L’esperienza di Franz Jägerstätter attraverso i suoi scritti

La vita di Franz Jägerstätter.

Il 20 maggio 1907 la giovane Rosalia Huber mise al mondo, a St. Radegund, nell’Alta Austria, il figlio Franz. Era illegittimo: i genitori non poterono sposarsi perché troppo poveri.

Il piccolo Franz venne allevato dalla nonna, una donna amorevole e di profonda fede religiosa.

Nel 1917 la madre sposò il padrone di una fattoria e poté riprendere il figlio con sé. Il marito adottò il piccolo Franz, che prese dunque il cognome Jägerstätter. Nella nuova casa il ragazzo trovò una biblioteca di libri storici e religiosi e cominciò ad appassionarsi alla lettura. In seguito si renderà conto dell’importanza della lettura per formarsi ed orientarsi.

A 20 anni Jägestätter lasciò la casa paterna e il villaggio per la Stiria, dove lavorò per tre anni in miniera. A contatto con un ambiente di lavoro non credente, ebbe una forte crisi religiosa, che lo portò ad abbandonare la pratica religiosa. Ma al rientro in paese nel 1930 aveva acquistato una maggior consapevolezza di fede.

I suoi compaesani lo ricordano come un giovane amabile e pieno di voglia di vivere. Era interessato ai progressi tecnologici, fu il primo ad acquistare una motocicletta a St. Radegund.

L’1 agosto 1933 Jägestätter ebbe una figlia naturale: la madre era Theresia Auer, domestica presso una vicina fattoria. La relazione fu breve. La ragazza ebbe a dire: “Ci siamo separati in pace, mi ha pregata di perdonarlo”. Franz rimase sempre molto legato alla figlia Hildegard, che lo ricambiò con un tenero affetto.

Nel 1936 Jägestätter sposò Franziska Schwaninger, figlia di contadini di Hochburg, conosciuta sei mesi prima. Su idea di Franz la coppia andò in viaggio di nozze a Roma, pratica inusuale per quei tempi. Nel matrimonio la fede del giovane contadino visse un sensibile approfondimento. La moglie Franziska era cresciuta in una famiglia profondamente religiosa e in un gruppo giovanile parrocchiale; teneva particolarmente alla pratica dei “venerdì del Sacro cuore” e stimolava il marito a pregare insieme.

All’uomo si aprirono nuovi orizzonti, che egli apprezzava molto. La moglie dice di questo periodo: “Ci siamo aiutati l’un l’altro nella fede”. All’esterno venne notata una maggiore assiduità di Franz nell’accostarsi alla comunione.

Tre figlie completarono la felicità del matrimonio. Il giovane marito scrisse in quel periodo: “Non mi sarei mai immaginato che essere sposati potesse essere così bello”.

Erano gli anni dell’ascesa al potere di Hitler, che diventa cancelliere nel 1933. Il regime nazista non fu soltanto una dittatura politica. Esso riuscì ad innervare tutti i gangli vitali della vita sociale, pervadendo di sé ogni aspetto dall’esistenza individuale e collettiva. Potè essere così potente e così feroce proprio perché aveva sottomesso del tutto l’intera società tedesca.

L’ideologia nazista si poneva come vera e propria religione senza Dio, nel culto della personalità di Hitler, nell’esaltazione della potenza militare, nella volontà di dominio di un popolo e una razza su tutti gli altri.

La felicità familiare degli Jägerstätter venne turbata per la prima volta in occasione dell’invasione dell’Austria da parte della Germania nella primavera del 1938. Jägestätter dichiarò che non sarebbe andato a votare per l’annessione. Ma la moglie, temendo ritorsioni, disse al marito che non gli avrebbe più voluto bene se non fosse andato a votare. Franz rimase molto colpito da una simile minaccia. In quell’occasione la moglie capì di dover prendere sul serio le decisioni di coscienza del marito e mai più, neanche nei momenti di maggior tensione e preoccupazione, mise in discussione il loro amore.

