Quando sono le vittime delle stragi a raccontare…

Il suo diario di bambina di nove anni che si interrompe alla data del 28 maggio. La pagina bianca come segno di un’assenza incolmabile, di una “sedia vuota” che resterà sempre a marcare la sua esistenza e quella dei suoi familiari. L’emozione è palpabile nelle parole di Beatrice Bazoli, coraggiosa ospite in Vanvitelliano per la presentazione bresciana del libro “Sedie vuote. Gli anni di piombo dalla parte delle vittime” (Il margine), scritto da un gruppo di studenti liceali e universitari di Trento che hanno intervistato i parenti di vittime del terrorismo negli anni Settanta. L’appuntamento, voluto dalla Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura in collaborazione con la Casa della Memoria, ha visto l’intervento dei giovanissimi autori, coordinati da Alberto Conci e Francesca Martinelli, che hanno intervistato Beatrice Bazoli, figlia di Giulietta Banzi Bazoli, che morì nella strage di piazza Loggia. Beatrice sembra ritrovare il suo sguardo di bambina quando ricorda la mamma (“era sempre indaffarata – spiega – a volte sbagliava orari e date degli appuntamenti”). Del giorno della strage riporta “la strana atmosfera”, il papà Luigi che comunica a lei per prima tra i figli l’accaduto. E poi sua meraviglia per la presenza di così tanta gente ai funerali: “Mi sembrava impossibile che tutti avessero conosciuto la mamma…”.
La testimonianza è intensa e drammatica e rende ragione delle parole del presidente Napolitano che, incontrando gli autori del volume al Quirinale lo scorso 9 maggio, aveva sottolineato la necessità che “i morti nelle stragi non siano ricordati solo come vittime, ma come persone che hanno vissuto, intessuto relazioni, lasciato affetti e ricordi”. “Il dolore delle vittime, spesso inascoltato – aveva detto Francesca Martinelli – ci ha fatto scoprire il valore della memoria, ci ha offerto gli strumenti per rileggere la storia italiana di quegli anni e trovarvi un senso. Ci ha aiutato ad avere fiducia nella politica e a sviluppare una coscienza civile”. Per essere protagonisti e credere – come dice Agnese Moro nel libro, citando il padre – “di avere un dovere da compiere nella gioia e nell’amarezza”.
“La città ci è sempre stata vicina in questi anni – dice Beatrice Bazoli -: ogni anno, in occasione dell’anniversario la città ricorda, e noi ci sentiamo accolti”. Eppure confessa la fatica di fare memoria: “Per noi – spiega – la memoria è un po’ schizofrenica. Esiste una memoria privata, familiare, ed una memoria condivisa: non sempre queste si incontrano”. I ragazzi pongono domande partendo dalle affermazioni degli intervistati nel libro, da Mario Calabresi a Benedetta Tobagi, da Manlio Milani a Giovanni Bachelet, toccando i temi più scottanti. “Non ci può essere perdono – dice Beatrice – se non c’è, in chi lo chiede, la volontà di rimediare a ciò che ha fatto. Certo – aggiunge – non si può ridare la vita a chi non c’è più, ma i responsabili di quegli atti possono rimediare aiutandoci a fare chiarezza, a capire ciò che è veramente successo in quegli anni”. Il peso delle parole è al centro dell’ultima riflessione di Beatrice, sollecitata da una citazione di Milani (“una nostra responsabilità, in quegli anni, è stata quella di non aver sufficientemente contrastato il linguaggio violento”): “Ho tuttora paura della violenza delle parole – conclude Beatrice -, che mi spaventa più di quella fisica, perché molti non si rendono conto del peso delle parole. Ma la vera forza sta nel non usare la violenza”.
“E’ necessario passare dal piano della memoria a quello della storia, perché una memoria condivisa non è semplicemente la sommatoria di tante memorie individuali. È la storia che deve essere condivisa”. Così Virginio Rognoni, che fu ministro degli Interni dal 1978 al 1983. Cita il partigiano bresciano Teresio Olivelli e la sua preghiera (“Signore, dacci un’Italia generosa e severa”) e insiste sul fatto che in quegli anni non ci fu guerra civile: “La democrazia si è salvata – spiega – perché non c’è stata reazione autoritaria e, nella lotta al terrorismo, è rimasta democrazia”.

 

(La Voce del Popolo, 3 luglio 2009)