“Protrettico", l’esortazione perduta di Aristotele  

Un quotidiano canadese ha recentemente pubblicato la notizia che due ricercatori universitari locali sono riusciti a ricostituire e pubblicare il testo di un’opera perduta di Aristotele, il Protrettico. Si tratta di due studiosi, il prof. Douglas Hutchinson dell’Università di Toronto e Monte Johnson della St. Louis University, che sarebbero giunti al risultato dopo sei anni di lavoro. Diciamo innanzitutto qualcosa sull’opera aristotelica, così come la possiamo arguire dalle testimonianze indirette. Protrettico significa in greco antico "esortazione": era un’esortazione alla filosofia, nel nostro caso, scritta da Aristotele per Temisòne principe di Cipro, forse intorno al 350 a.C. In essa l’allievo veniva sollecitato da Aristotele a trascurare la retorica di Isocrate e della sua scuola, e a dedicarsi invece alla disciplina rivale, cioè la filosofia. Il trattato si inquadrava dunque nelle polemiche tra quelle due culture del mondo antico, polemiche sorte dopo l’apertura quasi contemporanea ad Atene della scuola di retorica di Isocrate e dell’Accademia filosofica di Platone. Ma quel testo non ci è pervenuto, insieme a molte delle opere aristoteliche: paradossalmente si sono perse del maestro di Stagira soprattutto le opere che erano destinate alla pubblicazione e alla divulgazione, cioè i trattati essoterici, e tra questi il nostro Protrettico. Ne sappiamo comunque qualcosa, perché il manuale ebbe un grande successo, sia a livello popolare (ci risulta che era letto anche in alcune botteghe antiche) sia tra i dotti. Veniva spesso citato da altri autori, e qualche volta anche copiato, persino nel titolo: Protrettico è ad esempio il titolo di un’opera di Giamblico, un filosofo neoplatonico del III-IV secolo d.C. In che cosa consiste allora la scoperta dei due studiosi canadesi? Non certo in un ritrovamento librario o archeologico, come è avvenuto recentemente per altri testi, per esempio un papiro del poeta greco Posidippo autore di epigrammi, o di Cornelio Gallo, elegiaco romano dell’età di Cesare e Ottaviano. In questo caso si è trattato invece di una ricostruzione del testo attraverso una testimonianza indiretta del tutto particolare: proprio di quel Protrettico di Giamblico, di cui si diceva. I due docenti hanno rispolverato una vecchia tesi sull’argomento, quella di uno studioso di più di un secolo fa, che aveva ipotizzato che le esortazioni di Giamblico non fossero genuine, ma che egli utilizzasse scritti non suoi sul medesimo argomento. Dopo questa intuizione di fine ’800, la teoria non fu più accreditata e non ebbe alcun seguito. Da qui sono partiti invece Hutchinson e Johnson, studiando il testo a noi pervenuto di Giamblico e accorgendosi che il suo Protrettico conteneva numerosi utilizzi non dichiarati di testi di altri autori, soprattutto di Platone. E perché non anche di Aristotele, è stata l’ipotesi di lavoro dei canadesi? Hanno così verificato che, quando Giamblico citava e commentava testi altrui senza precisarne la provenienza, aggiungeva delle chiose personali o poco di più: era sostanzialmente un grande falsario, o perlomeno un riciclatore disinvolto. Isolando le probabili aggiunte non genuine, i due studiosi hanno ricostruito l’originale aristotelico. Naturalmente i loro risultati sono discutibili e non mancheranno, com’è prevedibile, le smentite di altri esperti che contesteranno la loro ricostruzione: in effetti il punto debole è l’arbitrarietà di stabilire, in base a criteri stilistici e contenutistici, quanto riportato da Giamblico sia aristotelico e quanto non lo sia. Per ora dobbiamo limitarci a queste anticipazioni del quotidiano di Toronto, senza poter vedere il contenuto effettivo del testo. Ma i risultati dello studio saranno presto pubblicati da una rivista specializzata di Oxford e – possiamo esserne certi – il vaglio critico cui saranno sottoposti non sarà leggero.

Giornale di Brescia, 4.7.2005.