Nella zona dell’Inn (dove viveva Jägestätter) l’indottrinamento di regime dei giovani e la raccolta di offerte per il nazismo non sortivano grandi risultati. Lo conferma l’accanimento della polizia contro i sacerdoti della zona, che furono perseguitati in modo eccezionalmente duro: nel decanato di Ostermiething (che comprendeva St. Radegund) c’erano dieci parroci, otto dei quali finirono nelle prigioni della Gestapo. L’atteggia­mento del nazismo nei confronti dei preti e della religione fu per Jägestätter il metro di valutazione dell’ideologia nazista.

Nel gennaio del 1938 Jägestätter venne messo in guardia contro il regime da un sogno, in cui un treno carico di persone finiva all’inferno. Fin dall’inizio egli rifiutò qualsiasi collaborazione e qualsiasi vantaggio.

Nel 1940-41 Jägestätter prestò per la prima volta servizio nella Wehrmacht come autista. Risale a quel periodo la sua adesione, insieme ad un commilitone, al Terz’ordine francescano. Nel 1941 il suo comune lo dichiarò “insostituibile” per la conduzione del maso comune e poté tornare alla fattoria che aveva ereditato dal padre. Fin da allora aveva chiaro che non avrebbe risposto ad un’eventuale nuova chiamata.

Nel frattempo era venuto a conoscenza dello sterminio dei malati di mente. Il regime aveva smesso di mascherare le sue pretese totalitarie: manifesti come quello che recitava: “La tua offerta per l’Opera di aiuto invernale sia la tua professione di fede al Führer” dicevano chiaramente a Jägestätter che il partito voleva sostituire la religione.

Quando manifestò il proposito di non rispondere alla chiamata alle armi, i familiare e gli amici più fidati lo sottoposero a forti pressioni: volevano evitargli la morte, inevitabile conseguenza di una tale decisione. Fu accusato di peccare contro il quarto comandamento, di essere superbo e disobbediente, di essere un suicida.

In numerosi testi egli tentò di spiegare a se stesso e alla famiglia i motivi del proprio proposito. Considerava un peccato combattere per far sì che un regime senza Dio vincesse e sottomettesse così altri popoli. Anche la guerra contro la Russia non alleggeriva la sua coscienza: se si trattava veramente della “liberazione del popolo russo”, come sosteneva la propaganda, i vantaggi economici non avrebbero dovuto giocare alcun ruolo. Per lui il nazionalsocialismo non era assolutamente meglio del comunismo, anzi caso mai più subdolo.

Si dedicò con maggior impegno al digiuno e alla preghiera. L’unica persona che capiva i suoi motivi e lo sosteneva era la moglie. In questo periodo iniziò a prestare opera di sacrestano nella chiesa parrocchiale di St. Radegund.

Quando il 23 febbraio 1943 ricette la cartolina precetto per essere arruolato, concluse le lunghe e dolorose riflessioni. Decise che non poteva farlo, non avrebbe indossato quella divisa. Non avrebbe finto, non avrebbe accettato compromessi, come pure facevano gli altri, come tanti preti — e anche il suo vescovo — lo invitavano a fare.

La sua obiezione fu motivata dalla percezione della inconciliabilità tra la fede cristiana e l’adesione ad una visione del mondo atea e violenta qual era il nazismo. “Adesso tutti dicono che si combatte solo per lo stato tedesco, perché anche Cristo ha detto che bisogna obbedire all’autorità terrena, anche se non è cristiana. È vero, ma io non credo che Cristo abbia detto che bisogna obbedire ad un governo che ci ordina cose sbagliate e malvagie. Quanto a combattere solo per lo stato tedesco, senza al tempo stesso battersi per il nazionalsocialismo, credo che sia impossibile, come se dicessi che combatto per Dio padre, ma non per il Figlio e lo Spirito santo. Lo stato tedesco e il partito nazionalsocialista sono infatti attualmente due fattori inseparabili”.

Il rifiuto fu quello di indossare la divisa, cioè di entrare a far parte del sistema che perseguitava la chiesa, diffondeva la guerra, sterminava a migliaia le persone. Così scrisse intorno al 1942: “Anche se fino ad oggi Roma non ha dato indicazioni diverse, credo che sia impossibile dire che è un reato o un peccato rifiutare, come cattolici, di prestare oggi il servizio militare. Anche se ciò comporta la morte, non è forse più cristiano offrire se stessi in sacrificio, piuttosto che, per salvarsi la vita, dover prima uccidere altri, che hanno comunque diritto di vivere?”.

