Riconciliazione ed Europa

Per introdurmi all’argomento raccolgo uno stimolo che mi è stato offerto da un dialogo col presidente della Ccdc sulla figura di Bergson. Henri Bergson pensa che Dio ha creato la realtà e nella realtà ha messo una potenzialità creatrice, uno slancio vitale, creatore. Questa potenzialità ha continuato a operare e ha determinato i vari stadi evolutivi, arrivando all’uomo che costituirebbe l’ultimo stadio. Non pensiate a un super-uomo o a un uomo superiore: si tratta solo della fase finale dell’evoluzione: noi siamo la fase finale del progetto di Dio.
Sorge spontanea una domanda, a questo punto: se prima di noi gli uomini hanno creato qualcosa, noi non abbiamo più nulla da fare? Quando si pensa, però, che i rapporti tra gli uomini sono ancora segnati dalla violenza fino alla guerra fratricida, come nella ex – Jugoslavia, come in Cecenia o in Africa, non si può credere che questo sia l’uomo che Dio ha pensato. No, occorre un altro salto evolutivo c’è una novità da creare.
Con molta umiltà sono qui con voi proprio per pensare qual è questo salto evolutivo: penso che la novità a cui la storia tende è una nuova socialità, un nuovo rapporto tra gli uomini. Non possiamo accettare che il rapporto tra gli uomini possa essere così segnato dalla violenza fino alla guerra, alla distruzione reciproca, fratricida. Insieme possiamo scoprire questa novità: probabilmente, è molto antica, dobbiamo solo riscoprirla nelle nostre radici. Proviamo, con un unico pensiero, a pensare dove Dio spinge il nostro slancio creatore, che cosa l’umanità deve creare oggi.
Facciamo tre passi. Il primo: dove sta l’originalità di un’assemblea ecumenica europea? Sta nel fatto che è europea, che tutte le nazioni dell’Europa vi parteciperanno. Anzi, non sarà solo europea, ma mondiale, perché è organizzata dall’Europa, ma sono invitati gli altri continenti e l’Europa si interrogherà sul rapporto con gli altri continenti. E’ sempre interessante, anche per noi italiani, ricordarci la responsabilità dell’Italia e dell’Europa nel mondo. Adesso che vivo fuori dall’Italia vedo, forse meglio, (perché sono più distante dalla realtà dell’Italia e colgo un po’ di più queste cose) quanto l’Italia può imparare dall’Europa, dalle altre esperienze, ma colgo anche quanto l’Italia può dare all’Europa. Sapete che la prima assemblea ecumenica europea si è tenuta a Basilea nel 1989: in realtà, a mio parere, è stata un’assemblea dei paesi della Mitteleuropa, del centro Europa, i paesi tedeschi. Il sud Europa, anche se ha vissuto questo avvenimento, lo ha sentito un po’ secondario, sia nella preparazione che nelle conseguenze. Oggi, invece, sentiamo che il sud Europa e in particolare l’Italia hanno una responsabilità grande per l’Europa e per il mondo.
Il secondo passo: si tratta di un’assemblea ecumenica perché organizzata da tutte le Chiese d’Europa o dagli organismi che rappresentano le chiese d’Europa. Questa è la fatica e l’avventura nuova: mettersi insieme e preparare insieme e molto diverso che noi cattolici prepariamo un incontro e poi invitiamo le altre chiese oppure che la chiesa protestante o la ortodossa ci invitino: è molto bello, ma non è il vero ecumenismo.
Il vero ecumenismo è mettersi attorno a un tavolo e insieme vedere che passi fare: vi confesso che è una fatica , ma è una cosa molto bella.
Il terzo passo: il tema che è stato scelto. La riconciliazione, dono di Dio, sorgente di vita nuova.
La mia riflessione questa sera si muove proprio da qui, per introdurci al tema della riconciliazione.
Tre cose dobbiamo considerare.
La prima: il problema, cioè la riconciliazione perché la riconciliazione è un problema; la seconda: il dono di Dio; la terza: sorgente di vita nuova.
Il problema: mi introduco citandovi una pagina di un pensatore che mi ha accompagnato a lungo nella mia vita e che m’accompagna ancora. E’ la persona con cui ho parlato di più nella mia vita, un attore tedesco morto nel 1900, Friedrich Nietzsche un filosofo che non è certo un padre della chiesa, anzi è stato molto critico nei confronti della chiesa: posso quindi parlarne tranquillamente.
