Rilke, le profondità del verso

Giornale di Brescia, 1 marzo 1995

Tra i grandi iniziatori della poesia moderna bisogna assegnare un posto di primo piano a un tedesco, nativo di Praga, Rainer Maria Rilke (1875-1926), a un inglese, Gerard Manley Hopkins (1844-1889), e a un francese, Charles Baudelaire (1821-1867). È stata, quindi, una scelta felice iniziare il ciclo di incontri sulle “Grandi voci della Letteratura europea” con Rilke, Hopkins e Baudelaire. Rilke, cronologicamente, viene dopo gli altri due e in qualche misura ne dipende; ma in un tratto se ne differenzia in modo marcato. Di nazionalità ceca, non padroneggia perfettamente la lingua della sua Praga. Gli altri due poeti, invece, furono profondamente legati alla loro 1ingua. Rilke non è il cittadino, ma l’ospite di Paesi europei e di ambienti culturali a cui, di volta in volta, chiede una sorta di adozione elettiva: la Grecia con i suoi miti; il messaggio cristiano col suo perenne “già” e “non ancora” e la feconda tensione tra incarnazione e trascendenza; la Santa Russia; la Firenze di Sandro Botticelli, dell’ Angelico e di Donatello; e ancor più Trieste e Parigi.
Uomo perennemente sospeso tra la dedizione di sé e la tentazione narcisista, sempre alla ricerca di un bene a cui rinunciare per nutrirsi della nostalgia di esso, Rilke può anche non riuscire simpatico, sotto l’uno o l’altro aspetto; ma egli è, con i suoi tormenti irrisolti e le sue profonde aspirazioni, poeta come pochi altri. Da questo punto di vista la nota più seria e precisa su di lui rimane quella scritta da Giaime Pintor, nel 1940-’41, presentando la sua traduzione della raccolta Poesie, riedita da Einaudi insieme a “Elegie duinesi” e a “Nuove poesie-Requiem”. Eccola: “Fin dall’ inizio questo artista, che nella sua fragile figura appariva la più preziosa incarnazione di quell’estetismo fin de siècle, tende oltre i limiti dell’arte”. Si comprende, quindi, la ragione per cui è proprio un autore come Rilke che ha richiamato l’attenzione di due grandissimi teologi del Novecento: Romano Guardini, di cui la Morcelliana ha pubblicato il volume “Rainer Maria Rilke”, e Urs von Balthasar, finissimo esegeta delle “Elegie duinesi”.
Io stesso, impegnato a raccogliere le più alte e limpide preghiere della letteratura europea, sono rimasto sorpreso dall’intensità mistica di non poche liriche del “Libro d’Ore”. A me, poi, non ha cessato di incantare il richiamo rilkiano alla povertà, alla gloria mite dell’Essere che è oltre ogni forma, al senso dell’abissalità labirintica dell’anima umana. È ben stato lui, Rilke, così segnato in gioventù dalla presenza anticristiana di Nietzsche, che ha scritto: “Ma l’esistenza non è ancora stregata; in cento / luoghi è ancora sorgente. Un gioco di forze / pure che nessuno attinge se non prega e ammira”. Ed ancora: “Glorificare, ecco la verità!”.