I due mesi di carcere a Linz furono segnati da grandi sofferenze. Il ricordo della felicità provata nel matrimonio e la vicinanza della moglie furono per lui la prova della presenza di Dio. A Linz il cappellano delle carceri propose la possibilità di essere impiegato in sanità, senza armi: Jägestätter sarebbe stato d’accordo, ma la Wehrmacht prevedeva solo la ritrattazione senza condizioni, con il conseguente servizio punitivo al fronte.

All’inizio di maggio Jägestätter venne trasferito al carcere di Berlino, e con ciò il suo fu riconosciuto come un grave caso di renitenza alla leva. Fu giudicato dal Tribunale supremo del Reich. Nel carcere di Tegel (sobborgo della capitale) in quegli stessi mesi era rinchiuso anche Dietrich Bonhoeffer, altro grande martire della resistenza cristiana al nazismo. Non sappiamo se i due si siano incontrati e parlati, anche se è probabile che ciò non sia accaduto.

Il processo fu rapido (1 giorno) ma non sbrigativo. I giudici vollero capire il perché del suo atteggiamento, lo lasciarono parlare, forse cercarono di farlo recedere. Ma lo condannarono a morte: era il 6 luglio 1943.

A Berlino ebbe numerosi colloqui con il cappellano delle carceri. Quando questi gli raccontò che un anno prima il padre pallottino austriaco Franz Reinisch aveva subito la stessa sorte per motivi analoghi ai suoi, Franz ne fu notevolmente sollevato.

Nella cella d’isolamento in attesa dell’esecuzione la lettura della Bibbia fu il suo unico sostegno. Le sue annotazioni segnano lo sforzo di attualizzare il Nuovo testamento alla propria situazione e si chiudono con alcuni passaggi della prima lettera di Giovanni, quasi a testimoniare la pace interiore con la quale attendeva il cielo.

Viene ghigliottinato il 9 agosto 1943. La sua ultima lettera comincia con queste parole: “Scrivo con le mani legate, ma è meglio così che se fosse incatenata la volontà”. Il cappellano che lo accompagnò disse quella sera stessa ad alcune suore austriache che quel loro conterraneo era l’unico santo che egli avesse mai incontrato in vita sua.

Le parole di Franz Jägerstätter.

Franz Jägerstätter non fu un teorico né un pensatore e neppure un intellettuale. In lui si recupera tutto intero il valore della parola, come strumento essenziale di significati personali, profondi, vitali. Nei suoi scritti si trasmette l’anima, le si dà vita, si comunica la vita interiore di chi scrive.

Di seguito riporto alcune parole-chiave desunte dai suoi scritti[2], il cui valore e la cui importanza risalteranno tanto di più se si pone mente al terribile contesto di violenza, di sopraffazione, di morte in cui sono state scritte.

LIBERTÀ

Per quale motivo preghiamo Dio e i sette doni dello Spirito santo, se dobbiamo comunque prestare in ogni caso cieca obbedienza? A che pro Dio ha fornito agli uomini un intelletto e una libera volontà se non ci è neppure concesso, come alcuni dicono, di giudicare se questa guerra che la Germania sta conducendo sia giusta o ingiusta? A cosa serve allora saper distinguere tra bene e male? (ultima lettera[3]).

RESPONSABILITÀ

Io non sono del parere dei molti che ritengono che il singolo soldato non sia responsabile di tutto ciò che succede e addossano la responsabilità ad uno solo. (par. 6.6, Fogli sparsi 1941-1943[4]).

IMPEGNO

Essere cristiani è l’impegno più importante che ci sia a questo mondo. Chi è pasticcione o pressappochista sul lavoro è così perché vuole esserlo. La maggior parte delle persone desidera migliorarsi sempre più. Dovremmo forse nella nostra vocazione di cristiani comportarci diversamente? Se consideriamo questa vocazione come qualcosa di cui possiamo e dobbiamo andare giustamente fieri, certamente non dovremmo restare per tutta la vita dei pressappochisti nella fede. (par. 4.8: Riflessioni 1941-42[5]).

