Pilato

Città & Dintorni, 30 aprile 2013

Pilato

Pilato parla come se dovesse rispondere a un superiore in grado che, davanti a lui, lo interroga.

No, signore. (pausa) No. Io non conservo nessun ricordo d’infanzia. (pausa) Nessuno. (pausa) Come ha detto? Sogni? (pausa) Negativo. Io non faccio sogni, signore. Un buon amministratore non fa sogni. (pausa) No, signore, non so se ho agito nel migliore dei modi. Credo di no. (pausa) Per l’esattezza, credo di avere sbagliato tutto. (pausa) In un momento come quello si pensa a tante cose. Io ho creduto che si dovesse fare come ho fatto. (pausa) Perché, primo, un buon amministratore non cerca grane e, secondo, un buon amministratore cerca di non coinvolgere direttamente Roma. Se la sbriga da solo. (pausa) No, signore. Negativo. Non ho mai avuto nessun problema di rapporto con l’esercito. Sono soldati buoni e disciplinati e accettano di buon grado questa situazione che non è delle più facili. (pausa) Anche i loro comandanti sono uomini ragionevoli. (pausa) Lei dice? Io penso che, se questo popolo fosse compatto e unito, anche contro Roma, le cose sarebbero più semplici. Voglio dire che la situazione risulterebbe più gestibile. (pausa) Sì, conosco quel dispaccio, e conosco anche il commento di Cesare. (pausa) Era piccato, lo so. (pausa) Come dice? Ha fatto in mille pezzi quel dispaccio? (pausa) Sì, anch’io la penso come lui. E’ un problema senza soluzione. Forse ha ragione lei, dovevamo pregare di più. Bastava un piccolo incidente, una sciocchezza. Pregare e chiedere di evitarci i piccoli incidenti. (pausa) Peccato che io non preghi mai. (pausa) Invece è successo, certo. (pausa) Con Erode, non c’è dubbio. Erode non crede in Dio e questo rende le cose più semplici. Un po’ matto magari ma non stupido. (pausa) E’ gente incapace di fidarsi, capiscono solo il linguaggio delle armi, (pausa) o quello dei ricatti. (pausa) Non puoi diventare loro amico, no. (pausa) Semplice. Se tu diventi amico di uno, subito qualcun altro lo va a dire in giro: sapete? ha stretto amicizia con quello. E siccome qui chiunque ha almeno cento nemici, da un minuto all’altro hai già un amico – e cento nemici. Chiunque sia, non importa. E’ sempre così. (pausa) Caifa è un uomo orribile. Nessuno lo ama ma, mi creda, proprio questa è la sua forza. Lo vorrebbero morto ma proprio questa è la sua forza. (pausa) Sì, possiamo dire che, a suo modo, Caifa ha a cuore qualcosa. Ma questo qualcosa non è certo il popolo. (pausa) No, la frase esatta fu questa: meglio che perisca uno solo piuttosto che tutto il popolo. (pausa) Il popolo. Sa cosa ho fatto io quando mi hanno riferito questa frase? A ridere mi sono messo: a ridere. Anche lei si sarebbe messo a ridere. (pausa) Il popolo! (pausa) Lo sa lei cosa gliene frega del popolo, a quelli? Niente, signore. (pausa) Il loro problema è che hanno il terrore, Caifa per primo, di non avere più nessuno da ricattare. (pausa) Quell’uomo si è trovato in mezzo a un problema loro, mi spiego? A un loro problema, di cui quell’uomo probabilmente non sapeva nulla. (pausa) O forse sapeva. (pausa) Quello che sapevo io era che quell’uomo non aveva fatto niente. (pausa) Beghe tra loro, nient’altro. Ma è di questo che bisogna avere paura. (pausa) Caifa aveva necessità di qualcuno da indicare come nemico, e credo che abbia pregato il suo dio: mandami un nemico. (pausa) Roma? No, non scherziamo. Roma non può essere un nemico per nessuno. Il nemico è sempre qualcuno con cui ci si possa misurare: chi si può misurare con Cesare? (pausa) Quando me l’hanno portato davanti sapevo già che era innocente, e maledicevo la sorte perché sapevo che sarebbe stata la più brutta fra tutte le mie grane. (pausa) No, non mi era simpatico, se è questo che intende. Nel precedente rapporto avevo riferito di un uomo che parlava di Cesare e di Dio in modo sospetto: date a Cesare quel che è di Cesare e date a Dio quel che è di Dio. Bene, era lui. (pausa) No, signore, che non è una frase detta tanto per dire, al modo dei preti che hanno sempre bisogno di parlare di Dio. Caifa avrebbe fatto così, non certo quel nazareno. Si vede, signore, che lei ha una formazione letteraria, umanistica. Io però ho una formazione da