Storie di cattolici che si opposero a Hitler

Marta Perrini: La lama e la croce presenta dieci figure, una decina di episodi, di una resistenza al nazismo. Storie di persone semplici, alcune solitarie, altre parti di una comunità. Attraverso diverse vie arrivano a dire no a Hitler. Quello su cui vorremmo iniziare a riflettere è il falso storico che aleggia intorno al tema della resistenza tedesca, ovvero l’idea che non ci sia stata una resistenza tedesca. È stato dimostrato che circa tre milioni di tedeschi (tra Tirolo, Austria e Germania) sono passati nei campi di concentramento, ne sono morti circa 500 mila; si parla circa di 800 mila casi di opposizione attiva e di oltre 180 mila condanne a morte. La resistenza tedesca è stata la più lunga, la più colpita e la più estesa in ambito europeo. Il campo di concentramento di Dachau entrò in funzione già nel 1933, e fu ideato per gli oppositori politici di area tedescofona.

Frase di Churchill del 1946: In Germania c’è stata un’opposizione che appartiene alle più grandi e nobili che siano mai state conosciute nella storia di tutti i popoli. Un’opposizione, quella tedesca, ancora poco nota, tranne per il celebre episodio dei congiurati del 20 luglio del 1944, e della Rosa Bianca; Francesco Comina si sforza di riportare alla luce delle figure della resistenza tedesca rimaste nell’ombra. Sul perché la resistenza tedesca sia così scarsamente considerata ricordiamo solo alcune ragioni: in Germania dire di no equivaleva a tradire la patria e a volte voleva dire schierarsi contro i propri familiari. C’è un brano molto bello tratto dal diario di Sophie Scholl, in cui lei si rifiuta di partecipare alla colletta per i soldati al fronte, benché al fronte ci fossero il fidanzato e il fratello. I resistenti, ricordati da Francesco, sono andati al patibolo soli, insultati e questo non è finito nel 1945, anche negli anni 80 alcuni di loro erano ancora malvisti.

C’è una rilettura del nazionalsocialismo come una grandissima macchina amministrativa, penso al libro di Raul Hilberg “La distruzione degli Ebrei di Europa”, il quale mostra, passo per passo, come lo sterminio sia arrivato a seguito di piccoli passaggi, apparentemente insignificanti: cambiamenti di lessico, piccole esclusioni sociali etc. Hannah Arendt ha riletto il fenomeno nazionalsocialista in questa chiave di lettura, infatti sosteneva che l’enorme macchina amministrativa dello sterminio di massa, creata dal regime nazista, fu resa possibile grazie alla partecipazione diretta di alcune persone, ma anche grazie alla tacita complicità di altri.

Francesco Comina: Io sono un po’ un cacciatore di storie, non sono uno storico di professione e non è il mio compito quello di essere uno storico, anche se ho già raccontato due vicende, che sono compaiono anche in questo libro: i due beati Josef Mayr-Nusser, sudtirolese, che nel 1944 ha obiettato, urlando il suo No al regime e Franz Jägerstätter, un contadino austriaco, con la quinta elementare, che ha avuto la forza, la determinazione, il coraggio di mettersi contro tutti. Il più solo dei soli. Talmente solo che arriva davanti alla lama della ghigliottina contento di aver sentito, la sera precedente alla condanna, dal cappellano del carcere, che non è il solo ad aver fatto questa scelta ma che esattamente un anno prima un altro condannato era stato ghigliottinato con le stesse motivazioni, era il sacerdote pallottino di Feldkirch Franz Reinisch, che fa pare anche lui della mia schiera di testimoni raccontato nel libro: «Allora non sono solo – ha affermato con gioia Franz al cappellano che lo aveva incontrato per dargli l’ultimo conforto prima di salire sul patibolo – allora se un altro sacerdote ha fatto lo stesso, significa che non sto sbagliando, come mi stanno dicendo tutti accusandomi di essere un irresponsabile, avendo moglie e tre bambine piccole. Significa che noi obiettori di coscienza siamo nel giusto e abbiamo visto bene».

