Una fondamentale scommessa dei cattolici

La Voce del Popolo, 17 giugno 1983

La presenza cattolica nel dibattito culturale a Brescia si è andata caratterizzando sempre più come un coro a più voci, in cui la pluralità di idee e di iniziative è reale, feconda ed insieme non ignara di ciò che, dall’interno, tutti unisce nella comune battaglia. Non si possono elencare gli organismi cattolici promotori di cultura nella nostra città – dall’Università Cattolica alla Pace, dall’Università popolare “A. Lunardi” alla Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura, dalla Federazione Associazioni bresciane educative e ricreative (Faber) al Centro Universitario Teatrale, dal Cif al Gruppo per la promozione della donna, dall’Unione Cattolica artisti italiani (Ucai) alla Fuci, dal Meic al Movimento Popolare, dalle ACLI al centro internazionale di studi e documentazione “Istituto Paolo VI”, ad altri gruppi di più recente formazione come ad esempio “Il telaio” – senza incorrere in grosse e spiacevoli omissioni. Essi sono numerosi e ciascuno svolge una funzione non surrogabile, ha una sua specificità, offre un suo proprio servizio alla comunità. Non c’è, per fortuna, nella cultura cattolica a Brescia una uniformità obbligata: e forse questa è una delle ragioni per cui l’ispirazione cristiana circola più liberamente che altrove e ha saputo creare modalità differenziate in rapporto ai diversi bisogni del nostro tempo. La diversità degli ambiti in cui i cattolici articolano il loro impegno culturale non autorizza pretese monopolistiche o prevaricazioni e prepara, con i fatti, quella convergenza nell’ essenziale, che è l’unica da cercare in un campo per definizione aperto alla scelta, alla ricerca e al continuo confronto.
Costume di impegno
Estranea a ogni gioco e spartizione di potere, la cultura cattolica a Brescia non à mai stata asettica e pilatesca per quanto riguarda le scelte civili e politiche di fondo, quelle che più incidono nell’ethos di una comunità. In una linea di rigorosa continuità con l’insegnamento di Padre Bevilacqua, di Teresio Olivelli e di tanti altri “ribelli per amore”, è divenuto costume, atteggiamento pratico vissuto quella professione di fede civile che è la scelta democratica e la congiunta, fermissima esclusione di ogni utopia totalitaria. Ogni tempo ci viene incontro con le sue sfide: la cultura cattolica a Brescia, una città così duramente provata dal terrorismo, ha sempre lavorato a far capire ai giovani che si risponde positivamente alle terribili sfide del nostro tempo solo in termini di libertà e di reale, effettiva solidarietà con chi ha sete di giustizia. È per noi un postulato comune, assai ben fondato, che oggi la peggiore delle quarantadue o quarantatre democrazie in cui vi è sufficiente libertà per agire al fine di aver meno oppressione, meno disuguaglianza, meno conformismo è sempre preferibile alla migliore delle cento e più dittature in cui vive la maggior parte dell’umanità ed in cui, non essendovi libertà, non è possibile lottare né per l’uguaglianza né per la giustizia. Solo la piena, virile assunzione della libertà come metodo e come valore etico-politico ci autorizza a lottare per tutto ciò che concorre a “rendere più umana la vita umana”, senza nulla concedere alla menzogna e al privilegio, alle chiacchiere e ai tromboni di turno. Il cattolico, anche a Brescia, sa di non poter “rendere conto della speranza che è in lui” se non accettando, con lealtà appassionata, fino in fondo, il confronto con chi è fuori e talora, purtroppo, contro la prospettiva cristiana della vita. Bisogna continuare nel lavoro di ricognizione seria del pensiero degli avversari, senza interpretazioni riduttive, senza facili illusioni annessionistiche. Nessuno deve essere battezzato contro la esplicita intenzione del suo pensiero: è un atto di rispetto per l’interlocutore non credente registrare il rifiuto del Cristianesimo, là dove esso si manifesta. E, d’altra parte, abbiamo il diritto di ricordare che solo per un difetto di conoscenza storica, o per rozza deformazione polemica, è possibile scindere il Cristianesimo dalla cultura e, peggio, contrapporre aprioristicamente fede cristiana e ragione. Non si possono intendere non solo Agostino e Tommaso, ma un Vico, o un Bergson, e neppure un Feuerbach e un Nietzsche, senza fare i conti con Cristo. E come capire senza Cristo l’arte di Bach e di Bruckner, di Michelangelo e di Rouault, di Dante e di Dostoevskij. Anche per il non credente il Vangelo rappresenta un punto di riferimento, un appello, una perenne sfida. Il Vange1o è tale, diceva Harnack, che non può essere sostituito da nulla. E per chi accoglie la buona notizia del IV Vangelo, “il Logos è la luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo”, la fiducia nel leale incontro con i fratelli in ricerca è un obbligo, un atto di fiducia nel Logos.
Testimonianza sull’uomo
Un’ultima considerazione. La cultura è chiamata a testimoniare sull’uomo. In una situazione disorientante, logorata dal dubbio, priva di forti richiami ideali, gli uomini d’oggi han bisogno di riscoprire il gusto di farsi clienti della verità – e mai come in relazione alla verità, che libera, se cercata con tutta l’anima, “il rischio è bello e la speranza è grande”. Abbiamo tutti bisogno di tornare a metterci in questione, a interrogarci, a riscoprire di essere gli unici animali che hanno lo stupore di esistere. Far cultura è dunque per tutti, ed in primo luogo per i cattolici, indurre sé stessi ad abbandonare i sentieri levigati dei luoghi comuni, dire no a quell’anestesia dell’intelligenza e del cuore da cui l’Occidente rischia di non svegliarsi più. Tutti coloro che credono in una cultura non spuria – che non è consumismo, industria culturale, compromesso opportunistico, ma impegno di coscienza e lotta per il significato autentico da dare alla vita – non possono non fare proprie le grandi, ammonitrici parole di Husserl: “Il più grave pericolo che minaccia l’Europa è la stanchezza. Se ci abbandonassimo ad essa, non potremmo opporci alla fiamma distruggitrice dell’incredulità”. Il coraggio è il primo dei nostri obblighi.