Presentazione del libro “Il male ha nuovi volti”

Giovedì 26 maggio 2016 alle ore 18, nella libreria dell’Università Cattolica, via Trieste 17/d A Brescia, è stato presentato il libro di Svetlana Aleksievič, Premio Nobel per la letteratura 2015, Il male ha nuovi volti. L’eredità di Černobyl’ (La Scuola, 2016).

Sono intervenuti  Goffredo Fofi, critico letterario e autore dell’introduzione, e Sergio Rapetti, traduttore di Svetlana Aleksievič,  autore della postfazione e curatore della bibliografia essenziale.

Sergio Rapetti. Studioso della letteratura russa, come consulente di vari editori ha promosso in Italia e/o tradotto decine di libri di autori del “dissenso”,  tra i quali Solženicyn, Čukovskaja, E. Ginzburg, Sinjavskij, Vladimov, Vojnovič, ecc. Negli anni Settanta e Ottanta, operando nell’ambito di organizzazioni umanitarie tra cui l’International Helsinki Federation, ha contribuito alla realizzazione di numerose iniziative di sostegno al dissenso e alla libertà della  cultura in URSS. In epoca postsovietica ha curato libri di autori non conformisti come Averincev, Aleksievič, Makanin, Volos. Dal 1980 e fino al 1992 ha collaborato alla terza pagina e alle pagine culturali del «Corriere delle Sera», traducendo, oltre a Sacharov, Tarkovskij e Aksjonov, numerosi articoli di critica letteraria di Sinjavskij. È sua la prima versione integrale mondiale, in una lingua diversa dal russo, di tutti i 145 “Racconti di Kolyma” di Varlam Šalamov (Einaudi 1999) parzialmente riproposta nel 2005 da Radio Tre in 21 letture  della trasmissione “Il Terzo Anello – A viva voce”.

Goffredo Fofi. Saggista, critico cinematografico, teatrale e letterario (n. Gubbio 1937). Lavorò negli anni Cinquanta e Sessanta in campo pedagogico e sociale collaborando a importanti esperienze, come quella di Danilo Dolci in Sicilia, e occupandosi del fenomeno dell’immigrazione dal Sud (L‘immigrazione meridionale a Torino, 1964). Analizzò la più recente storia culturale e sociale del Paese (Sotto l‘ulivo. Politica e cultura negli anni ’90, 1998), nonché i vizi culturali nel cinema italiano (Il cinema italiano: servi e padroni, 1975), indagando la ‘ricaduta’ degli anni di piombo sulla rappresentazione cinematografica (Dieci anni difficili, 1985). Autore, con M. Morandini e G. Volpi, di una Storia del cinema (1988), rilesse anche in modo originale l’universo comico ed espressivo di Totò (Totò l‘uomo e la maschera, 1987, con F. Faldini) e intraprese una personale critica delle figure di grandi registi, attori e attrici (Come in uno specchio, 1995, Più stelle che in cielo, 1995). La sua vocazione a individuare tendenze, personalità artistiche, mondi estetici, si concretizzò negli anni Novanta nell’appassionata difesa critica di giovani autori di area siciliana o napoletana (come D. Ciprì e F. Maresco, R. Torre, M. Martone, P. Corsicato) impegnati nella ricerca di nuovi linguaggi cinematografici, o nella vicinanza a cineasti tardivamente riconosciuti o ‘irregolari’ come G. Amelio e S. Citti. Fondatore nel 1997 della rivista mensile di arte, cultura e società Lo straniero, di cui è direttore, negli anni successivi la sua attività pubblicistica è proseguita con grande intensità: tra gli scritti più recenti occorre citare Come in uno specchio. I grandi registi della storia del cinema (1997); Le nozze coi fichi secchi (1999), lucida disamina dei tratti più significativi del suo percorso di uomo e di intellettuale sullo sfondo di un’Italia in mutamento; Paolo Benvenuti (2003); Alberto Sordi. L’Italia in bianco e nero (2004), viaggio retrospettivo attraverso i volti che hanno caratterizzato il cinema italiano; Santosuosso (con F. Giromini, 2003); Simenon, l’uomo nudo (con G. Da Campo e G. Fava, 2004);Totò. Storia di un buffone serissimo (con F. Faldini, 2004); La vocazione minoritaria. Intervista sulle minoranze (2009), in cui Fofi intervistato da O. Pivetta racconta cinquant’anni di vita culturale italiana con particolare attenzione a quelle minoranze che definisce “etiche”, a quelle persone che esprimono il proprio dissenso per rispondere ad un’urgenza morale; Zone grigie. Conformismo e viltà nell‘Italia d’oggi (2011), acuta critica degli scenari politici dell’Italia contemporanea. Nel 2012 è stata pubblicata sotto il titolo di Con il cinema non si scherza la lunga conversazione che, ripercorrendo quasi un secolo di storia e di cultura italiana, Fofi ha tenuto nel 2008 con il regista M. Monicelli; sono dello stesso anno il saggio sulla pedagogia Salvare gli innocenti. Una pedagogia per i tempi di crisi, il volume Strana gente. Diario tra Sud e Nord dell‘Italia del 1960, mémoir scritto da Fofi, allora ventitreenne, dopo le esperienze di intervento sociale in Sicilia al fianco di D. Dolci. Tra le sue opere più recenti occorre citare la biografia Marlon Brando. Una tragedia americana (2014), la curatela dell’antologia Il racconto onesto (2015) e i saggi Elogio della disobbedienza civile (2015) e Il cinema del no. Visioni anarchiche della vita e della società (2016). (www.treccani.it – 2016)

Il 12 ottobre 2015 Goffredo Fofi ha così descritto sul domenicale de Il Sole 24 Ore l’apprezzamento per l’opera letteraria di Svetlana Aleksievič e la stima per la sua persona.

