Puebla: il coraggio di essere Chiesa

Autori: Gheddo Piero

Penso che sia abbastanza noto l’avvenimento di Puebla, cioè la terza conferenza generale dell’episcopato latino – americano riunitasi dal 26 gennaio al 14 febbraio del 1979.

Forse è stata messa un po’ in ombra dalla visita del Papa. Ma, come si diceva un vescovo brasiliano, Puebla non è importante perché è venuto il Papa, ma il Papa è venuto a Puebla perché la conferenza era molto importante, un avvenimento eccezionale per la Chiesa universale e non solo per quella dell’America latina.

La prima conferenza generale del CELAM (Consiglio Episcopale Latino Americano) si svolse a Rio de Janeiro nel 1955 al momento della fondazione, e la seconda è stata quella di Medellin nel 1968.

Perché la conferenza di Puebla è importante?

Intanto perché in America latina vivono la metà dei cattolici di tutto il mondo: circa 350 milioni su 700; poi perché è un avvenimento abbastanza raro, anzi unico nel suo genere, che le Conferenze Episcopali di un continente intero facciano un incontro così preparato, così programmato una volta ogni dieci anni, dando le linee, facendo delle scelte per i prossimi dieci anni.

Noi ricordiamo tutti l’importanza estrema che ha avuto Medellin non solo per l’America Latina, ma per tutta la Chiesa universale, quando abbiamo cominciato ad accorgerci dei cambiamenti che questa conferenza portava nella Chiesa dell’America latina.

Direi che Puebla è in questo senso ancora più importante perché è stata ancor più preparata di Medellin.

Mentre Medellin è stata l’espressione dei teologi, degli esperti, il riflesso del Concilio sull’America latina, qui invece è stata veramente la voce delle Chiese latino-americane che si è espressa dopo due anni di preparazione.

Come si è svolta questa conferenza. C’erano 364 partecipanti rappresentanti di 22 Conferenze Episcopali, di cui 187 vescovi e 177 preti, suore e laici eletti dai consigli pastorali delle rispettive nazioni.

Di questi 187 vescovi, 12 erano stati nominati dal Papa, gli unici che avevano una nomina, e non una elezione, ed in genere rappresentanti delle congregazioni romane: c’erano cardinal Pironio, cardinal Baggio, cardinal Rossi e diversi altri.

Come ha funzionato la conferenza. Intanto si è partiti da zero, c’è stata come ho detto una lunga preparazione di due anni, con discussione a livello proprio di chiese locali, e questa preparazione aveva prodotto due documenti: documento di consulta, del dicembre 1977 e il documento di lavoro, dell’agosto 1978, che però all’inizio di Puebla sono stati lasciati da parte.

Si è detto: quello che si è fatto prima serve come consultazione, come indirizzo, ma non va difeso troppo strettamente.

Nei primi due giorni della Conferenza si sono stabiliti i temi da discutere: ogni gruppo episcopale nazionale ha formulato un elenco di tematiche che poi sono state votate e le votazioni hanno dato luogo alla scelta di 21 temi.

Quindi i 364 partecipanti si sono divisi in 21 commissioni. Ciascuno andava dove voleva a seconda dell’argomento e gli argomenti erano svariati: la famiglia, la catechesi, fede e politica, fede e ideologie, fede e religiosità popolare, clero, vita religiosa, i laici ecc…

Ciascun partecipante sceglieva l’argomento più adatto a sé, per cui c’erano delle commissioni che ne avevano 25; queste commissioni hanno lavorato per formulare un testo sull’argomento e di questi testi sono state fatte 4 stesure.

Queste 4 stesure (una dopo l’altra naturalmente) sono passate attraverso l’assemblea generale, che le ha discusse, ha proposto delle modifiche e le ha votate, momento per momento.

Questo è l’aspetto tecnico, possiamo dire che l’ultima stesura del documento, votata il mattino del 13 febbraio 1979 è stata votata all’unanimità, con una sola scheda bianca (voto segreto naturalmente) e questo dimostra come ci sia stata una convergenza veramente notevole su questo testo che è molto aperto e molto anche incoraggiante delle novità, delle sperimentazioni in campo pastorale.