C’è una pagina nel suo capolavoro Così parlò Zarathustra in cui si raccorda che Zarathustra è circondato da una folla tra cui ci sono i non udenti, i ciechi, gli zoppi, i gobbi…Un gobbo gli si avvicina e gli chiede: “Perché anche tu non fai camminare gli zoppi, vedere i ciechi, non fai udire i sordi?” E’ chiaro che è una specie di provocazione, un’allusione a un altro che lo ha fatto e perciò è stato seguito, ha avuto successo. Zarathustra risponde: “Da quando sono in mezzo agli uomini ho visto che la cosa più grave non è che a un uomo manchi una gamba, un occhio o un orecchio. La cosa più grave è che ho visto uomini che erano solo orecchio, solo gamba, solo occhio, solo ventre. Ero sul ponte e ho visto questa scena: un grande orecchio che si stava muovendo. Atterrito e incuriosito, mi sono avvicinato e ho visto che sotto questo grande orecchio c’era uno stelo: questo stelo atrofizzato era tutto l’uomo. Se guardavi bene vedevi il visetto e persino un’animuccia che penzolava da qualche parte. Ho chiesto alla gente: “Ma chi sono questi?” Questi sono i grandi, le persone riuscite. E Zarathustra commenta: “Per me non sono persone riuscite, per me sono dei mostri alla rovescia. Io cammino in mezzo all’uomo che è diventato un frammento. Mi sembra d’essere in un campo di battaglia, di macello, dove gli uomini sono in frantumi. Dov’è l’uomo dell’avvenire?” Il testo, a mio parere molto bello, termina così: “Vorrei sognare, vorrei immaginare come un poeta e ricomporre in uno tutto ciò che è frammento, enigma e orrida casualità; vorrei sognare come poeta e ricomporre in unità il tutto”.
Vi lascio questa pagina come un regalo, perché, secondo me, dice il problema dell’uomo, dell’Europa d’oggi: noi siamo eredi (e continuiamo a conservare nel cuore e nella testa) di un modo di pensare violento che ci porta a ragionare così: io vedo il tuo volto è bello perché è armonico, ha gli occhi, le orecchie…tutto è importante perché è bello. Ma entra la violenza nel tuo volto e lo divide, prende un elemento (lì è l’imbroglio) che è importante, lo esaspera lo ingigantisce lo rende tutto. Alla fine tu pensi: quell’uomo è riuscito è un bell’uomo, non è un mostro, anche se l’occhio o l’orecchio prende il sopravvento. Questa è ideologia questa è violenza, quando un aspetto umano diventa tutto.
Potremmo fare un altro esempio: nella Centesimus annus la chiave di lettura è che il comunismo è un problema. Perché? Perché aveva un modo di pensare in cui un aspetto dell’uomo l’economia, diventava il tutto. Cioè: non ciò che diceva era sbagliato ma il modo con cui lo diceva perché affermava che quella era l’unica cosa importante.
Queste considerazioni potrebbero essere di molto allargate ad altre deviazioni cui oggi assistiamo: prendiamo il campo della sessualità, il caso della pedofilia di cui si discute in Belgio in questo periodo. E’ una cosa che ti sconvolge: come è possibile? Eppure è un aspetto dell’umano un desiderio dell’uomo, ma è ingigantito enormemente è diventato mostruoso. Il problema è proprio questo: quando tu prendi un aspetto dell’uomo e lo isoli, frammenti l’uomo. E le frammentazioni sono tante.
Io ve ne elenco alcune, tutte segnate da una logica che chiamerei diabolica, in senso etimologico. Diàbolon da dia – ballo. Dia significa sempre distinguere, dividere e ballo è un verbo che significa gettare via. Ecco questa è la logica violenta, della frammentazione dell’Europa e lo dico anche in base alla mia esperienza di viaggi e di incontri: anzi, mi scuso se non mi soffermo sui problemi, ma mi limito a elencarli.
Le divisioni, le frammentazioni sono innanzitutto in campo politico: c’è in Europa ancora una politica violenta, armata in alcuni casi. L’esempio tipico sono i paesi della ex – Jugoslavia: chi avrebbe pensato dopo il 1989, dopo la grande speranza di quell’anno che l’Europa sarebbe caduta in una tragedia di queste dimensioni? Eppure è successo. Ma che cosa è accaduto? Prima c’era un potere forte, un potere che teneva unite le differenze delle etnie, che tendeva al totalitarismo, che nel nome di salvare il sociale e il politico non riusciva a salvare le differenze, la libertà, le diversità. Queste, non appena hanno potuto, sono insorte; noi speravamo in questa danza della libertà, ma il risultato non è stata la danza della libertà, è stato un paradosso: le libertà, le differenze si sono scontrate fino a uccidersi. Io sono stato a Sarajevo ed è impressionante vedere che cosa è successo.
