Mauriac, contro i miti dell’ordine e della rivoluzione

Mauriac ha avvertito, col passare degli anni, sempre di più il peso della politica nella vita dei popoli e, dunque, il dovere di non evitare “quel bagno di fiele che è la politica”. Dinanzi ai mostri che hanno dilaniato l’Europa e il mondo – comunismo, nazismo, antisemitismo, razzismo per citare solo i più atroci – Mauriac è sceso in campo a modo suo, cioè smascherando in primo luogo la viltà, i cedimenti, le complicità, la spaventosa miopia di quanti non hanno voluto portare nella politica la sensibilità cristiana e l’impegno etico. Talora gli stessi cristiani hanno creduto che fosse necessario optare per una delle due forme estreme della rivoluzione anticristiana, entrambe unite nel progetto di cancellare il nome stesso di Cristo dalla storia e dalle coscienze, invece di opporsi con tutta l’anima all’una e all’altra.
Dopo le recenti e più pacate valutazioni del ruolo svolto da De Gaulle, non solo negli anni della Resistenza e dell’immediato dopoguerra, ma soprattutto per fronteggiare la violenta crisi della Francia, intimamente divisa sul problema delle colonie e ormai in una situazione di guerra civile, penso che pochi dei critici del Mauriac di quegli anni avrebbero oggi il cattivo gusto di rimproverargli, quasi fosse un crimine, il sostegno che egli dette a De Gaulle. Divennero famosi i suoi commenti settimanali, poi raccolti in volumi, i “Bloc-Notes”. Quali che siano le riserve che si possono fare sulla politica di De Gaulle – per gli europeisti sono parecchie e di notevole peso – Mauriac capì che in quel momento solo De Gaulle poteva avviare a soluzione il problema del distacco delle ex-colonie e, nel contempo, azzerare la più grande minaccia per il suo Paese: il trionfo di quelle forze che, con un voluto anacronismo, chiamerò anti-dreyfusiane.

I Bloc-Notes sono annotazioni graffianti e la materia su cui l’Autore porta il suo giudizio è troppo spesso in svolgimento, rovente come un fiume di lava. Per questo ad essi preferisco spiare il Mauriac politico in un libro del tutto diverso, nella pagine meditative e ardenti delle “Memorie intime”, che Elvira Cassa Salvi tradusse splendidamente per la Morcelliana, scrivendo una prefazione che sarebbe da ripubblicare tale e quale, in questo ventesimo della morte di Mauriac, perché intelligente, penetrante, essenziale.
Ebbene, tra le pagine “politiche” di “Memorie intime”, spiccano indubbiamente quelle in cui Mauriac si sofferma sull’affare Dreyfus, lontano da noi nel tempo (si svolse tra il 1894 e il 1905) e tuttavia esemplare per dare espressione e contorni precisi alla disumanità che si cela in coloro che mitizzano l’Ordine a scapito della verità e della giustizia e cercano di amalgamare una siffatta bar-barie a ideali e valori che di per sé sono positivi. Il capitano Alfred Dreyfus, com’è noto, fu incolpato di un episodio di spionaggio e condannato alla deportazione perpetua nell’Isola del Diavolo. Fu in seguito provato che la spia era un ufficiale dello stato maggiore francese; ma per tanta parte dell’opinione pubblica francese era preferibile che fosse un ebreo come Dreyfus, un mezzo… francese quindi, ad essere accusato di spionaggio: ristabilire la verità sarebbe stato uno schiaffo per l’Onore dell’esercito. Insomma l’innocenza del capitano ebreo aveva comunque meno peso dei cosiddetti “interessi superiori”. L’ideologo della destra nazionalistica, Maurice Barrès, si schierò deliberatamente dalla parte di coloro che dichiararono – con ripugnante cinismo – che non aveva al-cun valore la sorte di un miserabile ebreo di fronte all’imperativo di salvaguardare l’Ordine e l’Onore della Nazione (è tipico di quel tipo di mentalità l’abuso delle maiuscole!).
Barrès celebrava la menzogna utile a salvaguardare le esigenze dell’Ordine costituito, tanto – diceva – “la politica è una lotta in cui l’ignominia è regola”. Il Mauriac a questo punto annota: “Certo tale inumanità non valeva che per la politica: tutti questi Machiavelli della letteratura, del giornalismo e del bel mondo si mostravano, per la maggior parte, giusti e teneri in privato”. Esatto. Ma proprio questa osservazione ci riconferma in una convinzione: sono le idee di fondo che emergono quando si profila un conflitto. E se sono idee criminali? A idee criminali seguiranno, prima o poi, azioni criminali. Crimini commessi in nome della Causa, ma pur sempre crimini.

In questi giorni s’è tornato a parlare di Lev Trockij, col pathos assolutorio che caratterizza le notizie di agenzia e la generale tendenza degli staliniani a muso duro di ieri a celebrare oggi le vittime di Stalin. È per me illuminante, invece, la pagina in cui Mauriac cita un passo dell’auto-biografia di Trockij. Questo: “La Rivoluzione è la Rivoluzione perché conduce tutte le contraddizioni del suo sviluppo ad una sola alternativa: la vita o la morte”. Ma non era questa la convinzione profonda di Stalin? E non è partendo da una siffatta alternativa che Stalin giunse alla decisione di abbattere Trockij? “Questa alternativa – annota amaramente Mauriac – è servita da giustificazione a tutte le ecatombe per cui gli innocenti sacrificati son diventati quei penitenti che accusavano se stessi, dando ragione ai loro carnefici”.
Voglio chiudere questa nota con un’altra citazione del nostro Autore. “La disperazione romantica non mi tocca più – scrive Mauriac -. Non mi impietosisco più su Werther, ma sull’innocente perseguitato”.

Giornale di Brescia, 1.9.1990.