…  Sono tanti gli scrittori che, dagli anni di Steinbeck e di Orwell, di Carlo Levi e di Capote, hanno cercato la nuova strada, la mescolanza di inchiesta e romanzo per dire quello che la letteratura da sola, ma neanche la sociologia o il giornalismo da soli, non possono riuscire a dire, per mettere i lettori di fronte alla complessità della storia e all’infinito dolore delle sue vittime (ovviamente non la complessità come alibi, quella di chi dimentica come il problema sia essenzialmente sempre lo stesso: chi e come deve amministrare il potere in un mondo diviso tra chi ha infinitamente troppo e masse e masse che hanno niente o quasi, e con l’obbligo morale di scegliere da che parte stare…).
Svetlana si è imposta con il libro su Černobyl, ha raccontato la guerra vista dalla parte delle donne, ha raccontato la fine dell’utopia sovietica e i suoi esiti in chi ci aveva creduto e a quell’utopia ha dedicato la sua esistenza. Ha raccontato i modi di reagire alla Storia e ai suoi disastri del “piccolo uomo” e della “piccola donna”, secondo la lezione della grande letteratura ru
ssa, quella di Tolstoj e di Čechov, ma anche di Dostoevskij e di Leskov, di Šalamov e di Grossman, e certamente non secondo una tradizione occidentale più qualunquista che populista. Lo ha fatto lavorando su migliaia di interviste, e, come peraltro faceva Kapuscinski, intervenendo col massimo rispetto ma secondo il dovere di comunicare, di dare esemplarità e forza alla testimonianza, a ciò che si è visto e capito, affinché gli altri capiscano e, se possibile, reagiscano. Un’idea attiva della letteratura, una concezione etico-politica dell’inchiesta. 
Per qualche anno, negli anni Ottanta dello scorso secolo, Svetlana Aleksievič è vissuta tra Germania e Italia in una specie di esilio, e in Italia a Pontedera negli anni in cui vi aveva trovato rifugio un altro grande artista dell’Europa centro-orientale, Jerzy Grotowski. Ho avuto l’onore di sfiorare il secondo e di incrociarvi Svetlana e accompagnarla, con altri amici (Maria Nadotti, Sandro e Sandra Ferri della casa editrice e/o, il suo grande traduttore Sergio Rapetti…) a Milano, a Napoli, a Roma, di pubbl
icarla su «Linea d’ombra» e su «Lo straniero». Raramente ho conosciuto persone così semplici e allo stesso tempo così persuase del proprio lavoro, della sua utilità per tutti. Una grande scrittrice, una grande donna. 

Aleksievič, Svetlana. – Scrittrice e giornalista bielorussa (n. Ivano-Frankivsk 1948). Cronista, ha raccontato ai suoi connazionali gli eventi principali dell’Unione Sovietica e della Russia della seconda metà del XX secolo, basandosi sulla raccolta di centinaia di testimonianze che ha trasposto nei suoi romanzi corali, in cui emergono i drammi, i sentimenti e le voci degli uomini e delle donne che hanno vissuto in quei Paesi e in quel periodo. I suoi libri reportage sono stati tradotti in varie lingue e le sono valsi fama internazionale e numerosi riconoscimenti, tra cui nel 2013 il Premio Internazionale per la Pace degli editori tedeschi. Tra gli scritti più importanti tradotti in Italia, si ricordano: Preghiera per Černobyl′ (2002), sulle vittime della tragedia nucleare del 1986; Ragazzi di zinco (2003), sulla guerra in Afghanistan, vista dagli occhi dei reduci e delle madri dei caduti; Incantati dalla morte (2005), sui suicidi seguiti al crollo dell’Unione Sovietica; Tempo di seconda mano. La vita in Russia dopo il crollo del comunismo (2014), sul disfacimento dell’impero sovietico vissuto dalle “piccole persone”; La guerra non ha un volto di donna (2015), raccolta di memorie di donne che hanno combattuto nell’Armata Rossa durante la Seconda guerra mondiale; Gli ultimi testimoni (2016), basato sulle memorie di guerra dei bambini. I suoi libri erano stati banditi in patria ed è stata costretta a lasciare per dodici anni il suo Paese perché invisa al presidente A. Lukašenko, che la considerava un’agente della CIA; in questo periodo ha vissuto principalmente a Parigi, ma di recente è tornata a vivere a Minsk. Nel 2015 è stata insignita del premio Nobel per la letteratura “per i suoi scritti polifonici, un monumento alla sofferenza ed al coraggio nel nostro tempo”. (www.treccani.it – 2019)