Ecco: la politica armata è una politica che rischia di passare ai totalitarismi e dall’impero romano al fascismo e al nazismo ne abbiamo visti di totalitarismi!
Dall’altra parte per reazione ai totalitarismi ci sono le libertà che riemergono ma il rischio è che cadano nell’anarchia. Saremo costretti allora a oscillare sempre tra sistemi totalitari e sistemi anarchici, entrambi distruttivi o è possibile pensare insieme la libertà e la socialità, la differenza e la politica?
Questo è un problema soprattutto politico, perché dietro le politiche armate ci sono le economie armate. Il motore della storia (o uno dei motori più nascosti) è l’economia. Vediamo che cosa è successo nell’Europa dell’est. Lì vivevano di un’economia collettivistica che, nel nome teorico di una giustizia e di una solidarietà, non riusciva più a esprimere la libertà, la libera impresa, l’imprenditoria, la proprietà privata, il libero mercato. Quando il libero mercato, la libertà sono insorti e hanno rotto la struttura collettivistica, hanno dovuto confrontarsi con la libera impresa del capitalismo occidentale e si sono rivelati inadeguati perché non sono preparati. Girando per i paesi dell’est europeo con sorpresa si sente dire che la maggioranza della gente vorrebbe tornare al comunismo, non perché ami il comunismo, ma perché quando c’era il comunismo tutti mangiavano. Adesso ci sono quelli che sono saliti sul carro del vincenti ma sono il 2 o 3%; tutti gli altri sono perdenti e un’economia che crea vincenti e perdenti non è un’economia secondo il sogno di Dio. Bisogna allora ancora sognare come un poeta per rimettere insieme libertà di mercato e solidarietà, impresa e profitto condiviso; bisogna sognare ancora come un poeta per passare a un’economia così.
Facciamo un secondo passo. Le economie armate, violente, hanno alle spalle un modo di pensare violento. E’ quello che dice il pensatore ebreo Emanuel Levinas, che è stato ad Auschwitz: Auschwitz dice Levinas, è frutto di un modo di pensare e quindi, se non vogliamo ricadere in Auschwitz, dobbiamo cambiare il modo di pensare, il che non è un’impresa facile. Però, è questo che cambia davvero le cose. Facciamo l’esempio della donna: finché eravamo convinti che le donne fossero inferiori, potevamo essere delle bravissime persone e trattare benissimo le donne, ma nella nostra testa restavano esseri inferiori. E questo lo dicevano i padri del pensiero occidentale, Platone e Aristotele ad esempio. Per cambiare le cose, abbiamo dovuto cambiare testa.
Ecco: che cosa dobbiamo cambiare oggi? Dobbiamo cambiare a livello sociale, a livello politico, a livello culturale: è questa la sfida di Graz. Vogliamo andare a Graz per ritrovarci insieme, discutere e provare a cambiare.
La nostra cultura è una cultura ancora violenta. Un problema che mi sembra vivo è questo: si è creato un contrasto tra libertà e verità.
Tutti amiamo la libertà, essa è una cosa acquisita: la filosofia, la psicoanalisi hanno riscoperta la libertà, il marxismo la liberazione…E’ un dato di fatto, molto chiaro, i giovani qui presenti lo sanno: non toglieteci la libertà perché se qualcosa mi toglie la libertà, mi toglie me stesso.
Ma liberi per che cosa? I giovani potrebbero rispondere: per amare. Ma esiste l’amore? O l’amore, prima o poi, ti tradisce? Liberi per far festa? L’illusione del sabato sera? Liberi, liberi…ma se ci guardiamo attorno, liberi per che cosa? Forse, liberi per niente. E allora, si cercano le cose estreme, i sassi dal cavalcavia dell’autostrada o cose simili. Si ha l’impressione che questa libertà che ha perso la verità è una libertà che pende sull’abisso, che pende sul nulla. Questo è il problema centrale, il problema fondamentale della cultura: siamo gente che celebra la libertà, la mitizza, ma comincia ad averne paura.