FEDE

Dio è nostro Padre e noi siamo i suoi figli; sia che siamo piccini sia adulti, giovani o vecchi: davanti a Dio dobbiamo sentirci sempre come bambini. La nostra vita deve essere una continua preghiera e un ringraziamento, perché non possiamo nulla senza di lui. Anche se ogni tanto crediamo di aver ottenuto questo o quello con le nostre sole forze, e perciò non sentiamo bisogno di ringraziare nessuno, se Dio non ci avesse dato la forza, la salute e il talento necessari, non avremmo potuto fare niente. (par. 4.12: Riflessioni 1941-42[6]).

PERDONO

Dovremmo pensare che ogni ora che noi viviamo nell’inimicizia è perduta per la felicità eterna, poiché chi vive nell’odio verso i suoi simili non può essere in amicizia con Dio. Cristo ha detto: “Va’, riconciliati con il tuo fratello, poi torna e fai la tua offerta[7][8]).. (par. 4.12: Riflessioni 1941-42

AMORE

Ora consideriamo il nostro amore per il prossimo, in confronto all’amore di Dio per noi. Non dovremmo noi cristiani essere sempre più simili a Cristo? Anche se non potremmo venire offesi da altri uomini così gravemente come noi offendiamo Dio, rispetto a lui nel perdono siamo molto più restii. Non potremmo mai dire qualcosa di male del prossimo, se lo amassimo veramente; perciò amare il prossimo sarebbe davvero il segno più grande della riconoscenza che dobbiamo a Dio per il suo amore, poiché l’amore è la prima cosa che egli vuole da noi, e chi vive nell’amore rimane in Dio, e Dio in lui! (par. 6.12, fogli sparsi 1941-1943[9]).

Torniamo al vero amore. Esso è il solo che dà felicità, viene dal cielo e al cielo riconduce. Non è geloso, non si vanta, tutto sopporta, tutto perdona, a tutto crede, tutto supera. Come possiamo arrivare al vero amore? Solo attraverso la grazia di Dio che noi otteniamo principalmente con la preghiera e per mezzo di una fede profonda. L’amore deve crescere in noi al punto da farci amare i nostri nemici, e solo allora potremmo e dovremmo chiamarci cristiani, perché ad amare solo i propri amici sono capaci anche i pagani. (par. 4.13: Riflessioni 1941-42[10]).

INCONCILIABILITÀ

Si può essere nello stesso tempo soldato di Cristo e soldato per il nazionalsocialismo, si può combattere per la vittoria di Cristo e della sua Chiesa e contemporaneamente perché vinca il nazionalsocialismo? (11° domanda al Vescovo, inverno 1942-43[11]).

OBBEDIENZA

I comandamenti di Dio ci insegnano che dobbiamo prestare obbedienza ai nostri superiori, anche se non sono cristiani, ma solo finché non ci ordinano qualcosa di sbagliato, poiché dobbiamo obbedire più a Dio che agli uomini. E chi può servire due padroni contemporaneamente? (par. 5.2, pag. 152[12]).

MENZOGNA

Non bisogna poi pensare male di coloro che si comportano in modo diverso da me. È molto meglio pregare per tutti che giudicare gli altri, perché Dio vuole che tutti si salvino. Molti credono semplicemente che le cose debbano essere così e si sentono autorizzati anche a commettere ingiustizie perché la responsabilità è di altri. E per chi la pensa in questo modo ed è pronto ad obbedire a tutto, il giuramento non costituisce una menzogna. Ma se si sa già in precedenza di non potere e non volere seguire tutto ciò che il giuramento implica, allora si incorre in menzogna. Sono dell’idea che sia meglio dire subito la verità, cioè che non posso obbedire a tutto, anche se ciò mi costerà la vita. In nessun insegnamento di Dio e neanche della Chiesa si trova infatti che si possa essere obbligati a peccare a causa di un giuramento incondizionato all’autorità terrena. Perciò non amareggiatevi se mi accuseranno di un simile peccato, come qualcuno già fa. Se qualcuno tira in ballo la famiglia, siate comunque sereni, perché non posso mentire neanche per amore della famiglia, anche se avessi 10 figli. (par. 2.2: lettera non spedita, luglio-agosto 1943[13]).