Puebla è stato un grande avvenimento di fede. Chi vi ha partecipato, ed io ho ringraziato il Signore di avervi potuto partecipare, è rimasto entusiasmato dal vedere come in un continente così vasto, con tantissimi problemi, con chiese così diverse (perché non è che non ci fossero delle diversità) era venuto il momento dell’unità, il momento della sintesi, il momento in cui contavano più le cose che uniscono i cristiani dell’America latina di quelle che li dividono (ci sono molte cose che li dividono, ma sono cose secondarie rispetto all’unità).

E purtroppo non è che la stampa italiana abbia fatto un grande servizio alla verità, perché molti giornalisti hanno dato di Puebla una lettura italiana, non una lettura latino-americana.

Molti giornalisti era la prima volta che venivano in America latina conoscevano per sentito dire qualche situazione, e non parlavano lo spagnolo.

Non hanno dato una lettura latino-americana e non hanno dato neanche una lettura di fede. Noi sappiamo come questi grandi avvenimenti non possano essere giudicati con degli schemi preconcetti in testa: molti sono venuti giù con lo schema che Puebla dovesse essere un passo indietro rispetto a Medellin e che tutto potesse essere interpretato, anche inconsciamente, secondo questi schemi.

Ed invece Puebla è stato soprattutto un grande momento di dialogo .

Del dialogo noi cattolici parliamo molto, dopo il Concilio e dopo l’ “Ecclesiam suam” di Paolo VI, ma veramente di dialogo non è che ce ne sia stato molto, nei nostri congressi, molte volte ciascuno va per la sua strada, continua a ripetere le sue idee.

Qui invece c’è stato veramente uno sforzo, ed un risultato di dialogo, di incontro, di ascolto dell’altro.

Perché questo dialogo?

Innanzi tutto dall’atmosfera di fede e di unità creata dalla visita del Papa e dalla rispondenza del popolo messicano.

Siamo stati un po’ tutti “travolti” da questo popolo messicano: impressionava questa rispondenza corale, comunitaria, massiccia, di fede.

Io sono andato a Puebla come giornalista, come inviato dell’ “Avvenire” e di qualche altro giornale, e poi in diverse occasioni ho finito per fare il prete, perché per lo spagnolo che so sono stato preso per confessare nei momenti in cui avrei voluto andare, per esempio, a fotografare il Papa da vicino.

Sono esperienze che rimangono perché noi viviamo in un mondo secolarizzato e nella nostra vita la fede rimane molte volte in un angolino della nostra personalità, in un angolo un po’ nascosto, abbiamo il pudore della nostra fede: lì invece c’era una comunità, un popolo che, anche per motivi storici (in Messico c’è una mezza persecuzione, una semi tolleranza) ha manifestato pubblicamente la propria fede.

Un altro motivo per il dialogo è stata la lunga preparazione della Conferenza: due anni di discussione, di confronto, di sperimentazione, per cui venendo a Puebla i 364 partecipanti e, soprattutto, i 187 vescovi che votavano, perché la conferenza era “episcopale”, conoscevano già le idee degli altri; quindi non c’è stato un impatto violento come molte volte avviene negli incontri di tendenze diverse, quando soprattutto questi durano poco e non sono preparati. Invece Puebla è stato veramente il momento della sintesi e dell’unità.

Favorita questa sintesi dal meccanismo di discussione molto bello, sperimentato, inventato per questa Conferenza, per cui ciascun partecipante ha potuto esprimere le sue idee e vederle prese in considerazione, discusse e votate.

Puebla rappresenta veramente il momento attuale della chiesa in America latina. Possiamo criticarla, chi potrà dire che è troppo progressista, qui ognuno potrà avere le sue idee, ma è certo che rappresenta il momento attuale della crescita di questo popolo a 10 anni da Medellin.

Per questo il documento di Puebla è un documento aperto, ottimista, che dà speranza; se dovessimo mettere un titolo a Puebla dovremmo mettere: “Da Puebla con speranza”. Un messaggio di speranza per la Chiesa latino-americana perché fa vedere la forza del Vangelo per la liberazione dell’uomo. Fa vedere come i cristiani recuperando il senso della propria identità, vivendo Cristo, possono dare un contributo alla crescita del continente latino-americano.