Ho cercato di tracciare alcune storie sulla base degli studi che ho fatto e da quello che è emerso è che noi abbiamo una lettura un po’ stereotipata di questa storia del nazismo, cioè abbiamo una lettura che dovremmo cominciare a mettere un po’ in discussione. Non è vero che il popolo tedesco è stato un popolo quasi totalmente asservito al tiranno. Nella metà degli anni ‘90 è uscito un libro di Daniel Goldhagen che ha fatto molto discutere e che si intitola I volenterosi carnefici di Hitler. Questo libro ci ha fatto in qualche modo pensare ad un appoggio quasi totale del popolo tedesco a questa dittatura. In realtà noi potremmo scrivere un altro libro: I volenterosi obiettori a Hitler, perché furono centinaia di migliaia le persone che cercarono di organizzare una resistenza al dittatore. Molti furono soli, ma ci furono anche delle organizzazioni (come, ad esempio, la Rosa Bianca o il circolo di Klingenbeck o la Rote Kapelle) che tentarono di costruire n mondo altro nella Germania del Reich. Ho scoperto questa organizzazione di Berlino: «Rote Kapelle», Orchestra rossa, che era il nome che gli è stato dato dai nazisti. Un’organizzazione fondata da un ufficiale nazista, Heinz Harro Max Wilhelm Georg Schulze-Boysen che si è convertito alla lotta partigiana e dal giurista Arvid Harnack, cugino di Bonhoeffer, il grande teologo luterano, che poi verrà impiccato nell’aprile del 1945. Harnack era un intellettuale raffinato, che aveva lavorato negli Stati Uniti ed era tornato in Germania proprio con l’intento di aiutare la parte miglio del popolo tedesco a liberarsi di Hitler e aveva fondato un gruppo di resistenza, che solamente a Berlino aveva 250 aderenti ma aveva propaggini anche in altre parti della Germania e dell’Europa. In questo gruppo c’era una galassia composita di persone, fatta di cattolici, di evangelici, di anarchici e di comunisti.

Io ho raccontato la storia di due donne appartenenti a questa organizzazione: Eva-Maria Buch e Maria Terwiel.  Due donne che mi hanno molto commosso per l’impegno e la forza che hanno messo in questa lotta contro il dittatore. Eva-Maria Buch lavorava in una libreria berlinese e ha conosciuto un compagno, Wilhelm Guddorf, con cui ha condiviso la lotta per la resistenza. Lei aveva 22 anni quando venne ammazzata. Aveva cominciato a progettare la resistenza condividendo le azioni di contro-propaganda richieste dal movimento, come volantinaggio, collegamento con gruppi di resistenza anche al di fuori della Germania, attività di sabotaggio dell’industria militare, incursioni notturne in strada a fare azioni dimostrative contro il nazionalsocialismo. Ad un certo punto, nell’agosto del 1942 quest’organizzazione venne scoperta e ci fu l’immediata rappresaglia della polizia nazista che arrestò dapprima Schulze Boysen e poi tutta la trama dell’organizzazione con i componenti che, a vario titolo, ne facevano parte. Eva-Maria Buch, come l’altra compagna, Maria Terwiel, è stata arrestata, processata e condannata a morte il 5 agosto 1943. Qualche ora prima della condanna a morte scrive una lettera molto commovente ai genitori dove dice: «Miei carissimi due, amati genitori. Sono stata molto felice della vostra lettera, che ho ricevuto ieri con il saluto da parte vostra! Ora dobbiamo essere coraggiosi! Ora dobbiamo separarci. Miei due genitori, voi, a cui non ho potuto risparmiare questo terribile dolore! Ad ogni modo va bene così come sono andate le cose. Dentro di me si è creato un conflitto così drammatico. Le cose come sono andate negli ultimi mesi sono arrivate ad una conclusone. Ora tutto è pace e gioia. I miei pensieri si rivolgono completamente a voi. La vostra fedeltà mi ha toccato profondamente. Mille grazie per questo e per tutto l’amore che mi avete dato. Sono stata molto felice in questo ultimo periodo. Perdonatemi, mamma mia, papà mio. Tante cose rimarranno per sempre inespresse, ma sono profondamente in debito verso di voi e avrei voluto fare ammenda. Ma noi siamo fatti l’uno per l’altro insieme, e io resterò sempre in mezzo a voi. Vorrei baciarvi, accarezzarvi e confortarvi. Salutatemi tutte le persone care! A un felice ricongiungimento nell’altra vita. Aspettate con pazienza finché vi chiameranno. Siate gioiosi fino all’ultimo respiro… La vostra piccola Eva».

