nei seguenti termini: “avevo fame e mi hai dato da mangiare, avevo sete e mi hai dato da bere, ero nudo e mi hai coperto, ero malato o carcerato sei venuto a visitarmi. Ma quando Signore abbiamo fatto questo? Tutte le volte che lo avete fatto al più piccolo dei fratelli l’avete fatto a me”.
L’insegnamento sociale della Chiesa si innesta proprio su questi principi. Tutti sono chiamati a questo impegno, specie i credenti, per non meritarsi il rimprovero di Papa Paolo VI: “il peccato più grave per i cristiani di oggi è il peccato di omissione”. L’enciclica Sollicitudo rei socialis rappresenta un forte richiamo morale per tutti.

NOTA: testo, non rivisto dal’Autore, della conferenza tenuta a Brescia il 21.4.1988 su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.