E vediamo adesso un po’ i contenuti del documento.

Non si tratta di un testo semplice: parla di tutta la vita cristiana e di tutta la promozione umana che fa la chiesa ed è difficile riassumere i contenuti senza lasciare nulla di importante.

Il primo aspetto, che è anche la prima parte del documento, è l’analisi della realtà latino-americana.

E qui possiamo anche dire che, dopo quello del dialogo, questo è il primo insegnamento che Puebla ci dà: quello di partire dalla realtà. Il titolo generale della Conferenza era: “L’evangelizzazione in America latina nel presente e nel futuro”; prima di chiedersi come evangelizzare, però, i partecipanti si sono chiesti: “chi evangelizziamo?”; chi è, come vive quest’uomo latino-americano, in quale situazione, in quale condizione vive.

Questa prima parte è stata quindi un’analisi pastorale, dal punto di vista della Chiesa, della realtà latino-americana.

Un’analisi molto precisa perché veniva dalla base, e anche molto critica della realtà: per esempio sulla situazione socio-economica i partecipanti dicono: “constatiamo la situazione di povertà disumana in cui vivono milioni di latino-americani, vediamo alla luce della fede come uno scandalo e una contraddizione col fatto di essere cristiani, il crescente distacco tra ricchi e poveri. Il lusso di pochi si trasforma in un insulto contro la miseria di grandi masse”. Cito alcune frasi, ma vi sono molte pagine su questo argomento: tutta la prima parte analizza questa realtà.

“Analizzando più a fondo questa situazione- continua a dire il testo- scopriamo che questa povertà non è una tappa transitoria, ma il prodotto di situazioni e strutture economiche, sociali e politiche che danno origine a questo stato di miseria, pur essendoci anche altre cause per la povertà”; e poi si parla di meccanismi che “per il fatto di essere impregnati non di autentico umanesimo, ma di materialismo producono ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri”, quindi un’economia, una società, una struttura politica che non è al servizio dell’uomo, ma che è al servizio del capitale, delle multinazionali, di qualcosa che non è l’uomo.

Questa realtà esige quindi una conversione personale e profondi mutamenti nelle strutture.

Così nella situazione politica si parla di violazione dei diritti umani: tortura, emigrazione forzata, abusi di potere di regimi fondati sulla forza, ecc. Possiamo dare un dato che concretizza quanto dicono i vescovi: nel 1968 in America latina c’erano circa la metà dei paesi che erano retti da regimi, più o meno democratici, comunque con un certo gioco democratico; a Puebla, 10 anni dopo, sono soltanto tre i paesi che si dicono democratici, e possiamo dire quattro abbondando un pochettino: Messico, Venezuela, Costarica e Colombia (per quanto ci siano molti dubbi sulla democraticità del Messico e della Colombia).

I vescovi condannano questo ulteriore deterioramento del quadro politico, con grave danno per la partecipazione dei cittadini alla scelta dei loro destini.

Poi parliamo della situazione culturale, che è in rapido movimento, in cui le culture soprattutto marginali, quelle degli indios, quelle delle popolazioni meno importanti, meno robuste economicamente, vengono calpestate.

In questa analisi della realtà (sempre la prima parte) parlano della chiesa e notano le lacune, le deficienze, i limiti dell’azione della chiesa, ma comunque notano anche due aspetti molto positivi della chiesa dopo Medellin. Questi due aspetti sono:

  • primo, la Chiesa ha preso coscienza dell’impegno di evangelizzare; e,
  • secondo, la Chiesa ha cambiato l’immagine di sé che dava al popolo: non più legata al potere, ma al servizio dell’uomo, coscienza critica dei sistemi politico-sociali.

La Chiesa è andata acquistando una coscienza sempre più chiara e più profonda del fatto che l’evangelizzazione è la sua missione fondamentale e che non è possibile il compimento di questa missione senza uno sforzo permanente di conoscenza della realtà e di adeguamento dinamico del messaggio agli uomini d’oggi.