L’altra donna, Maria Terwiel, aveva 33 anni ed era una fantastica dattilografa, scriveva talmente veloce che le affidavano i rapporti interni all’organizzazione, scriveva i documenti dei due fondatori dell’organizzazione e in particolare riscrisse e diffuse le famose omelie del vescovo di Münster Clemens August von Galen, uno dei maggiori oppositori del nazionalsocialismo. Goebbels disse pubblicamente che la minaccia più forte sono state le omelie di questo vescovo, che aveva il coraggio di dire le cose come stavano. Aveva fatto delle omelie potentissime, una famosa contro la politica di eutanasia, quando i nazisti avevano diramato una legge (T-4) per eliminare i soggetti improduttivi della società, quindi malati di mente, persone affette da handicap fisico e mentale, anziani… Il vescovo si è scatenato con grande furia contro il nazionalsocialismo e aveva cercato di aprire gli occhi dei tedeschi che sarebbero potuti pure loro finire dentro quella spirale del male appena la loro sanità si fosse trasformata in una qualsiasi malattia del fisico o della mente. Von Galen è sopravvissuto non è stato colpito dalla repressione, però ha rappresentato una contrapposizione tenace al nazionalsocialismo. Maria Terwiel trascriveva questi testi, che alimentavano e cercavano di ampliare il fronte della resistenza contro i nazisti. Anche lei finì sulla ghigliottina il 5 di agosto del 1943. Prima di morire anche lei volle scrivere una lettera ai suoi fratellini più piccoli: «Io non ho nessuna paura della morte – scrisse ad Ursula e a Gerd – non ne ho della giustizia divina perché non ne abbiamo bisogno, non dobbiamo temerla. Siate fedeli ai vostri principi e restate uniti eternamente nell’amore».

Una vicenda che mi ha davvero impressionato è quella un ragazzino, Walter Klingenbeck. Aveva 16 anni quando cominciò a porsi il problema dell’opposizione al nazismo. Cresciuto a Monaco, nelle stesse strade dove poi sarà attiva la Rosa Bianca, questo ragazzino, che provenivo dalle scuole tecniche di Monaco raccolse alcuni compagni di classe e misero insieme un gruppo di resistenza, il circolo di Klingenbeck. Provenivano da una parrocchia di Monaco, Sankt Ludwig, che era già tenuta sotto controllo dai nazisti perché aveva all’interno alcuni sacerdoti che avevano fatto un’azione di contrasto al sistema. Insieme al padre questo ragazzino ascoltava le radio proibite, come la Bbc, Radio Siegfrid 1 e Radio Vaticana. Questi ragazzini sono cresciuti dentro questo spirito critico e fecero le stesse cose che faceva la Rosa Bianca: facevano volantinaggio in città, scendevano nelle strade e nelle piazze a fare manifestazioni contro il regime (si calcola che fecero una ottantina ottanta incursioni per scrivere la parola “Victory” sui muri dei palazzi di Monaco; (Churchill aveva lanciato una campagna in cui invitava la popolazione tedesca critica del regime a scrivere sui muri dei palazzi la parola “Victory”, che era il segno della vittoria degli alleati). Avevano costruito una radio clandestina, trasmettevano musica americana e le notizie degli alleati e poi avevano addirittura progettato un aereo telecomandato, un drone, per lasciar volare volantini della resistenza sopra il cielo di Monaco. In Germania era però pieno di delatori, cioè pieno di gente che non vedeva l’ora di denunciare le persone che la pensavano altrimenti, anche perché magari pensavano di poter fare carriera dentro quel sistema; quindi, c’erano sempre in giro delle spie, pronti a denunciare questi giovani. Infatti i ragazzi vennero denunciati e poi cominciò il processo e Walter venne condannato a morte, insieme agli altri, ma gli avvocati di questi ultimi riuscirono a trasformare la pena di morte in una grazia, vista anche l’età giovanissima degli arrestati. L’unico che morì fu Walter, appena diciannovenne, ghigliottinato. Anche lui morì il 5 di agosto del 1943 nella stessa camera delle esecuzioni dove morirono gli aderenti al gruppo della Weisse Rose. Scrisse anche lui una lettera all’amico che ce l’aveva fatta: «Se vuoi fare qualcosa per me – scrisse – recita qualche Padre nostro». La ghigliottina nazista tagliava le teste pensanti.