amministratore, e per me Cesare e Dio sono la stessa cosa. Perché quella distinzione, a Cesare e a Dio? Cesare è Dio, e Dio è Cesare. Perché voleva sottarre Dio a Cesare? Questa era la ragione per cui quell’uomo di nome Gesù non mi era simpatico. (pausa) No, signore, quella frase non era un capo d’imputazione sufficiente. Sufficiente per non nutrire simpatia, non per imputare. Lei corre troppo, signore. (pausa) Per questa gente, viceversa, basta molto meno. Per me sono pazzi. Non dovevo commettere quell’errore. (pausa) Sì, proprio così: ho pensato che stando dalla parte di Caifa avrei evitato che il popolo esplodesse. Meglio, mi sono detto, che se ne stiano tutti sotto questo farabutto. Ho pensato che questo avrebbe facilitato il lavoro di noi romani. (pausa) No, io non credo che fosse sbagliato il mio ragionamento. Ho pensato: lascia a Caifa il suo nemico, è vantaggioso per Roma. (pausa) E’ nella valutazione che ho sbagliato, non nel ragionamento. Ho dato troppa importanza a Caifa. Caifa era un pagliaccio, e io l’ho sopravvalutato. (pausa) No, signore. Io ho sempre dormito poco. Vuoi per gli impegni e le preoccupazioni del mio lavoro, vuoi per un’insonnia di cui soffro press’a poco da quando fui comandato a Gerusalemme. (pausa) A metà della notte, signore. Mi alzo, completamente sveglio, e cammino per il palazzo. Vago di stanza in stanza, di corridoio in corridoio, di scala in scala, di salone in salone. Quello che vedo, illuminato dalle fiaccole – colonnati, fughe di porte, balaustre, statue di uomini illustri – in quelle ore mi sembra lo specchio esatto della mia mente, anche lei piena di stanze, scale, corridoi, colonnati, fiaccole dal fumo nero, usci, polvere. (pausa) Sì, è vero. Sono molte notti ormai che non vado più nemmeno a letto. (pausa) Io quell’uomo l’ho lasciato andare. Come le ho già detto, avevo sperato a lungo che fosse sufficiente dar loro un contentino. Una strigliata e vedrete che non lo fa più. (pausa) Solo più tardi mi sono reso conto che Caifa mi stava implorando di lasciargli la sua vittima, e a quel punto ho sbagliato. (pausa) Questa, signore, è gente diversa da noi. Da noi a Roma un’impiccagione basta a sedare gli animi, qui no, qui nessuno si fida di nessuno, qui una sentenza capitale, anziché placare e indurre a riflessioni sensate, li eccita, mette voglia di altro sangue. Sono popoli nomadi, signore, poco avvezzi alla vita sociale. Il male altrui è il proprio bene, la morte del fratello è un metro di terra, un tugurio in più per sé. (pausa) Pazzo? Non creda, no. Creda piuttosto a me. Quell’uomo diceva cose sensate. La legge dei rapporti umani? La seccatura. Se vai di notte a chiedere un pane a un vicino, diceva, quello si alza e te lo dà non perché ti vuol bene ma per la seccatura. (pausa) Loro pensano che esistessero, all’inizio del tempo, un uomo e una donna. Questa donna si chiamava Eva ed era una seccatrice. Fu da una sua seccatura, una delle tante immagino, che cominciarono tutti i mali del mondo. (pausa) Io ho sbagliato e so che dovrò pagare. (pausa) No, nessuna pietà, signore. Negativo. Non provai pietà per lui. Era un uomo irritante. Ebbi piuttosto la sensazione che fosse lui a provare pietà per me. Forse sapeva che nella mia testa c’è un palazzo pubblico con scale e corridoi e saloni e uffici e tanta polvere, scartoffie più o meno importanti, gente che va e viene. (pausa) Lui provò pietà per tutto questo. (pausa) Ma era di un’altra razza. Non saremmo mai diventati amici. (pausa) Forse vide qualcosa in me perché a un certo punto parlò della verità. Io non gliel’avevo chiesto. Disse queste parole: Chi viene dalla verità ascolta la mia voce. (pausa) No, signore. Non risposi niente, ma sentivo la pelle della mia faccia che bruciava. Io sono un uomo moderno e non credo nella verità. Credo nella forza, nelle leggi, credo in Cesare. Ma che cos’è la verità? Proprio questo gli dissi: Che cos’è la verità? (pausa) Non ero curioso di saperlo da lui. Infatti non mi rispose. Volevo solo allontanarmi da una specie di sospetto senza volto. (pausa) Roma, signore, non ha tempo per la verità. (pausa) Lui mi guardava. (pausa) Tutta la nostra civiltà. La nostra arte. Le leggi, il diritto. Il potere, Cesare. Lo