Per questo parlano le realtà, i vescovi passano a dare la risposta che la chiesa vuole dare a questa analisi della realtà, a questa ansia di liberazione che attraversa il popolo latino americano. Dicono al numero 4ç: “dal profondo dei diversi paesi che formano l’America Latina sale fino al cielo un clamore ogni giorno più tumultuoso e impressionante. E’ il grido di un popolo che soffre e chiede giustizia, libertà, rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo e dei popoli. Un sordo clamore scaturisce da milioni di uomini che chiedono ai loro pastori ciò che non giunge da nessuna parte”.

La chiesa si sente cioè veramente chiamata in questione da questo desiderio di liberazione, di libertà, di promozione umana.

E come risponde la chiesa?

La chiesa risponde con la sua missione di evangelizzazione.

Anzitutto l’annunzio di Gesù che è il vero liberatore dell’uomo; la chiesa vuole annunciare in America Latina il vero volto di Cristo, perché in Lui si attua la liberazione integrale di tutti gli uomini e di ogni uomo del nostro popolo.

E qui c’è tutto il capitolo sulla cristologia, cioè sui contenuti di questa evangelizzazione.

Un’evangelizzazione incarnata nell’America Latina, cioè in questa ansia di liberazione dove Gesù si presenta come il liberatore, il motore della storia e ispiratore di un vero cambio sociale.

Questo testo dice poi che l’annuncio di Cristo è oggi insufficiente in America Latina, cioè è la chiesa che prende coscienza di una insufficiente evangelizzazione.

Traccia poi a grandi linee la storia della salvezza: la salvezza in Cristo, il peccato personale, il peccato sociale, le conseguenze del peccato nelle strutture economiche, sociali, politiche ecc.

Finchè si chiede perché Gesù è il liberatore, per quale motivo.

I motivi che nota questo testo sono due: Gesù è il modello dell’uomo autentico, dell’uomo completo, dell’uomo libero, dell’uomo che ha coscienza di sé e che per è aperto ai suoi fratelli; e il secondo motivo è che Gesù ci rivela che la vita divina è una comunione trinitaria per cui attraverso Cristo l’umanità partecipa della vita trinitaria. Può sembrare un principio molto aereo, ma scende al concreto: la comunione che si deve costituire tra gli uomini (notare qui la bellissima trasposizione che il testo fa e che è un po’ la novità di Puebla, tra la liberazione politica, sociale, economica, culturale che l’uomo latino-americano attende e la comunione con Cristo, la comunione di fede) non viene attraverso giochi politici di potere, non viene attraverso le ideologie, non viene attraverso la violenza, non viene attraverso le finanze, l’aumento dei redditi, dei consumi, ma la chiave, la radice della liberazione è la comunità, cioè l’aiutarsi l’un l’altro, il vivere da fratelli.

Quindi Gesù si presenta come modello di uomo, ma ci si presenta anche come Colui che si mette nella comunità col Padre, cioè rappresenta la radice di una vera comunione, di una vera comunità tra gli uomini.

La comunione che si deve costruire tra gli uomini è una comunione che abbraccia tutto il loro essere fin nelle radici più profonde. Essa deve manifestarsi anche nella vita economica, politica e sociale. L’evangelizzazione quindi è una chiamata alla partecipazione ed alla comunione trinitaria. Questa è la comunione che cercano ansiosamente le moltitudini del continente latino-americano.

Questo perché l’uomo latino-americano, come tutti noi d’altra parte, non cerca solo una liberazione che abbia un carattere materiale, che abbia un carattere politico, economico sociale (anche se certo sono aspetti importanti), ma questa liberazione deve essere “integrale” come dice Paolo VI nella “Populorum progressio” e deve riguardare tutto il nostro essere e quindi anche la dimensione soprannaturale, che è poi la radice di tutto il resto.

La liberazione, questa è la tesi di Puebla, non viene né dalla violenza, né dai giochi politici, né dall’economia, né dalle ideologia, sebbene questi siano strumenti umani che non si disprezzano affatto, ma viene da una vita comunitaria, che vuol dire essere aperti l’uno all’altro, uno al servizio dell’altro.