Marta Perrini: Un altro cliché è quello di considerare la resistenza tedesca come una resistenza un po’ romantica. Vorrei chiederti di raccontarci quella che nel libro è l’ultima storia: I 2000 soldati che parlarono con il silenzio. L’inedito atto di obiezione di un intero battaglione di polizia.

Francesco Comina: In molti casi sono venuto a conoscenza di queste storie un po’ casualmente, sbattendoci la testa. Non sapevo granché. Nel 2013 ho fatto un anno a Berlino e andavo spesso a visitare il Museo della Resistenza, che è stato costruito nella caserma dove ci furono i congiurati che tentarono, fallendo, di uccidere Hitler il 20 luglio del ‘44 (si celebrano gli ottant’anni quest’anno della sorte tragica dell’operazione Valchiria). Questi ufficiali responsabili della congiura vennero fucilati in questa caserma la sera stessa del fallito attentato. Si rimane molto stupiti quando si entra in queste sale perché si vedono migliaia di foto, di storie, di biografie, di vicende sulla resistenza. C’è tutta la galassia resistenziale. Lì mi feci dare le schede di una parte di queste storie e iniziai a cercare la sezione dei cattolici che parteciparono alla resistenza, poiché mi era stato chiesto di scrivere un libro sulla resistenza cattolica, e scoprii queste storie. Scoprii la storia di Maria Angela Autsch, la suora austriaca delle Religiose Trintaria, una congregazione nata a Valencia ma che aveva un monastero in Tirolo. Angela era soprannominata l’angelo di Auschwitz e io ho cercato di rappresentare anche metaforicamente questo impulso a volare della giovane suora la quale, fin da piccola, aveva la volontà di salire verso il cielo. Subito dopo l’Anschluss (nel marzo del 1938), La Autsch entra in collisione con il regime. Viene deportata ad Auschwitz e soprannominata da tutti l’angelo del campo. Dava il suo pane a chi ne aveva bisogno, aiutava le persone che arrivavano, cercava di abbellire il campo a Natale inventandosi dei semplici regalini per i bambini. Con le sue ali enormi copriva il corpo esausto dei malati. Muore il 21 di dicembre nel 1944 a causa di un bombardamento. La ricordano come la donna che “volava” da una parte all’altra del campo. Aveva due “ali” sconfinate, fatte di piume soffici, che scaldavano e mitigavano le sofferenze e le privazioni dei prigionieri.

Sono storie che pongono il tema della coscienza, ossia da che parte stare davanti a questo bivio drammatico che si veniva a creare nell’intino di ogni esistenza buttata in questo vortice del male. Si tratta di un dilemma tremendo, angosciante. Viene rappresentato in maniera forte da Franz Jägerstätter, il quale decide che non può essere nazista se vuole essere cristiano, le due cose non possono stare insieme e così sceglie la strada della fedeltà alla sua fede e alla sua coscienza.

Nell’ultimo capitolo troviamo la storia del battaglione Brixen, una storia raccolta dalle letture che ho fatto, soprattutto dei libri scritti dallo storico trentino Lorenzo Baratter. Una storia di obiezione di un intero gruppo, un ammutinamento di 2000 giovani, molti provenienti dall’ambiente cattolico, in particolar modo dall’azione cattolica di Bolzano, rappresentata dal giovane sudtirolese Josef Mayr-Nusser. Nel momento in cui quest’ultimo muore (24 febbraio 1945), questi 2000 soldati sono obbligati a fare giuramento di fedeltà a Hitler. Mayr-Nusser si rifiutò di giurare in nome di Dio a un idolo terribile come Hitler. La stessa cosa fecero questi 2000 soldati, i quali rimasero in silenzio, non giurarono. Il Gauleiter del Tirolo chiese di ripetere il giuramento, pensando che forse questi ragazzi non avessero capito bene che cosa dovessero fare. E loro per la seconda volta rimasero in silenzio. Li mandarono, come punizione, con un armamento molto leggero, in battaglia in Slesia pensando che venissero eliminati negli scontri, in realtà quasi tutti se la cavarono perché la guerra finì di lì a poco. Rimane l’unico caso di un intero battaglione che si rifiuta di prestare giuramento.

