Martino Pasini

Tematiche: Biografie

GHEDI, VIA GIUSEPPE VERDI, 52

QUI ABITAVA
MARTINO PASINI
NATO NEL 1908
INTERNATO MILITARE A RHEINHAUSEN
ASSASSINATO IL 25.03.1945

Martino: “I miei genitori, Maria e Francesco, mi chiamarono Martino; nacqui nel 1908, l’otto agosto a Ghedi. Capelli neri come il carbone, colorito olivastro, occhi marroni, troppo alto per l’epoca, fattore che mi portò alla fine. Trascorsi la mia infanzia come un ragazzo qualsiasi. Mi
sposai con Paola, nel 1933; avemmo tre figli: Giuseppe, Sergio ed Ennio.
Nel giugno del 1940 giunsi al quinto Reggimento Artiglieria Alpina, il diciotto ottobre del 1940 fui mandato in congedo illimitato per la mia età. Ma, tornato a Ghedi, un giorno, fui rastrellato dai tedeschi, portato in Germania e internato”.
Paola: “Mi chiamo Paola, mio marito Martino è in Germania. Noi che siamo rimasti a Ghedi patiamo la fame, non c’è cibo o meglio, c’è, ma è lo stesso, tutti i giorni. Polenta. Tutti i santi giorni, ad ogni pasto. I bambini soffrono, gli anziani patiscono con loro. I bambini passano tutto il giorno al fontanile, sperando in una pesca fortunata. Tornano esausti prima dell’arrivo di Pippo. L’aereo che vola senza meta, basta una luce e sgancia le bombe. La casa ha le finestre nere, noi mamme diciamo ai nostri figli che, dopo che è passato Pippo, possono andare a dormire. Cerchiamo un posto sicuro e spegniamo tutte le candele”.
Stefano e Patrizio: “Era già passato qualche mese dalla sua morte, ma il suo fantasma riempiva ancora le nostre notti. Vedemmo cadere il suo corpo accanto noi. Da quando corse per raggiungerci, a quando quell’esplosione lo colpì poco distante. Noi ci salvammo, la sua statura invece gli fu fatale: non riuscì a trovare riparo. Tornammo a casa. Vedere i nostri cari ci confortò, ma ricordare un amico morire è una ferita che non guarisce mai. Bussammo alla sua porta di casa: dopo poco ci aprì una donna paffuta, che, affacciandosi sulla soglia, si incupì. Si era illusa che fosse suo marito, che sarebbe tornato a casa da un giorno all’altro.
Io e Stefano ci guardammo l’un l’altro, gli occhi si posarono a terra, mentre ci preparammo a dare la funesta notizia. Piansi per tutto, per l’amico perso, per i figli rimasti orfani di padre, per Paola. Davanti a noi lo sguardo di una donna che iniziò a comprendere che era rimasta vedova, sul finire della guerra, il 25 marzo 1945”.
Cimitero Militare di Amburgo: “Vista dall’alto dei cieli sembro soltanto una vasta distesa, coperta di neve bianca, un foglio vuoto pronto per essere riempito di nomi sconosciuti. Io sono ricoperto di anime ignote. Le mie anime sono straniere, non vengono dalla mia terra, ma da una terra lontana in cui vivevano in pace con i propri familiari, ricordo lontano, prima di diventare internati militari italiani. I tedeschi avevano dato loro la possibilità di rendere meno penosa la
loro condizione: aderire alla Repubblica Sociale Italiana, rientrare in Italia e di riabbracciare i loro cari. Ma la coscienza di molti non ha potuto sopportare tanto. Meglio lo squallore di una prigionia crudele che perdere la dignità. Ho visto una ragazzina posare dei fiori bianchi sulla tomba di suo padre morto in guerra: aveva sofferto molto prima di arrivare, il viaggio straziante, la fame e il lavoro faticoso che portava alla morte, ma soprattutto la nostalgia di casa. Sulle tombe l’unica cosa che si posa sono le foglie degli alberi, spogliati dalla fredda stagione”.
A cura degli alunni delle classi 3 I e 3 A della scuola secondaria di primo grado di Ghedi