Massimo Löwy

Tematiche: Biografie

SALO’, VIA RIVE GRANDI 13

QUI ABITAVA
MASSIMO LÖWY
NATO 1880
ARRESTATO 2.12.1943
DEPORTATO 1944
AUSCHWITZ
ASSASSINATO

LO̎WY MASSIMO (o Loewy), ebreo di nazionalità germanica, figlio di Giuseppe e di Tieder Elena, era nato il 27 settembre 1880 a Ostrava Morava (all’epoca città dell’Impero Austroungarico, poi Cecoslovacchia e, do-po l’annessione nel 1938 dei Sudeti al Reich, protettorato Moravo-Boemo); battezzato protestante nel 1905, era coniugato con Berta Meyer, tedesca, di “razza ariana” originaria di Francoforte ed era residente a Gardone Riviera sin dal 1906. Qui gestiva un negozio di articoli da regalo in corso della Repubblica 59.

Nel 1936 si era trasferito a Salò, in via Barbarano n ° 84 (ora via Rive grandi 13), in un “fabbricato di piani 4 e vani 12 […] di nuova costruzione” dove aveva aperto un salone di parrucchiere.

Dal matrimonio con Berta Meyer (avvenuto a Francoforte sul Meno nel giugno 1906) erano nate a Gardone Riviera le figlie Carola il 29 settembre 1914 ed Helene il 25 febbraio 1916. Avendo padre ebreo e madre ariana, le figlie erano quindi di discendenza “mista” secondo le leggi razziali dell’epoca .

Il primo impatto della famiglia Loewy con le leggi razziali da poco emanate avvenne a fine novembre del 1938, quando alla figlia maggiore, Carola, fu negato il matrimonio con il bresciano Cesare Profeta, cattolico e di “razza ariana”, in applicazione del R.D.L. 17 novembre 1938/XVII N° 1726 (pubblicato sulla Gazzetta Uf-ficiale N°264 del 19 novembre) che vietava i matrimoni misti.

Il podestà di Gardone Luigi Mottadelli aveva scritto al parroco sottolineando che, se il matrimonio fosse sta-to celebrato, sarebbe stato nullo e aveva informato il prefetto. Il parroco si era rivolto alla Curia; il prefetto, allertato dai Carabinieri, era intervenuto presso il vicario del Vescovo come risulta da una sua nota: ”confe-rito con Monsignor Pasini che si è impegnato a non celebrare il matrimonio”. (La documentazione relativa alla vicenda è citata in: Ruzzenenti, La capitale della RSI e la Shoah, GAM 2006 pag. 49)

Per Carola il mancato matrimonio significò, tra l’altro, l’impossibilità di passare dallo status di ebrea stranie-ra mista a quello di cittadina italiana e rischiò conseguenze tragiche.

La condizione degli ebrei in Italia si aggravò dopo la costituzione della Repubblica Sociale Italiana alleata della Germania; si passava dalla persecuzione dei diritti alla persecuzione delle vite. La Carta di Verona (14 novembre 1943) recitava infatti che gli “appartenenti alla razza ebraica sono stranieri, durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica”.

L’ordinanza di polizia n° 5 del 30 novembre 1943 disponeva che “tutti gli ebrei, […] a qualunque nazionali-tà appartengano, e comunque residenti nel territorio nazionale debbono essere inviati in appositi campi di concentramento. Tutti i loro beni mobili e immobili devono essere sottoposti a immediato sequestro in attesa di essere confiscati nell’interesse della RSI. […]”.

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Loewy Massimo e le figlie Carola ed Helene furono arrestati da italiani a Barbarano il 2 dicembre 1943 e detenuti nel carcere di Salò. All’arresto seguì l’inventario dei beni, il loro sequestro e la successiva confisca.

L’arresto di Carola ed Helene, ebree miste e figlie di madre ariana diede origine a un “caso” che portò ad un conflitto tra autorità italiane e germaniche: secondo la legislazione fascista infatti erano deportabili in quanto straniere, mentre gli occupanti tedeschi di solito escludevano dalla deportazione i “misti” anche stranieri. La madre, ariana, intervenne presso le autorità tedesche così che le figlie, con disappunto del questore Candrilli, infastidito dall’ingerenza germanica, furono rilasciate il 21 gennaio 1944.