Marta Perrini: Vorrei approfondire il tema della coscienza e il tema della musica nei Lager e di come i gerarchi si commovessero fino alle lacrime per queste orchestre di ebrei che suonavano nei campi. Nel 1963 Hannah Arendt seguì il processo a Eichmann a Gerusalemme come giornalista. Dall’insieme di questi articoli nasce il libro: La banalità del male. C’è un passo che mi è venuto in mente, proprio per antagonismo alle vicende che stiamo narrando oggi:

Il guaio del caso Eichmann era che di uomini come lui ce n’erano tanti e che questi tanti non erano né perversi, né sadici, bensì erano e sono tutt’ora terribilmente normali. Dal punto di vista delle nostre istituzioni giuridiche e dei nostri canoni etici questa normalità è più spaventosa di tutte le atrocità messe insieme, poiché implica, come già fu detto e ripetuto a Norimberga, dagli imputati e dai loro patroni, che questo nuovo tipo di criminale, commette i suoi crimini in circostanze che quasi gli impediscono di accorgersi o di sentire che agisce male. Sebbene la malafede degli imputati fosse manifesta l’unica prova concreta del fatto che i nazisti non avessero la coscienza a posto era che negli ultimi mesi di guerra si erano dati da fare per distruggere ogni traccia dei crimini. Quando io parlo della banalità del male lo faccio su un piano quanto mai concreto, Eichmann non era uno Jago, né un Macbeth, e niente gli sarebbe stato più estraneo di arrivare a decidere, come Riccardo III, di diventare un malvagio: a parte lo zelo veramente fuori dal comune impiegato nel fare tutto quanto potesse essere utile alla sua carriera, egli era privo in generale di motivazioni; lo stesso zelo in sé non aveva nulla di criminale, non avrebbe certo mai ucciso il suo superiore per prendere il suo posto. Per restare nell’ambito del linguaggio quotidiano, egli non aveva semplicemente idea di ciò che stava facendo. Sembra invece che nelle figure che tu presenti ci sia proprio il contrario, ovvero ci sia un’immersione nella realtà, non c’è la volontà di essere altrove, ci sono delle idee e c’è la volontà di pensare agli altri fino al punto di sacrificare la propria vita. C’è un’idea del cristianesimo e del cattolicesimo ben precisa, ovvero di un cattolicesimo che diventa incarnato. Cosa accomuna queste dieci figure e come si fa a rimanere fedeli alla propria coscienza, quando il vantaggio sarebbe altro e quando la fine della guerra è vicina, forse è meglio una scrollata di spalle.

Francesco Comina: Mi sono chiesto spesso che cosa avrei fatto io in quella situazione. Molti amici di Josef Mayr-Nusser hanno tentato di convincerlo a ritrattare, ad avere pazienza fino alla fine della guerra, ma Mayr -Nusser disse qualcosa di straordinario: «Se nessuno avrà mai il coraggio di rifiutare questo sistema il nazionalsocialismo non finirà mai». Tutti rimasero zitti. Qui saltano fuori alcune questioni: tutta la teologia di Bonhoeffer, tutta la tematica di Dio, in quale Dio noi crediamo, in quello del sistema e dell’ordine, crediamo nel dio onnipotente o nel dio inerme, totalmente inerme, che si fa presenza d’amore nella vita distrutta, annichilita, di quelle povere persone. Dio è lì dove muoiono quelle persone, non sta tra i nazisti, quello è il dio tappabuchi, il dio buono per tutte le stagioni, che lo puoi mettere in qualsiasi circostanza, sta bene ovunque. C’è il dio dell’amore, inerme, impotente nella sua forza di onnipotenza. Poi abbiamo il tema della coscienza: queste persone non erano votate al martirio, non volevano morire, questi amavano la vita, erano giovani con i loro amori, con le loro vite, la loro vitalità. Giovani come tutti, molto umani. Giovani perdutamente innamorati. Erano votati alla vita, non al martirio, ma non potevano vivere solo per loro stessi, dovevano vivere anche per gli altri. Amavano il popolo tedesco e la loro azione è per la liberazione del popolo tedesco. Questi giovani che ho tentato di raccontare si ponevano tutti la stessa domanda: «Posso leggere le Beatitudini e poi non fare niente per fare in modo che questa pagina si traduca in realtà e verità?».

