Charta ’77: il coraggio della verità

Praga, 21 agosto 1968, carri armati in piazza Venceslao. La “primavera di Praga” volge al tramonto e la nebbia più fitta scende sulla società cecoslovacca. Le poche libertà per breve tempo assaporate scompaiono: i novatori sono additati al disprezzo, incarcerati, eliminati, esiliati. Comincia allora una sorta di “ibernazione spirituale” per il popolo di Masarik e di Benes. Ma nove anni dopo, nel gennaio del 1977, ben 248 persone osano firmare un documento, “Charta ‘77”, in cui alta si leva la protesta della coscienza morale e politica contro l’oppressione dei diritti dell’uomo. Il 6 gennaio 1977 agenti della polizia politica traggono in arresto gli scrittori Vaclav Havel e Ludvik Vaculèk e l’attore Pavel Laudovsky mentre si recavano a consegnare alle massime autorità dello Stato il primo documento “Charta ‘77”. Il testo viene allora fatto pervenire in Occidente, dove la sua pubblicazione suscita vaste reazioni nell’opinione pubblica e negli ambienti politici e culturali.
Le rappresaglie della polizia non impediscono al movimento “Charta 77” di pubblicare i nomi dei nuovi aderenti di più alto prestigio e di ben altri undici documenti nel corso del 1977. I documenti di “Charta ‘77” raccontano fatti, descrivono situazioni concrete, non offrono le solite interpretazioni schematizzanti all’interno di un quadro ideologico precostituito, né si rifugiano nei cieli dell’utopia.
“Charta ‘77” si richiama ai patti internazionali sui diritti civili e politici e sui diritti economico-sociali e culturali, entrati a far parte della Repubblica Cecoslovacca nel marzo 1976. Il movimento è dunque legalista. Vuole un mutamento in senso democratico del socialismo, ma non nutre alcuna velleità conservatrice. E, d’altra parte, in un regime dittatoriale la strategia legalista, che ha precedenti significativi in Unione Sovietica, si è rivelata la più efficace, quella che meglio smaschera l’ipocrisia del sistema. Infine, e non è cosa di poco conto, la scelta legalista è la sola nella situazione presente a unire uomini di diversa estrazione politica e ideologica accomunati dalla fede nel valore universale dei diritti dell’uomo.
Di fronte alle richieste di “Charta ‘77” il governo cecoslovacco ha risposto facendo ricorso alla trita fraseologia marxista-leninista. Sei giorni dopo l’arresto degli esponenti di “Charta ‘77” che stavano recandosi a consegnare il primo documento alle autorità di governo, il 12 gennaio 1977, il quotidiano del Comitato Centrale del Partito comunista cecoslovacco “Rudè Pravo” pubblica un lungo articolo dal titolo “Falliti e intrusi”, in cui si accusa il movimento di “Charta ‘77” di essere una creatura manovrata e finanziata da forze reazionarie che agiscono a livello internazionale per distruggere le conquiste del socialismo. Nel far ciò, sostiene il “Rudè Pravo”, tali forze si servono di personaggi politicamente screditati, nemici del popolo e individui asociali.
Poiché non pochi aderenti a “Charta ‘77” appartenevano al clero, o erano impegnati sul piano religioso, le chiese ufficiali, completamente schiacciate dal regime con i metodi più brutali della persecuzione antireligiosa, sono state obbligate a dissociarsi dal movimento di “Charta ‘77” e persino a condannarlo. In realtà il regime comunista cecoslovacco può contare solo su una minima parte del clero, quello collaborazionista dell’organizzazione “Pacem in terris”. Le presunte dichiarazioni delle chiese sono state redatte dal Segretariato per gli affari ecclesiastici presso il ministero della Cultura e talora nemmeno sottoposte alla firma, peraltro coatta, di coloro che formalmente ne erano gli estensori. A ciò non è estraneo il tentativo di allontanare le autorità religiose dal popolo.
Tra le persone che più hanno sfidato il potere merita una particolare citazione il teologo cattolico Josef Sverina, le cui lettere aperte al “Rudè Pravo”, al “Katolickè Noviny” e al “Lidova demokracie”documentano non solo il coraggio ma anche lo spessore culturale della presenza dei credenti all’interno del movimento di “Charta ‘77” e il loro contributo al riconoscimento comune dei valori che fondano la difesa dei diritti umani. “State costruendo due barricate – ammonisce Josef Sverina: sulla prima si trovano gli oppressori attuali, mentre sull’altra barricata stanno muti migliaia di intimiditi, umiliati, discriminati ed inermi. Appena si fa sentire una voce che richiama alla responsabilità e che si appella al diritto, voi cercate subito di sopprimere la sua dignità e il suo onore, fate minacce e mettete in pericolo la vita di queste persone” (lettera del 25 febbraio 1977).
Gli italiani possono ora finalmente leggere nel volume Charta ’77, edito dal Centro Studi Europa Orientale (CSEO), i testi integrali dei quindici documenti del movimento cecoslovacco per i diritti dell’uomo, l’articolo “Falliti e intrusi” del PCC, le dichiarazioni dell’apparato ecclesiastico, le prese di posizioni, le prese di posizione dei cristiani testimoni di libertà, i due patti internazionali – quello sui diritti civili e politici, e quello sui diritti economici, sociali e culturali sottoscritti a New York il 7 ottobre 1968 – entrati in vigore nella Repubblica socialista cecoslovacca il 23 marzo 1976 (sono quei patti che hanno offerto al movimento del dissenso cecoslovacco le armi per la propria lotta).
Con “Charta ‘77” nasce forse un nuovo umanesimo? È la nostra speranza, anche se forse una risposta affermativa in tal senso può sembrare prematura. “Charta ‘77” è in ogni caso un fatto di unità tra cristiani e non cristiani che si ritrovano in uno stesso impegno nella scoperta del valore insostituibile della umana dignità.
L’anelito di libertà di un popolo civile come quello cecoslovacco non può lasciarci pilatescamente indifferenti. È anche per noi un caso di coscienza.
 

Giornale di Brescia, 27.10.1978. Articolo scritto in occasione dell’ incontro promosso dalla Ccdc con Vaclav Belohradsky su Charta ’77.