Plinio ilo Vecchio e la pittura di genere

Il primo pannello della mostra in Santa Giulia “Da Caravaggio a Ceruti” ricorda come il più antico testimone della pittura di genere, che prepara ai «pitocchi», è stato duemila anni fa Plinio il Vecchio. Il riferimento va alla «Storia Naturale» di quel poligrafo, che qualcuno ha definito «l’inventario del mondo» e l’autore, più modestamente, un grande «magazzino» di tutte le notizie, credibili e incredibili, raccolte in lunghi anni di viaggi e di letture. Come tale, quell’opera (che nell’edizione dei «Millenni» di Einaudi occupa sei grossi volumi) si trova immancabilmente citata all’inizio della storia delle nostre conoscenze nei campi più svariati, dalla geografia alla medicina, dalle tecniche agli Esseni. Tra tante cose non potevano mancare le arti figurative.
Ad essi il raccoglitore dedica tre dei libri più lunghi della sua opera (dal XXXIV al XXXVI), ma con una differenza sostanziale tra le pitture e le altre arti. Mentre queste sono catalogate sotto le varie materie impiegate (oro, bronzo, marmo ecc.), la pittura mette in rilievo invece l’arte dell’uomo. Pare che questa diversità sia frutto delle innovazioni del grande pittore Apelle contro la tradizione precedente.
Nei capitoli sulla pittura (che occupa quasi per intero il libro XXXV) Plinio si colloca a metà fra tradizione e innovazione. Non si interessa troppo del materiale impiegato, ma continua a mostrare preferenza verso i temi di alta pedagogia civica e la rappresentazione degli eroi, secondo il vecchio costume romano, che assegnava all’arte una funzione utilitaria.
Nonostante questo, la graduatoria, che egli traccia fra i grandi artisti (quasi tutti greci o di formazione ellenistica anche se operanti a Roma), si fonda sul merito. Alla prima categoria appartengono gli spiriti sommi, dei quali Plinio ricorda anche le opere e spesso gli aneddoti. A questi seguono gli artisti degni del secondo posto. Ultimi vengono i «non ignobili», dei quali sono riferiti solo i nomi. Per i pittori scadenti nessuna menzione.
Il fatto interessante è che i pittori dei generi, che chiama minori, sono collocati nella prima categoria, benché in sezioni distinte. A questo gruppo appartiene Pireico (a noi non meglio noto) “che in fatto d’arte é secondo a pochi… Occupandosi di soggetti umili, raggiunse una grandissima gloria. Dipinse botteghe di barbiere, e di ciabattino, asinelli, vivande e cose del genere, per cui fu soprannominato grecamente “riparografo” (cioè pittore di soggetti volgari), ma usando un modo tanto piacevole, che le sue opere furono vendute a un prezzo superiore ai capolavori di molti altri”.
Ma facevano cose piccole anche gli altri, alcuni celebri, come Callicle, Calate e Antifilo. Parrasio era specialista di tipi umani, non eroici: una nutrice con un bambino in braccio, un sacerdote accompagnato da un fanciullo con l’incensiere, un guerriero in varie pose. Pausia disegnava quasi solo ghirlande e dipingeva piccoli quadretti. Nel tempio della Fede in Campidoglio era esposto il quadro di un vecchio con la lira, che ammaestra un fanciullo, ma l’autore di quest’opera era lodato soprattutto per la rappresentazione di un malato come soggetto di genere. Teoro scelse invece di rappresentare un uomo che si soffia il naso; Simo una bottega di lavapanni.
Al tempo di Augusto era stato esposto nella Curia un quadro votivo rappresentante un vecchio e un giovane con un’aquila, che li salva da un serpente. Il tipo degli ex voto è vicino ai quadri di genere, ma in questo caso è interessante il commento di Plinio: così da secoli il popolo romano guarda questi due personaggi “uomini di per sé di nessuna importanza”. Anche per lui la potenza dell’arte supera i pregiudizi sociali.
Il successo di questa pittura di genere, che tratta soggetti umili e quotidiani, è tale che invade anche i campi che non gli erano propri, compresa la mitologia. Plinio dedica una menzione al pittore, che per primo dipinse Ulisse col berretto. Secondo gli interpreti il particolare significa che l’eroe omerico vien ridotto al rango di marinaio. Del resto anche nell’Odissea il re della petrosa Itaca, che è un po’ avventuriero, un po’ imbroglione, un po’ sofferente, si presenta alla sua povera reggia in veste di pitocco vero e proprio.
Il genere straripa dai quadri di cavalletto alle pitture parietali e alla decorazione degli ambienti, che Plinio bolla come lusso puro e semplice. Un liberto di Nerone, dovendo dare ad Anzio uno spettacolo gladiatorio, “riempì le pareti dei portici pubblici… con riproduzioni realistiche di gladiatori e di loro addetti”; ma non era stato il primo a far questo. Un certo Studio dipinse, su pareti delle dimore dei ricchi, case di campagna, boschi, peschiere, canali fiumi, spiagge e persino dei facchini di mestiere, che attraversavano un corso d’acqua portando delle donne sulle spalle.
Forse per effetto del successo di questo genere di pittura anche temi significativi si imborghesiscono, perdendo il loro spessore ideologico e magari contemporaneamente cambiano materiale. Licio era stato allievo del Mirone ed è noto per aver scolpito un garzone, che soffia sul fuoco che sta per spegnersi. Si tratta probabilmente di una scena di culto.
Ma ecco che il pittore Filisco è celebre per aver rappresentato un garzone che attizza il fuoco. Il motivo non è più legato a un rito, ma è scelto in sé, come pittura di genere: lo stesso artista ha dedicato infatti un altro quadro a rappresentare un lanificio, in cui ferve il lavoro femminile.
Finalmente Filisco dipinse anche lui un ragazzo, che attizza il fuoco, ma non per compiere un rito, bensì per preparare i colori al maestro: la scena è ambientata nella bottega di un pittore. Pensando alla saletta della mostra bresciana, nella quale sono raccolti gli autoritratti dei pittori di genere, vien fatto di ipotizzare che in quel maestro, che si immagina nella bottega col suo garzone, Filisco abbia voluto rappresentare se stesso. La nota autobiografica, specialmente se ambientata nel contesto, non era ignota agli antichi.
Si diceva che il grande Protogene, dipingendo i Propilei, cioè l’impianto di accesso all’alta rocca di Atene, avesse introdotto nello sfondo delle piccole navi da guerra “perché fosse chiaro muovendo da quali inizi le sue opere fossero arrivate al vertice della fama”.
Infatti fino a cinquant’anni aveva dipinto solo navi.
 

Giornale di Brescia, 20.2.1999.