Il popolo ebreo nel deserto vive un’avventura di libertà, ma sogna l’Egitto: noi, oggi, stiamo sognando l’Egitto. Prendiamo il fenomeno delle sette, per esempio. Nelle sette c’è un certo tipo di fondamentalismo, d’integrismo, che si può leggere come fuga dalla libertà. Purtroppo, la parola fondamentalismo oggi significa tutto e niente: basta che io non sia d’accordo con te e ti dico che sono un fondamentalista. Spero però che capiate quello che intendo dire: c’è una tendenza d’integrismo, di integralismo, di fanatismo che percorre la società ed entra anche nelle chiese e crea l’inimicizia del dialogo, l’inimicizia dell’ecumenismo. Il problema è disinnescare questa paura della libertà.
Finisco questa prima parte citando quelli che sono i problemi di non riconciliazione più radicali dell’uomo, quelli che appartengono all’uomo come tale.
Il primo è il problema del dolore: ogni uomo soffre, il dolore è una realtà che appartiene all’uomo il dolore è rottura, è sempre ferita, entra e spezza. Sarebbe illusione pensare all’uomo della pubblicità che dice: “Il dolore non esiste”.
Se poi vogliamo pensare alla riconciliazione non possiamo fermarci a livello politico e sociale, ma dobbiamo pensare all’ultimo problema dell’uomo alla guerra ultima, alla non riconciliazione ultima, allo spezzamento radicale: la realtà della morte. Gli uomini perché pensano, cercano, lottano? In fondo, anche se non lo diciamo, gli uomini fanno tutto perché devono vincere la morte o, in altre parole, vogliono vincere il tempo che è il nostro nemico. Se il tempo esiste, significa che tutto passa, passano anche le cose più sacre, passano anche le cose più care, passo anch’io. Pensate a due fidanzatini che passano un momento bello e si dicono l’uno all’altra: “Vorrei che quest’istante si fermasse”. Ma quell’istante non si blocca. Però si ha l’intuizione che si vorrebbero eternizzare quei momenti. Noi tutti viviamo dei momenti immensi, estatici e vorremmo fermare il tempo, ma il tempo non si ferma. Ecco il nemico.
A questo punto ho fatto un elenco delle non riconciliazioni, degli spezzamenti che appartengono all’uomo. Il titolo dell’assemblea di Graz è “Riconciliazione dono di Dio, sorgente di vita nuova”.
Passiamo perciò al secondo punto: dono di Dio.
Dono di Dio: quella riconciliazione che l’uomo attende, che l’uomo cerca, di cui l’uomo ha passione, quella voglia di vincere la morte che appartiene a noi, di superare il dolore, di superare anche le politiche armate, le economie armate, quel desiderio quella ricerca hanno trovato una risposta.
Questa risposta noi dobbiamo riascoltarla, dobbiamo riscoprirla e la cattedra da cui dobbiamo imparare è quel monte fuori dalla città di Gerusalemme dove il figlio era crocefisso: la cattedra è quel crocefisso fuori dalle mura. La città non lo vuole, la città lo espelle e lo crocefigge. In quel crocefisso Dio ci dona la riconciliazione: basterebbe questo per dire quanto è seria la riconciliazione, non è una cosa qualunque, se Dio per darcela ha dovuto lasciarsi inchiodare sulla croce.
Sto entrando in un terreno molto difficile, molto delicato e so che le parole sono sempre inadeguate a dire questo.
Però, con voi, vorrei fermarmi un momento a contemplare quel mistero di quel crocefisso fuori le mura.
Lì c’è la realtà del figlio di Dio che è entrato nel tempo, quindi è entrato nella storia, è entrato in quel tempo che tutto mangia, che divora tutto, rosicchia tutto. Entra nel tempo e da un parte si lascia anche lui rosicchiare perché nasce bambino, cresce e poi la morte lo mangia. In realtà, lui rimane Dio, rimane eterno. In altre parole, quel pezzetto di tempo, quell’attimo della sua vita è il luogo dove l’eterno è entrato nel tempo, e l’eterno ha eternizzato il tempo: c’è già un attimo di tempo che è diventato eterno.
Così la nostra domanda è: sarà adora che noi possiamo riconciliarci col tempo? Sarà allora che si è aperta una strada? Che i nostri attimi possono diventare eterni? Ecco la grande domanda.
