Proiezione del film “Hannah Arendt” (prima visione)

La Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura e il Cinema Nuovo Eden hanno unito le forze per permettere ai bresciani di assistere al film “Hannah Arendt” di Margarethe Von Trotta, che non era entrato nel circuito cittadino. La proiezione si è tenuta mercoledì 19 marzo 2014 alle ore 21 al Nuovo Eden, via Nino Bixio 9, ed è stata preceduta da una breve introduzione di Marta Perrini, studiosa di Hannah Arendt.

Sia la prima che la replica, tenuta il 20 marzo, sono andate esaurite. Con le repliche successive ben 1.200 spettatori hanni visto il film.

Il film ricostruisce gli anni tra il 1960 e il 1964, snodo fondamentale della vita di Hannah Arendt. All’inizio della vicenda, la cinquantenne intellettuale ebrea-tedesca, emigrata negli Stati Uniti nel 1940, vive felicemente a New York con il marito, poeta e filosofo tedesco Heinrich Blücher. Ha già pubblicato testi fondamentali di teoria filosofica e politica, insegna in una prestigiosa Università e vanta una cerchia di amici intellettuali. Nel 1961, quando i Servizi Segreti israeliani rapiscono il criminale di guerra nazista Adolf Eichmann, nascosto sotto falsa identità a Buenos Aires, la Arendt si sente obbligata a seguire il successivo storico processo che si tiene a Gerusalemme. Nonostante le titubanze del marito, la donna, sostenuta dalla sua grande amica scrittrice Mary McCarthy, chiede e ottiene di essere inviata in loco come reporter della prestigiosa rivista ‘New Yorker’. Hannah nota che Eichman, uno dei gerarchi artefice dello sterminio degli ebrei nei lager, è un mediocre burocrate, che si dichiara semplice esecutore di ordini odiosi e, d’altro canto, si sorprende nell’ascoltare testimonianze di sopravvissuti che mettono in evidenza la condiscendenza di alcuni leader delle comunità ebraiche in Europa di fronte ai nazisti.

Dai suoi resoconti, e in seguito dal suo libro, “La banalità del male: Eichman a Gerusalemme” (1963), emerge la controversa teoria per cui proprio l’assenza di radici e di memoria e la mancata riflessione sulla responsabilità delle proprie azioni criminali farebbero sì che persone normali si trasformino in autentici agenti del male.  Kurt Blumefeld, uno dei suoi più cari amici e capi sionisti israeliani, non riesce a perdonarla, mentre lo scandalo si diffonde in Israele e negli USA. La presidenza della sua Università è fortemente contrariata, la stampa la attacca violentemente, ma il marito e molti studenti approvano e sostengono l’essenza, apparentemente paradossale, del suo pensiero.