L’utilizzo del termine "petros" nei Vangeli

I linguisti usano abbastanza comunemente il concetto di polisemia, quando vogliono dire che una parola o un messaggio hanno più significati. Meno frequente, invece, è l’impiego di enantiosemia, quando si tratta di significati opposti, alternativi: come il latino sacer, che significa sacro ma anche maledetto, per via del suo valore medio che è quello di intoccabile. Se nelle lingue classiche questi termini ambivalenti sono indicati come voces mediae, poi articolati in un polo positivo e in uno negativo, la grammatica araba parla a tale proposito di addad: cioè della presenza di significati e connotazioni opposte nella stessa parola. È da queste considerazioni che muove il recentissimo studio del nostro concittadino Roberto Giacomelli, docente di Linguistica nell’Università degli Studi di Milano. Dei lavori di Giacomelli abbiamo già parlato in passato, sempre a proposito di sue pubblicazioni a carattere linguistico: questa volta l’occasione si presenta con un titolo che suona familiare a un pubblico anche vasto, visto che è Tu sei Pietro e su questa pietra…, uscito a Roma per l’Editrice Il Calamo. Ma non dobbiamo pensare che egli abbia scritto una meditazione spirituale sulla pericope evangelica di Matteo 16,17-23, incrociata in prospettiva intertestuale con Giovanni 21,15. Ha fatto invece un brillante lavoro linguistico: un’analisi esegetica, condotta a partire dall’originale aramaico, del passo del Vangelo di Matteo in questione, e attraverso il significato dei termini greci impiegati nella sua traduzione. Tuttavia, possiamo aggiungere che l’analisi di Roberto Giacomelli è sì linguistica, ma approda, in questo caso, a un risultato che è anche spirituale. Infatti, attraverso queste pagine comprendiamo meglio l’idea della Chiesa primitiva, che risulta fatta di uomini dal cuore di pietra e dalla dura cervice, ma che sanno ascoltare il messaggio della nuova alleanza e riescono a costituire una ecclesia, cioè una comunità di credenti e obbedienti. Il punto di partenza è l’episodio della confessione di Pietro che determina il fondamento della Chiesa, nel passo indicato del Vangelo di Matteo. Quello del nome di Pietro, che è una pietra su cui fondare la Chiesa, è un lógion, cioè un’espressione proverbiale, in questo caso di origine aramaica, dove compare il termine Kefa, tradotto in greco ora con petros, ora con petra o con lithos, che sono equivalenti: i vocaboli indicano sia la pietra intesa come roccia, sia la pietra comune, il vile sasso. Sulla base di questa equivalenza, Giacomelli dimostra che non è fondata la nostra interpretazione tradizionale del passo evangelico, quando vogliamo indicare in Pietro solo la roccia della fede. Questa caratteristica è certamente vera, ma non c’è solo questo. Le possibilità comunicative insite nel linguaggio di Gesù vanno oltre, dato che il termine aramaico di partenza (Kefa) e le sue traduzioni greche hanno un duplice, opposto significato: da idea comune di «petrosità» si sviluppano gli antitetici valori di «forza nella fede» da una parte, e di «debolezza, ottusità nello stato naturale» dall’altra. Questa ottusità è durezza della cervice e del cuore, ed è insieme una sorta di cecità e di insensibilità alla parola di Dio, che è propria in origine delle persone ostinate e prive di istruzione, perciò equivalenti alla pietra vile, banale, priva di particolare significato. Ma la modestia intellettuale di queste persone si apre, più delle altre, alla possibilità di elevarsi, attraverso l’ascolto della parola di Dio, alla saldezza della roccia, cioè alla fede intesa come pietra fondante del valore. Abbiamo visto che alla base del lógion evangelico c’è un proverbio aramaico a proposito della pietra: ora possiamo dire, seguendo il ragionamento di Giacomelli, che quella pietra diventa, da simbolo di durezza e insensibilità, una roccia salda, pegno e simbolo della fede raggiunta. L’investitura di Pietro a fondamento della Chiesa non si fonda tanto sulla solidità naturale della sua fede, quanto sul cammino di conversione che lo attende a partire dal momento in cui Cristo così gli parla, in poi.

Giornale di Brescia, 8.6.2004