Entra nella storia e non guarda la storia dal di fuori, ma entra nelle ferite, entra dentro le non riconciliazioni, entra dentro le sofferenze. Dentro le sofferenze della politica, perché è anche la politica che lo crocefigge; dentro le sofferenze delle chiese perché sono le chiese, le religioni che lo crocefiggono. Entra dentro il tradimento degli amici. Quando tu ti senti tradito dell’amore, lui entra dentro quel tradimento. Tradito dall’amore, dagli amici, entra dentro il dolore, entra dentro la morte.
Io vorrei seguire con voi i passi che Gesù compie, per capire come possiamo diventare protagonisti di riconciliazione. Primo passo dobbiamo entrare dentro le ferite, non si può riconciliare senza entrare dentro; chi guarda dal di fuori, chi fa l’arbitro, il giudice dal di fuori non diventa un riconciliatore. E’ un riconciliatore chi entra dentro.
Secondo passo: Gesù entra dentro la ferita e diventa lui ferita. La ferita è qualcosa che ti divide, in altre parole crea uno spazio nuovo, che prima non c’era. Gesù lascia entrare in sé la ferita e diventa spazio, ma siccome lui è Dio diventa spazio divino, quindi enorme, abissale, infinito: diventa puro spazio. E questo significa che tutti gli altri trovano casa il Lui. Immaginiamo che in questa sala si crei un abisso, una voragine enorme: che cosa facciamo? Ci cadiamo dentro tutti. Gesù, che è Dio, diventa voragine pura. E gli uomini che cosa faranno? Poiché è una voragine infinita ci cadono dentro tutti. Se noi vogliamo diventare riconciliatori, dobbiamo diventare spazio. essere spazio dove gli altri si trovano a casa. Gesù diventa spazio fino a sentire la lontananza da Dio: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?”
Cioè diventa una separazione anche dal cielo perché tuffi gli uomini che si sentono separati dal celo trovino in lui una casa. Questo spazio, questa ferita Gesù la assume su di sé e diventa Lui.
A me sembra questo un punto moto importante, il punto della riconciliazione. Di solito quando nasce un conflitto io lo trasferisco a un altro, l’altro diventa conflitto e tenta di trasferirlo a un altro ancora e il conflitto si comunica, la guerra si comunica, in famiglia, tra i vicini di casa, tra le nazioni. E’ una rete che si crea e ognuno cerca il colpevole del conflitto.
Gesù blocca il conflitto perché Lui a un certo punto non cerca più il colpevole, come facciamo noi, lo tiene su di sé, diventa Lui il conflitto, lo assorbe, lo consuma, lo respira in se stesso. Questo mi sembra misterioso, ma è protagonista di riconciliazione che assorbe in sé il conflitto, chi l’annienta in se stesso.
Pensate in una famiglia: capitano i conflitti e dureranno finché non ci sarà qualcuno che li blocca in sé: alle volte è il padre, più spesso è la mamma, perché ci vuole una capacità creatrice, ci vuole una capacità generatrice che blocchi il conflitto: quando qualcuno lo fa, torna la riconciliazione torna la pace. Ancora una riflessione: perché quel conflitto finisce in Gesù?
Finisce perché Lui prende la guerra e la rende l’occasione di dare la vita, cioè Lui diventa la guerra, diventa lacerazione e dice: “Questo è il mio modo estremo per darti la vita, non c’è amore più grande, io ti do la vita e tu mi distruggi il corpo, ma in realtà tu morte, tu violenza, tu tempo, tu nemico, tu guardia non lo distruggi perché io la vita te la do”. Facciamo un esempio banale: chiunque può rubarmi questo libro, ma se io questo libro lo regalo a chi vuole rubarmelo, può ancora rubarmelo? Ecco il segreto: se io ti regalo una cosa, tu non puoi più rubarmela. Ecco il segreto, il gioco di Gesù: Lui la vita la regala a noi e la regala al Padre e nessuno può più rubargliela. Ecco la sfida della riconciliazione. E qual è l’esito di ciò? E’ quel dare la vita, quel morire per amore, quella morte che non è più morte: la novità è l’amore. Noi cercavamo un modo di dire che la morte non era morte, lì c’è una morte che non è più morte, lì c’è una tenebra che non è più tenebra, ma luce, lì c’è un dolore che è diventato amore. Ecco il cambiamento, ciò che l’umanità cercava e non poteva da sola trovare; ma lì è successo e la strada è aperta.