La chiesa si presenta dunque come luogo di comunione e di partecipazione.

Nel 1968, a Medellin, la chiesa latino-americana ha preso coscienza del bisogno di liberazione.

La parola chiave per leggere Puebla non è più liberazione, perché è un dato acquisito, ma è comunione, cioè la liberazione che viene attraverso la comunità, attraverso la fraternità, attraverso la comunità cristiana.

Leggiamo il testo che chiarifica meglio il discorso: “Ogni comunità ecclesiale dell’America Latina dovrà sforzarsi di dare al continente l’esempio di una convivenza dove riescano a fondersi insieme libertà e solidarietà”.

Cioè nella comunità chiesa, in queste comunità ecclesiali (e poi vedremo cosa intende per comunità, concretizzando sempre più il discorso) l’uomo latino-americano sperimenta questi rapporti di libertà e di solidarietà, “dove l’autorità venga esercitata nello spirito del buon pastore come un servizio all’uomo, dove si viva un diverso atteggiamento di fronte alla ricchezza, dove si tentino forme di organizzazione e strutture di partecipazione capaci di aprire un varco ed una strada verso un tipo più umano di società”. Questo è in sintesi il discorso di Puebla sulla liberazione, non solo propone il modello Cristo, il quale ci porta in comunione con Dio, cosa che è il fondamento spirituale, teologico per una vera comunità, ma Cristo che ci apre ai fratelli, che ci apre all’altro, che quindi fonda la comunità chiesa. E’ questa comunità chiesa che porta la formazione e la crescita umana indispensabile per una liberazione in campo, poi, economico, sociale, politico, culturale ecc…

Questo discorso è molto importante e credo che su questo punto dobbiamo convertirci, perché in America Latina la storia cammina forse più velocemente di quanto cammina in altre parti del mondo, e ci sta dicendo come sono crollati negli ultimi tempi alcuni miti che magari da noi sono ancora vivi: il mito per esempio dell’alleanza per il progresso, di Kennedy, il mito del liberal-capitalismo che attraverso un’industrializzazione, attraverso un aumento del reddito, attraverso il potere economico, eccetera, venga la liberazione. Un mito che è crollato.

Non è che si apprezzi l’industrializzazione, ma si capisce benissimo che questa non è la chiave della liberazione.

Così, per esempio il mito della guerriglia rivoluzionaria, della liberazione che viene attraverso la violenza. In un momento in cui crollano questi miti, in un momento di crisi dell’America Latina in cui mancano i modelli di sviluppo, in cui mancano le idee, le vie tracciate, la chiesa fa una sua proposta.

Cioè la liberazione attraverso la crescita umana e cristiana non solo individuale, ma comunitaria. E quando il popolo sarà più maturo, quando il popolo crescendo in questa comunità avrà veramente acquisito quelle doti di coscienza (coscientizzazione), di unità, di altruismo, di servizio, naturalmente questo avrà un influsso nel campo politico, economico, sociale, attraverso la liberazione.

Ecco perché a Puebla mi ha un po’ meravigliato, ma positivamente meravigliato, il sentire i teologi della liberazione che forse in anni passati si erano lasciati tentare da quelle ideologia come il marxismo, come la rivoluzione, come la guerriglia, ideologie cxhe certamente non sono cristiane, e il vedere come molti di questi (non ho parlato con tutti e qualcuno è ancora su quelle posizioni) abbiano fatto marcia indietro. Per esempio Betto Libanio teologo brasiliano della liberazione, autore di quel libro “Dai sotterranei della storia”, diceva questa frase in una conferenza stampa: “I nostri popoli non credono più che la liberazione possa venire dalla guerriglia o dalle ideologie politiche, hanno una sola speranza che è nella chiesa e nella comunità dei cristiani e non intendete Chiesa come il Vescovo o il Cardinale: in America Latina c’è veramente una chiesa che è comunità, per chiesa qui si intende la comunità di quelli che credono in Cristo”.

La proposta della liberazione, dunque, attraverso la comunità. Ma cosa vuol dire questa comunità, come concretizza il testo di Puebla questo discorso sulla comunità.