splendore che abbiamo portato dovunque. Io, signore, ne sono fiero. Ma la verità… (pausa) Eppure io sentivo la sua pietà che mi bruciava il viso. Quel povero galileo sembrava conoscere alla perfezione la mente di noi romani. (pausa) Perché volevano proprio lui? (pausa) Nel rapporto che adesso sta viaggiando lungo il mar Mediterraneo verso Cesare – dovrebbe trovarsi suppergiù dalle parti di Creta, io attribuisco a Caifa la colpa di tutto. (pausa) Ma forse non è vero neanche questo. (pausa) La verità – ecco, vede?, parlo anch’io della verità – i fatti, diciamo allora, i fatti sono questi: che ciascuno di noi ha cercato di salvare quel pezzo di mondo che aveva tra le mani: potere, clientele, amicizie, equilibri politici. Non bisognava tirar troppo la corda. (pausa) No, signore. Dopo averlo consegnato a Caifa mi lavai le mani. Non lo feci per me, lo feci per loro. Era come dire: Roma ignorerà, ignorabimus. Per non esasperare gli animi – pensi quanto ero, in fondo, ingenuo. (pausa) Quel nazareno era la vittima innocente di tutto il nostro bisogno di far andare le cose come erano sempre andate, di far funzionare bene la macchina. (pausa) Ho detto innocente, signore. Non casuale. (pausa) E nemmeno debole. La prego di considerare bene le parole. Innocente. C’era una forza spaventosa in lui. E un’intelligenza ancor più spaventosa. Veramente un solo sguardo di quell’uomo sembrava in grado di mettere allo scoperto e abbattere le nostre menzogne che ci sono così necessarie, signore, così necessarie. (pausa) No, io non volli seguire quegli infami. (pausa) Comunque sia, li rividi poco dopo, non contenti di tutto quello che avevano ottenuto adesso volevano che togliessi una scritta dalla croce. (pausa) Ce l’avevo fatta mettere io: ecco il re dei giudei, diceva, o qualcosa di simile. Per mettere le cose a posto. Un atto burocratico, ahimé. Ma loro protestano. Non è il nostro re. E a me – gli rispondo – che me ne importa, eh? Che me ne importerà mai? Era quello il capo d’imputazione, no? E loro: no, lui intendeva farsi re. E io basta, per favore, sciò, quello che è scritto è scritto, fuori dai piedi. (pausa) In quell’istante capii che avevo sbagliato tutto. Ho mandato a morte un uomo sulla base di una presunta intenzione, mi capisce? (pausa) Lo so che si fa ogni giorno. Del resto, con questa gente non c’è molto da fare. Non sono un pericolo per Roma ma a mio parere ci costano troppo. (pausa) E’ vero, signore. Ho permesso a mia moglie di seguire il suo disgraziato cammino. Lo ha affiancato, mentre cadeva di continuo sotto il peso della croce che gli avevano messo sulle spalle. (pausa) E poi, sì, gli ha pulito la faccia con un panno bagnato. (pausa) Perché, lei chiede? Mi stupisce, signore. Non ha ancora capito? I piedi di mia moglie furono i miei piedi, i suoi occhi furono i miei occhi, e le giuro, signore, che quel panno fu come se fossi stato io a darglielo. Almeno un panno caldo. (pausa) Lei non vuol capire, signore. Fui io a ordinare a mia moglie di seguirlo e, se possibile, di dargli conforto. Che civiltà sarebbe la nostra se non fossimo capaci nemmeno di porgere un panno caldo a un innocente che viene ucciso da una massa di ubriachi? Perché è così che hanno ridotto il popolo, signore. (pausa) Vuole sapere il mio parere? Se veramente esistesse un dio e se veramente questo dio avesse scelto un popolo come popolo eletto, allora povero questo popolo: di quanta umiltà avrebbe bisogno! Invece li guardi come insuperbiscono, come usano del loro supposto privilegio per scatenare la loro natura di assassini barbari. (pausa) Se i sacerdoti tenessero veramente al loro popolo, lo educherebbero. Invece non tengono che a se stessi – domando scusa: non tengono nemmeno a se stessi, non sanno più nemmeno loro a cosa tengono, cosa stia loro a cuore. E’ tutta una questione di macchina da mandare avanti, di meccanismo da oliare. (pausa) Questa notte mia moglie mi ha chiamato. Cosa c’è? le ho chiesto. E lei: Ti devo dire una cosa, amore. Dimmi. E lei: io credo che quell’uomo fosse veramente il figlio di Dio. (pausa) Come? E io cos’ho risposto? No, signore. Negativo. Questo non fa parte dei compiti di un amministratore. La mia risposta è privata.