COERENZA

Poiché fino ad oggi Roma non ha dato indicazioni diverse, credo che sia impossibile dire che è un reato o un peccato rifiutare, come cattolici, di prestare oggi il servizio militare. Anche se ciò comporta la morte, non è forse più cristiano offrire se stessi in sacrificio, piuttosto che, per salvarsi la vita, dover uccidere altri, che hanno comunque diritto di vivere? (par. 5.8: quaderno 3, periodo 1941-42[14]).

NAZISMO

Non è nostro compito giudicare i nazionalsocialisti, ma le loro idee devono essere giudicate e rigettate. Se c’è chi è convinto di non riuscire ad essere felice in questo mondo seguendo gli insegnamenti di Cristo, questa è una prova sicura che li conosce troppo poco, perché la nostra fede ci offre così tanto che noi non solo saremo beati per l’eternità, ma possiamo essere felici già qui in questo mondo grazie ad essa. Perciò noi cattolici non abbiamo il minimo motivo di mescolare la nostra fede con un altro insegnamento. Anche se la Chiesa cattolica non ha ancora denunciato il partito nazionalsocialista come nemico della religione proibendone l’adesione ai cattolici se non commettendo peccato grave, anche se la Chiesa cattolica adesso tace, sappiamo benissimo cosa sia questo partito e cosa pensi della Chiesa. Alcuni austriaci potranno sicuramente ricordare le parole del Santo Padre, che abbiamo trovato in un suo scritto quando in Austria dovevano ancora succedere fatti simili: tra l’altro si diceva che il nazionalsocialismo era ancor più pericoloso del comunismo o qualcosa del genere, non lo so citare con esattezza non avendolo allora segnato[15]. Anche se oggi si dice sbrigativamente: “Sarebbero meglio i comunisti?”. (par. 6.7: fogli sparsi 1941-1943[16]).

 


[1] Girardi Gianpiero: quarantanovenne, piemontese di origine, vive a Trento da molti anni. È laureato in Sociologia. Svolge attività manageriale nella pubblica amministrazione, occupandosi di formazione, ricerca, assistenza sociale. Da sempre è impegnato nel campo della pace, della nonviolenza, dei diritti umani. Dopo aver svolto in servizio civile come obiettore di coscienza al servizio militare, per vari anni è stato responsabile degli obiettori Caritas e consulente della Caritas italiana su questi temi. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni su questi argomenti. È stato il curatore dell’edizione italiana del volume Franz Jägerstätter, un contadino contro Hitler (Berti, 2000).

[2] Scrivo con le mani legate. Lettere dal carcere e altri scritti dell’obiettore-contadino che si oppose ad Adolf Hitler” di Franz Jägerstätter, a cura di Giampiero Girardi, traduzione di Lucia Togni, prefazione di Luigi Bettazzi, premessa di Erna Putz, Berti, Piacenza, 2005.

[3] Scrivo con le mani legate, cit., pag. 49.

[4] Scrivo con le mani legate, cit., pagg. 176-177.

[5] Scrivo con le mani legate, cit., pag. 129.

[6] Scrivo con le mani legate, cit., pag. 135.

[7] Mt 5,24.

[8] Scrivo con le mani legate, cit., pag. 136.

[9] Scrivo con le mani legate, cit., pag. 184.

[10] Scrivo con le mani legate, cit., pag. 137.

[11] Scrivo con le mani legate, cit., pag. 189.

[12] Scrivo con le mani legate, cit., pag. 152.

[13] Scrivo con le mani legate, cit., pag. 140.

[14] Scrivo con le mani legate, cit., pag. 165.

[15] Il riferimento è certamente all’enciclica di Pio XI Mit brennender Sorge (“Con ardente preoccupazione”), pubblicata il 14 marzo 1937, che contiene forti critiche alla visione panteista del nazionalsocialismo tedesco. Mentre i documenti pontifici sono solitamente scritti in latino, quell’enciclica vide la luce direttamente in tedesco, probabilmente per evitare mistificazioni nella traduzione e per permetterne una più facile diffusione presso il popolo.

[16] Scrivo con le mani legate, cit., pag. 178.

NOTA: testo, rivisto dall’Autore, della conferenza tenuta a Brescia il 9.2.2006 su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.