Due concretizzazioni: la comunità famiglia, la comunità ecclesiale di base.

Naturalmente il testo parla anche delle diocesi, delle parrocchie, della vita consacrata, degli ordini religiosi, ma noi fermiamo la nostra attenzione su questi due punti fondamentali per la formazione e la crescita umana.

La famiglia anzitutto. Il testo insiste su questa pastorale familiare e forse detto qui in Italia potrebbe sembrare un qualcosa di scontato perché parliamo da sempre dell’importanza della famiglia.

In America Latina invece è un fatto abbastanza nuovo, in questo senso: che per la nostra storia latino-americana (e qui diamo una lettura latino-americana del testo) in questo continente mancano le famiglie, nel senso che la vita familiare e l’unità della famiglia è molto più compromessa di quanto lo sia da noi.

Sono andato in Nicaragua prima di andare in Messico; ebbene il Nicaragua è proprietà di una famiglia, dal 1932 è al potere la famiglia dei Somoza: Somoza è il presidente, Somoza è il capo del governo, Somoza è il capo dell’esercito, Somoza è il capo delle banche, ecc.

E in Nicaragua c’è una guerriglia molto forte, ne leggiamo quasi tutti i giorni sui giornali e andando là si vede chiaramente: sparatorie, città distrutte.

Guerriglia dunque, e ci sono anche dei movimenti non violenti, cristiani e non cristiani per la difesa dei diritti umani.

Parlavo col presidente del comitato per la difesa dei diritti dell’uomo (dirigenti che sono minacciati, che fanno questo a rischio della vita, perché parecchi sono scomparsi o sono stati presi e incarcerati) e questi mi diceva: “Guardi, nel nostro paese, pur se scomparissero per ipotesi tutti i Somoza, noi probabilmente non avremmo un governo migliore perché caduto questo dittatore ne verrebbe un altro”:
Come mai? Gli ha domandato. “Per il nostro popolo, il nostro materiale umano, per la storia del paese; e non perché sia meno intelligente o meno capace di altri, ma perché la storia del nostro paese è una storia di grande immigrazione, di grandi spostamenti di popolazioni, di grande razzismo perché le razze non si sono fuse; indios, negri, bianchi, spagnoli, tedeschi, di molte nazionalità, tutto questo ha portato alla conseguenza che nel nostro paese manca la famiglia. Voi in Italia fate tanto fracasso per il divorzio ed è giusto, voi difendete il matrimonio monogamico, ma quanti sono i divorziati in Italia? Saranno il 10%, il 15%, il 20% ! Da noi abbiamo il 18% di matrimoni registrati dallo Stato e dalla Chiesa! Non è che manchino i figli, ce ne sono moltissimi, ma non ci sono matrimoni, perché manca questa istituzione della famiglia”.

Queste cose vi danno una lettura diversa della realtà latino-americana, così anche in Brasile ho sentito la stessa cosa, anche quello è un paese in cui la famiglia manca proprio.

Perciò una delle scelte fondamentali di Puebla sul piano concreto e pastorale è proprio la pastorale familiare, cioè la costruzione di questa crescita umana partendo dal basso, dalla comunità familiare.

Secondo passo sono queste comunità ecclesiali di base che rappresentano la novità più interessante che ci rivela l’America Latina dopo Medellin.

Queste comunità ecclesiali di base sono nate in America latina verso il 1955-58 prima in Cile, poi in Brasile, poi in Paraguay, poi in Equador e in altri paesi e nella conferenza di Medellin sono state, come dire, “approvate” come una scelta pastorale prioritaria a livello continentale.

Dieci anni dopo, la conferenza di Puebla, pur mettendo qualche avviso, qualche monito (per esempio che non si chiudano in se stesse, che non diventino gruppi politicizzati, che siano aperte verso le parrocchie, verso la diocesi), conferma queste comunità ecclesiali di base.