Franz Jagerstatter ad un certo punto deve decidere se essere cristiano o essere nazista e nel gennaio del 1938 fa un sogno. Nel suo incubo notturno vedeva arrivare un treno carico di gente, in movimento su un’infinita rotaia, che si dilungava lungo i campi attorno al paese. Tantissime persone venivano da ogni parte per salire sulle carrozze di quel lunghissimo serpentone fumante: bambini, giovani, intere famiglie, anziani. Tutti cercavano un appiglio per entrare e prendervi posto e sgomitavano per arrivare prima degli altri. Anche Franz correva per non rimanere da solo. Ma appena riuscì a metter piede sulla scaletta per salire sul treno, il braccio possente di un uomo lo afferrò da dietro e, con tutta la forza che aveva, gli urlò in mezzo a quel fracasso: «Franz, attento! Questo treno conduce all’inferno ma, se vieni con me, io ti porterò in purgatorio. Dai, lascia questo treno e vai contro corrente, scendi e seguimi». E lui fece come gli aveva detto il Signore. Scese dai gradini e lo seguì nel viaggio dantesco fra le anime del purgatorio. E vide scene di sofferenza e desolazione. Poi, improvvisamente, si svegliò di soprassalto, accese la lampada spaventato e raccontò tutto a Franziska che lo abbracciò e lo calmò.

Tre mesi dopo, nel marzo dello stesso anno c’è l’annessione della Germania all’Austria e il treno per l’inferno entra davvero in Austria e Franz qui capisce che Dio ha voluto parlargli, è stato un sogno premonitore. Io ne ho parlato con la filosofa Ágnes Heller con cui ho avuto la fortuna di condividere una lunga amicizia. La Heller stava scrivendo, proprio in quei mesi, un libro sui sogni. Il sogno notturno – mi diceva pensando a quel sogno di Franz – è il tipico sogno biblico, Dio sceglie una persona semplice, umile e gli dona la visione di un mondo futuro, una visione della storia. Quello di Franz è un tipico sogno biblico, Dio gli ha chiesto da che parte stava in quella storia. Ha preso questa strada nonostante avesse una moglie che amava e tre figlie molto piccole (dai due ai tre anni). Venne incarcerato nello stesso carcere dove era rinchiuso Bonhoeffer, il carcere di Tegel. C’è questo grande dilemma di coscienza che lo attraversa. Quando decide di rifiutare il giuramento entra in uno stato nevrotico, non capisce più nulla, non sa che cosa fare… Non riesce a prestare giuramento. Sono tutti contro di lui perché volevano salvarlo, la moglie invece lo accompagna nel silenzio. Il parroco in tutti i modi cerca di convincerlo a prestare giuramento e Franz gli scrive una lettera di rimprovero. Questo è il dilemma della coscienza, non erano contenti di andare a morire. Erano giovani che vivevano, amavano la vita in quanto libera e volevano che questa vita fosse per tutti. Hanno vissuto l’etica della bontà, tornando al pensiero di Ágnes Heller, la quale considerava il padre un uomo buono, attivo nell’aiutare gli ebrei in fuga, che venne scoperto e portato ad Auschwitz e ucciso in una camera a gas. Durante il viaggio in un carro bestiame riesce a buttare fuori dalle fessure della finestra del treno una lettera per la figlia Ágnes e in questa lettera dice: Cara Agi, cerca di fare del bene, perché ogni manifestazione del bene che noi facciamo è un granello che entra nella macchina terrificante del male e alla fine blocca il male. Agnes su questa storia ci ha costruito la sua etica della bontà, ognuno di noi conosce un uomo buono, quest’uomo che ha raccolto la lettera da terra e l’ha mandata è un uomo buono. Ognuno di noi conosce una persona buona. La bontà c’è e dovremmo fare un monumento al buono ignoto, che celebri gli atti di bontà gratuiti che non hanno mai avuto echi nei giornali e non si conoscono.