Vorrei soffermarmi, se avete un attimo di pazienza ancora, per riuscire a capire che cosa ne deriva.
E siamo al terzo momento: sorgente di vita nuova. Qual è quella vita nuova che nasce? Quella vita nuova che nasce è la vita dell’amore, l’unica vera novità è l’amore. Certamente quest’amore non è quello di cui sgazzettiamo a tutti gli angoli, di cui parlano tanti; è un altro tipo d’amore, ma l’amore è la novità.
Se dovessi dirvi che cosa dobbiamo fare per l’ecumenismo che cosa dobbiamo fare per il dialogo tra le religioni, che cosa dobbiamo fare per la politica etc., io vi direi una parola sola: amare, è l’amore la novità. Se Dio si è disturbato a venire dai suoi cieli a dirci una cosa: Se volete seguitemi fin lì, amate fin lì , questa è la vera novità, questo è ciò che manca. Noi discutiamo di tutto, ma poche persone hanno il coraggio d’amare così, pochi credono che amare così sia risorgere, pochi credono che questa è la via dell’ecumenismo, questa è la via del dialogo, quest’amore è il dialogo.
Io mi fermerei ancora con voi per dire che cos’è questo dialogo. Stiamo alla parola: dia – logos.
Dia, dicevo prima, significa distinzione, diversità; logos, discorso, parola: quindi, senza diversità non c’è colloquio, non c’è amore infatti, se questa sera fossi solo o fossi identico a tutti, potrei dialogare? Se ci fosse la pura identità non si potrebbe dialogare; potrei amare qualcuno se non ci fosse diversità, se io non vedessi i vostri volti e voi il mio? Se io non vedessi i vostri volti, io non potrei amare nessuno: quindi, per amare ci vuole diversità, ci vuole distanza. Ma di solito, le diversità che cosa diventano? Diventano motivi per farsi la guerra perché ciascuno pretende di far valere le sue ragioni o il suo possesso…Se stiamo in questa logica c’è sempre un motivo di guerra. Bisogna, allora, maturare una nuova logica. Se siamo diversi, se abbiamo il coraggio delle diversità che cosa ne facciamo di questa diversità? Bisogna che queste diversità vengano donate: io dono la mia diversità a te e mi aspetto che tu faccia altrettanto. L’esito qual è? La Risurrezione, l’esito è quello che Gesù vive nella Pasqua, l’esito è che in questo gioco reciproco di donarci la diversità, si genera una terza realtà , il dia – logos.
E’ così anche in natura: pensate un marito e una moglie, un papà e una mamma, ognuno dona qualcosa e nessuno si sente defraudato di qualcosa e l’esito è una terza realtà, quel bimbetto che poi corre per conto suo. La terza vera realtà è la logica della natura.
Ma qui stiamo considerando realtà culturali: in filosofia il logos, come lo traduciamo? Noi diciamo discorso. Se tra un cattolico e un protestante c’è questo gioco, nasce un discorso nuovo, un rapporto nuovo, una nuova, vera realtà.
Ma facciamo un passo ancora: per i cristiani il logos che cos’è? Prologo del Vangelo di Giovanni: “In principio era il logos, il logos era presso Dio, Dio era il logos”. Tutto è stato fatto attraverso il logos, che noi traduciamo con Verbo, con Figlio.
Ecco, in principio era il Figlio, la Parola, la Parola di Dio stessa, Dio stesso. Questo è il dialogo, il dialogo è lo spazio di amore che noi ci concediamo dove la Parola di Dio, dove Dio stesso prende dimora, dove Lui parla. E Lui il protagonista, è Dio fra noi.
Questo dove succede? Può succedere tra marito e moglie, tra genitore e figlio, tra due amici, può succedere dappertutto, anche tra un cattolico e un protestante o un ortodosso. Ecco il dialogo, l’ecumenismo: non è che io, cattolico, cerco di convincere te protestante a venire dalla mia parte, perché io penso di avere ragione o viceversa.
Io sono cattolico e devo essere cattolico. Se non sono niente, che cosa ti dono? Quindi, se sono cattolico, devo essere seriamente cattolico; se non lo sono, non posso darti niente. Il mio essere cattolico è ciò che io posso donarti perché tu non l’hai. E tu sei protestante. E che cosa mi aspetto? Che tu mi doni ciò che sei, ciò che io non ho.