In America latina queste comunità ecclesiali di base sono nate nella Chiesa e sono nella Chiesa. Sono gruppi familiari, quindi non movimenti giovanili o di categoria, specializzati, ma gruppi di famiglie in cui si vive la vita cristiana attraverso la guida di un capo, approvato dal vescovo e dalla parrocchia, che è l’animatore di queste comunità. Queste si incontrano una volta la settimana per pregare, per leggere insieme il vangelo, per discutere, per mettere insieme i progetti di vita, i propri sentimenti, le proprie cose, per combinare insieme quelle che sono le azioni di evangelizzazione e promozione umana.

Comunità ecclesiali di base che sono ormai in molti paesi, non in tutti veramente: ad esempio in Argentina hanno attecchito poco, così in Uruguay e nello stesso Messico.

Però in linea generale possiamo dire che hanno una diffusione veramente universale in America latina e rappresentano quella struttura di partecipazione e di comunione a livello di base che è veramente la struttura che permette ai cristiani di ritrovarsi insieme, di esprimersi, di contare qualche cosa all’interno della chiesa, perché attraverso queste comunità ecclesiali di base è venuto fuori tutto il discorso dei ministeri laicali, del coinvolgimento dei laici nell’apostolato, nell’evangelizzazione e nella promozione umana.

Ministeri laicali non ordinati e ma riconosciuti, cioè nella chiesa non c’è più solamente una chiesa clericale in cui il sacerdote fa tutto, ma una chiesa partecipata, una chiesa comunità di partecipazione, cioè una chiesa in cui tutti partecipano per l’evangelizzazione.

Questo è un po’ lo schema di Puebla; e poi c’è una parte, la terza, che è più specificamente politico-sociale, guarda cioè al nesso tra evangelizzazione promozione umana e liberazione.

Credo sia stato chiaro il disegno generale di Puebla:

  • analisi della realtà;
  • ansia di liberazione;
  • risposta della chiesa con l’evangelizzazione;
  • Gesù modello dell’uomo libero;
  • Gesù che ci introduce nella comunità, nella comunione col Padre e con lo Spirito e quindi che fonda la comunità chiesa;
  • Attraverso la famiglia cristiana, la comunità ecclesiale di base e la parrocchia avviene la formazione umana e cristiana, che poi ha un influsso in campo politico sociale e quindi porta alla liberazione.

Notate come questo discorso non è astratto, ma è un discorso molto realistico, non è un discorso aereo come sono molte volte i documenti ecclesiali italiani.

Occorrerebbe portare dei casi. Per me è molto indicativo il caso Brasile, dove dal 1964, col colpo militare di stato e poi ancora dal 1967 quando la dittatura è peggiorata, c’è un regime dittatoriale militare, in cui sono proibiti i partiti, i sindacati, in cui non c’è guerriglia, in cui non c’è nessuna forza di opposizione e di crescita del popolo. Il caso del Brasile per me dimostra, negli ultimi 10-12 anni come proprio la crescita comunitaria delle comunità cristiane, soprattutto attraverso queste comunità ecclesiali di base, ha portato ad un inizio di liberazione; è molto cambiato anche il regime, non perché il presidente è uomo di buona volontà e quello di dieci anni fa non lo fosse, ma perché si è trovato con un popolo diverso, perché questo popolo è cresciuto e si è espresso, attraverso le sue comunità, ha cominciato ad esprimersi, a parlare, a crescere, a fare degli organismi che sfuggivano al controllo dello stato e quindi a poco a poco ad acquistarsi uno spazio di libertà e quindi di liberazione.

Oggi il Brasile è ad esempio certamente in una situazione migliore rispetto all’Argentina.

Conseguenze nel campo politico sociale. Ho enucleato quattro punti del testo di Puebla.

Primo punto: la chiesa ha una propria verità sull’uomo, che le viene dal Vangelo, dal modello di Cristo, per cui quando parla di liberazione, quando noi cristiani parliamo di liberazione, intendiamo una liberazione secondo il modello di Cristo, cioè una liberazione cristiana, cioè una liberazione che abbia una certa visione dell’uomo e della società e della comunità umana, per cui il testo dice: la Chiesa ha una sua dottrina sociale cristiana.

E su questo punto c’è stato un confronto; anche animato, di opinioni.