Marta Perrini: Dato che hai detto che sei stato nelle scuole, la mia domanda è sul valore di queste testimonianze oggi, perché dobbiamo tornare indietro di ottant’anni, cosa possono insegnare queste testimonianze ai giovani di oggi.

Francesco Comina: La memoria non è semplicemente la storia. Se la consideriamo come storia da studiare la vediamo lontana, invece bisogna iniziare a lavorare sulla memoria, quel processo vitale che ci portiamo dentro, lo incarniamo dentro di noi. La memoria è trasmissione. La memoria serve a dire mai più la guerra, mai più poteri oppressivi, mai più la negazione della povertà, mai più l’imbavagliamento della coscienza. Non possiamo più accettare queste cose. I giovani, ascoltando queste testimonianze autentiche escono da questa cappa virtuale, che loro stessi non sono contenti di vivere, sono parte di questa realtà, ma sentono che c’è qualcosa di finto, cercano qualcuno che risvegli l’umanità, cercano qualcosa di vero, di autentico. Questi ragazzi si sentono passivi, pensano di non poter incidere in nessuna maniera nella realtà, ma basta poco per farli sentire protagonisti della storia. In una classe di prima media abbiamo scritto un articolo con la tecnica della scrittura comunitaria in risposta ad una notizia riporata sul giornale i cui si diceva che in un asilo nido tedesco si voleva cambiare l’intitolazione storica in onore di Anna Frank. Abbiamo scritto un testo che è finito in prima pagina sul giornale. Questi ragazzi si sono sentiti protagonisti della storia, si sono sentiti forti, animati. Basterebbe poco per risvegliare un po’ di cuori assopiti di questa società, da questa cultura dei social media e di internet. Queste storie funzionano perché sono storie vere e loro le percepiscono e le sentono come storie vere. Si può fare un grande lavoro nelle scuole sulla memoria.

Vorrei dire qualche parola su un altro personaggio, un sacerdote con la chitarra in mano. Un giorno sono incappato in una chiesina romanica in un paese vicino a Merano, nell’uscire vedo una targa: per il nostro figlio della comunità Heinrich Dalla Rosa, nato nel 1909 e morto il 19 gennaio del 1945, giustiziato a Vienna. Chiedo ad alcuni esperti di questo personaggio, ma nessuno lo aveva mai sentito, ad un certo punto vengo messo in contatto con una ricercatrice di Lana, che mi dice di essere una lontana parente, si informa e mi manda un po’ di materiale dal quale esce una storia grandissima. Questo giovane, nato a Lana e cresciuto in Austria, diventa sacerdote e con l’annessione critica il regime. Entra in contrasto con un insegnante di musica, filonazista, che parlava malissimo della chiesa, dei preti, questo giovane sacerdote cerca questo insegnante e gli fa una rimostranza. Questo insegnante denuncia il sacerdote, il quale viene arrestato e condannato a morte. Scrive una lettera commovente ai genitori, dove accetta il suo destino. Questa è una storia davvero inedita. Alcune di queste storie sono davvero sconosciute.

Max Josef Metzger è un altro personaggio sconosciuto, è uno dei fondatori del movimento per la pace europeo, pioniere del pacifismo europeo, ma quasi del tutto sconosciuto. Un attivista pazzesco, un teologo raffinato, un padre del movimento per la pace europeo e dell’ecumenismo. Anche lui si scontrò con il regime nazista e venne ghigliottinato. Prima di salire sulla ghigliottina disse: “Sono e rimango un uomo libero mi si possa anche incatenare, la verità continua a sventolare ed io continuerò ad annunciarla coraggiosamente e se mi verrà tagliata la lingua allora io parlerò col mio silenzio.”

NOTA. Trascrizione, rivista dagli Autori, della conferenza tenuta a Brescia il 20.1.2024 su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.