La famiglia era rimasta totalmente priva di risorse economiche dopo la confisca dei beni paterni; le due so-relle il 1 febbraio 1944 presentarono ricorso al capo della provincia affinché fosse loro concesso in uso al-meno qualche mobile ed oggetto tra quelli sequestrati; la richiesta ebbe un lungo iter burocratico e sembrò poter avere un esito positivo solo nei primi mesi del 1945 (era stato infatti accertato nel frattempo che la moglie e le figlie erano nullatenenti e disoccupate); tuttavia quando stava per realizzarsi, il sequestratario Emilio Donati scriveva al questore Candrilli: ”faccio presente la inopportunità di assegnare alla famiglia dell’Ebreo in oggetto un sussidio, in quanto la famiglia stessa è scomparsa fin dal 1° luglio 1944 senza la-sciare nessuna indicazione del luogo di trasferimento”.

Intanto in data 1 febbraio 1944 il padre, ancora detenuto nel carcere di Salò, inoltrò al capo della Provincia un’istanza perché gli fosse risparmiata la deportazione: la richiesta dignitosa e sobria, faceva leva sull’età avanzata (64 anni) e sul fatto di essere residente in Italia da 38 anni. Da documenti successivi e da un’informativa del Comune di Salò si evince che il Loewy godeva di una buona reputazione: “pur apparte-nendo alla razza ebraica, ha sempre ottenuto ottima condotta civile e politica , ed era iscritto al fascio.”

La richiesta di Massimo Loewy non ebbe seguito; trasferito nel frattempo dal carcere di Salò a Canton Mombello di Brescia, il 6 febbraio fu internato a Fossoli. Da lì il 22 febbraio 1944 fu deportato ad Auschwitz; vi arriverà il 26 febbraio con lo stesso trasporto di Primo Levi. L’immatricolazione è dubbia e ne Il libro della memoria di Liliana Picciotto risulta deceduto in luogo ignoto e data ignota.

La terribile vicenda di Massimo Loewy si concluse il 3 giugno 1955 quando, dopo la dichiarazione del Tribu-nale di Brescia di “morte presunta”, il suo nominativo venne eliminato dall’anagrafe del Comune di Salò.

Nel dopoguerra le figlie Carola ed Helene continuarono ad abitare a Salò; la prima morì il 27 marzo 1975, la seconda visse a Barbarano fino al 1992 per poi passare nella casa di riposo salodiana dove morì il 4 febbraio 1999.

La tristissima storia di Massimo Loewy e della sua famiglia è emblematica di alcuni aspetti della Shoah Ita-liana. Innanzitutto evidenzia le responsabilità tutte italiane nella caccia, arresto e deportazione degli ebrei smentendo il mito secondo cui l’antisemitismo fascista sia stato “all’acqua di rose”: in questo caso addirit-tura i persecutori italiani entrarono in competizione con l’alleato nazista. La vicenda permette inoltre di toccare con mano il passaggio dalla persecuzione dei diritti con le leggi razziali del 1938 (in questo caso con la proibizione dei matrimoni misti) alla persecuzione delle vite con l’ordinanza di polizia n°5/1943 della RSI e fa riflettere sul diligente zelo e la meticolosità con cui un gran numero di funzionari e burocrati della RSI, tra i quali il questore di Brescia Candrilli, si attivò per eseguire gli ordini impartiti dai vertici della stessa e collaborare attivamente alla soluzione finale.

La sorte dei deportati fu oggetto di ricerche ben prima della conclusione del conflitto: il colonnello Massimo Adolfo Vitale ebreo, la cui madre e sorella furono deportate ad Auschwitz, sin dalla fine del 1944 si dedicò

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a raccogliere notizie, elenchi, nomi relativi agli ebrei italiani e stranieri deportati dall’Italia e intervenne a più riprese, dopo la fine della guerra, per sollecitare che fossero perseguiti i responsabili italiani della de-portazione. Dal 1945 iniziò a collaborare con il Centro di Ricerca e Documentazione Ebraica di Milano (il fu-turo CDEC) e i suoi elenchi confluirono poi in quel fondo. Ed è dall’archivio del colonnello Vitale che ci giun-ge una fotografia di Massimo Loewy, corredata da alcune notizie anagrafiche e dalla richiesta, rivolta a chi ne avesse notizie, di farle avere alla famiglia a Barbarano di Salò.

Prassede Gnecchi, Gavardo

Fonti: Ruzzenenti, Marino: La capitale della RSI e la Shoah, Gam 2006

Ruzzenenti, Marino: Le colpe degli italiani, manifestolibri 2011

Asb, b.157: Asb, b.157: Archivio di Stato di Brescia, Prefettura, Ufficio di gabinetto, b. 157, appartenenti alla “razza ebraica”, f. G-L, 1941-1948

Di Sante, Costantino: Auschwitz prima di “Auschwitz”, ombre corte 2014