La dottrina sociale cristiana non viene così presentata come un corpo dottrinale stabilito una volta per sempre, fisso, ma viene presentato come il pensiero cristiano in evoluzione, il pensiero cristiano sulla realtà del momento: politica, economica, sociale, il pensiero che la comunità cristiana esprime.

Ed il testo è bello in questo senso perché dice: “per la formulazione di questa dottrina sociale cristiana vanno tenuti presenti molti elementi, intanto l’ispirazione evangelica che si può anche riassumere in questo punto: “L’uomo viene prima di tutto il resto”, prima c’è l’uomo e poi viene lo stato e tutto il resto”. Poi: la tradizione cristiana (i cristiani hanno una storia alle spalle, vengono da lontano), l’analisi della realtà per l’applicazione concreta, la lettura dei segni dei tempi e la riflessione. Da tutto questo discende l’applicazione concreta della dottrina sociale cristiana, e dice il testo: “nell’analisi della realtà, e nella lettura dei segni dei tempi, e nell’applicazione concreta di queste dottrine, i laici hanno una grande importanza”.

Quindi non va inteso come una voce dall’alto: il vescovo che studia, decide, pontifica, ma come un pensiero, almeno così il testo di Puebla presenta la dottrina sociale cristiana, che si evolve e che viene formulato da tutti, dalla comunità.

Di conseguenza la chiesa non ha bisogno di servirsi delle ideologie per capire l’uomo, rifiuta quindi quelle che sono le ideologie non cristiane, e qui il testo ne nomina quattro: il liberal-capitalismo, il marxismo-comunismo, la dottrina della sicurezza nazionale (quella dei regimi militari al potere), ed infine l’ideologia della guerriglia, della rivoluzione violenta. Il testo dice che la chiesa rifiuta, non può accettare queste ideologie.

E’ un testo, ho detto prima, positivo, i vescovi non si fermano a condannare punto per punto, a discutere queste cose, dicono semplicemente: noi abbiamo una nostra proposta di liberazione, queste ideologie non vi entrano perché non sono cristiane.

Dunque, primo punto: la chiesa ha una sua dottrina sociale.

Secondo punto: rifiuto delle ideologie.

Terzo punto: la chiesa utilizza i mezzi evangelici per la liberazione dell’uomo. Rifiutando qualsiasi specie di violenza compresa la lotta di classe.

Utilizza i mezzi evangelici, che sono appunto la formazione umana e la crescita delle comunità.

Quarto punto, infine: la chiesa si mantiene libera da ogni compromesso col potere politico ed economico, per poter denunciare le ingiustizie ed essere sempre e solo al servizio dell’uomo.

La chiesa rifiuta i mezzi non evangelici della violenza, però ha anche un compito profetico che vuole adempiere e che ha adempiuto (già negli ultimi dieci anni c’è stata una crescita anche in questo senso di denuncia, di condanna, di mettersi all’opposizione dove i diritti umani sono violati).

Questo è il testo di Puebla. Voglio ancora far risaltare un punto che mi sta a cuore, ed è quello dell’apertura missionaria delle chiese latino-americane.

Non ha molta importanza nel testo, perché è contenuto solo in due o tre paragrafi, però è una novità, per esempio, rispetto a Medellin, dove non si parlava di missione in America latina ed all’esterno dell’America latina. A Puebla invece si dice: “sebbene noi abbiamo ancora bisogno in America latina di molti missionari di altre chiese, e ringraziamo quelle chiese che generosamente ci hanno aiutato, vogliamo dare del nostro poco alle chiese di tutto il mondo. E diamo soprattutto la nostra esperienza di fede e la nostra crescita di comunità cristiana, attraverso i nostri missionari che vogliamo mandare al servizio delle altre chiese”.

Credo che questo sia uno dei segni, per un cristiano, più bello, di una maturità raggiunta: la chiesa latino-americana non è più una chiesa che dipende dalle altre chiese, ha ormai una sua maturità e si sente in grado di dare qualcosa agli altri.

Anche noi dunque da questa chiesa, da questa conferenza di Puebla possiamo imparare molto.

NOTA: testo, rivisto dal’Autore, della conferenza tenuta a Brescia il 10.4.1979 su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.