L’esito qual è? Non è che io mi converto a te, o tu a me; l’esito è il logos, Dio tra noi, Lui che parla. A me cattolico che cosa chiederà? Chiede di convertirmi a Lui. All’ortodosso che cosa chiederà? Probabilmente la stessa cosa. Non sono io che vado a convertire il non credente, l’ortodosso o viceversa, è che ambedue siamo luogo in cui ascoltiamo questa terza realtà. Ascoltiamo la verità, ascoltiamo l’unico Maestro.
Basta questo per dirvi come pensiamo il dialogo? Vi sembra che il dialogo, di solito, è pensato con questa serietà? Spesso nella chiesa si dice: dobbiamo dialogare o dobbiamo dire la verità? Dobbiamo amare o dobbiamo dire la verità?
Pensate se fosse veramente così, se ci fosse contrasto tra amore e verità! Se dialogo e verità fossero in contrasto o fossero due cose diverse, non faremmo nessun cammino.
Ma c’è un luogo dove dialogo e verità sono la stessa cosa, amore e verità sono la stessa cosa e quel luogo è Dio.
In Dio la bellezza, l’amore, la verità…tutto converge in uno finalmente.
Il dialogo non è qualcosa di più, qualcosa di superfluo: il dialogo è realtà, il dialogo è Dio stesso, il dialogo è amore, il dialogo è verità perché se è logos, il logos è Dio stesso.
Spesso il dialogo non è pensato così. Talvolta è pensato come una tattica: siccome non siamo persone cattive e io voglio convincerti, è meglio dialogare che farti violenza. Però, sotto sotto è una tattica per convincerti a venire dalla mia parte.
Oppure il dialogo è spesso compromesso: io sono un po’ meno cristiano, tu cerca di essere un po’ meno mussulmano e così, forse, dialoghiamo meglio: anche questa è violenza perché è finire in una terra di nessuno. Io non sono più me stesso, tu non sei più te stesso…Questo compromesso, questo sincretismo non è dialogo.
Oppure il dialogo è tolleranza: oggi si dice molto che dobbiamo avere tolleranza, che dobbiamo essere tolleranti, che ci tolleriamo. Va bene, è meglio avere la tolleranza che farci le guerre, ma non è dialogo.
Faccio un esempio: se io sono convinto che tu hai ragione, ti tollero? No, dico che hai ragione, sono anch’io dalla tua parte, non è che ti tollero. Se poi sono convinto che hai torto, che pendi sull’abisso, che stai per precipitare che amico sarei se ti tollerassi? Se un mio amico sta cadendo, io vado a soccorrerlo.
La tolleranza non fa cammino, perché non ha il problema della verità.
Che cosa vorremmo fare a Graz? A Graz vorremmo andare da diversi: ci sarà la fatica delle diversità perché veniamo da tutta Europa, veniamo da tutte le chiese, veniamo dall’est e dall’ovest, dal sud e dal nord: siamo diversi.
Ne faremo occasione di liti? Può darsi. Ne faremo occasione ci guerre? Può darsi. Oppure potremo rischiare questo gioco di donarci le diversità? Allora sarà che Graz vedrà come protagonista lo spirito del Risorto, il logos fra noi e noi tutti ci convertiremo al logos.
Questo è quello che diceva Nietzsche: “Vorrei sognare come un poeta e ricomporre in uno ciò che è diversità”.
Questa è un’urgenza della storia, ma richiede un salto culturale, un salto del pensiero, è qualcosa di estremamente nuovo. Io non so che cosa sarà Graz, nessuno può saperlo: quello che so io è che noi dobbiamo con tutte le nostre forze credere che la riconciliazione è capace perché è possibile.
Concludo con un’immagine: io non so dove va la barca dell’ecumenismo. Se dovessimo dirci come sarà l’ecumenismo realizzato, come saranno le Chiese insieme non potremmo dire niente. Sappiamo solo che su quella barca dobbiamo starci fino in fondo, perché c’è qualcuno che sa dove la barca va. Qualcuno lo sa già su in alto: la nostra responsabilità è starci sopra e andare.
Girando per l’Europa si ha l’impressione che tante volte il cielo sia chiuso, che manchi l’aria: la nostra speranza è di riaprire il cielo, che l’orizzonte sia aperto. Vi auguro d’essere protagonisti di questa storia come un cielo aperto.

Testo, non rivisto dall’Autore, della conferenza tenuta a Brescia il 31.1.1997 su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.