Cosmologia moderna e domanda religiosa

Introduzione

Nei libri di divulgazione di astronomia si riproduce con frequenza un disegno che esprime molto bene l’eterna curiosità dell’uomo di tutti i tempi. In questo disegno si vede la terra piatta, la volta stellata del firmamento ed un uomo di dimensioni sproporzionate che rompe questa volta stellata del Firmamento e mette la testa attraverso la volta per capire cosa c’è al di là. Ed è così che gli uomini, da sempre legati alla superficie della terra come ingabbiati ed intrappolati vorrebbero uscire, volare. Oggi l’uomo ha potuto vincere questa costrizione alla superficie della terra avendo imparato a volare e anche con i satelliti si é portato fuori dell’atmosfera, e ha messo piede sulla luna. Ma considerando l’immensità dello spazio siamo ancora come prima legati e ristretti al sistema solare e solo con i telescopi possiamo vedere e indovinare un può cosa c’è fuori.

L’uomo al nascere si risveglia in questo mondo e arriva un giorno nel quale si domanda due cose fondamentali: primo cosa sia la vita e la morte, la sua origine; e secondo, dove si trova, cioè il suo posto nel mondo universo, da dove viene e cosa capiterà a questo mondo. Tutte le religioni debbono dare una risposta a queste due domande. Da questa curiosità prende origine la scienza.

In primo luogo, l’uomo è intelligente e può guardarsi intorno e riflettere. Con nuove tecnologie, può guardare nell’interno delle cellule vive, e con telescopi esplorare la profondità dello spazio. Questo si chiama leggere il libro della natura, frase felice derivata dai santi padri, commentata nel medioevo e resa famosa da Galileo nel suo Saggiatore. Con l’uso della matematica l’uomo è riuscito a leggere molte cose in questo libro della natura. Ma le due domande fondamentali cosa sia la vita e quale sia l’origine dell’universo restano ancora senza risposta.

Per altra parte, l’uomo filosofo, con l’uso delle sue facoltà intellettive può arrivare ad una nozione di Dio, e farsi una religione naturale, più o meno perfetta. Ma in un momento della storia, c’è stata la rivelazione della Parola di Dio, che ha insegnato all’uomo molte verità necessarie per la sua salvezza. Questa rivelazione ci é rimasta in parte scritta nella Bibbia.

Dunque il cristiano, dai primi secoli ad oggi, ha cercato di trovare la risposta alle domande fondamentali sulla vita ed il mondo, nella Bibbia e anche nel libro della Natura. Per il filosofo cristiano é un assioma fondamentale il ritenere che la verità, cioè la realtà è una sola. E quindi, leggendo la Sacra Scrittura o leggendo il libro della Natura si dovrà arrivare alla fine alla conoscenza della stessa verità.

Abbiamo dunque noi cristiani due sorgenti di conoscenza: quella che proviene dallo sforzo della ragione umana, come testimoniano e tanti scienziati che oggi fanno ricerca nei laboratori di tutto il mondo. Purtroppo, lungo la storia, a volte alcuni cristiani hanno considerato la Bibbia come una enciclopedia, dove cercare informazione di tutto, oltre quello che voleva comunicare lo scrittore sacro. Anche lo scienziato frequentemente oltrepassando i limiti di validità del metodo fisico-matematico, abusa del suo prestigio per entrare nel campo dei problemi religiosi con risultati molto scarsi quando non negativi. E’ necessario sempre fare vera e autentica scienza e allo stesso tempo approfondire gli studi biblici. La verità emergerà alla fine. Possono darsi divergenze, ma esse sono sempre dovute ai risultati provvisori e non definitivi.

  1. Cosmologia biblica

Prima di entrare nel merito del confronto tra la cosmologia greca e quella moderna, vorrei dire qualche cosa sulla cosmologia che troviamo nel primo capitolo del Genesi.

“Nel principio, Dio creò il cielo e la terra. Ma la terra era deserta e disadorna e v’era tenebra sulla superficie dell’oceano e lo spirito di Dio era sulla superficie delle acque. Dio allora ordinò: “Vi sia luce”. E vi fu luce. Quindi Dio vide che era buona quella luce. Perciò Dio separò la luce dalla tenebra. Ed Dio diede nome alla luce: “giorno” ed alla tenebra diede nome “notte”. Poi venne sera, poi venne mattina: un giorno. Dio disse ancora: “Vi sia un firmamento in mezzo alle acque che tenga separate le acque dalle acque. E avvenne così. Dio fece il firmamento e separò le acque che sono sotto il firmamento dalle acque che sono sopra il firmamento. E Dio diede nome al firmamento “cielo”. Di nuovo venne sera, poi venne mattina: un secondo giorno.”

Quanti tentativi inutili di volere armonizzare la scienza con questi versetti del Genesi. Dico inutili, perché molti dopo aver creduto di esserci riusciti, è stata la scienza che ha cambiato. Comunque riflettiamo su questi versetti. Nel principio Dio creò il cielo e la terra: la parola creò, non va intesa certamente nel senso più filosofico ed evoluto che Dio fece il mondo dal nulla; neanche in principio vuol dire creazione in tempore. L’idea del nulla, del vuoto (come anche vg. del numero zero) non esisteva. Ciò che si contrapponeva alle cose reali, era il caos. Quindi la parola creare non è così precisa. Creare è la traduzione dall’ebraico bara, parola usata solo in riferimento a Dio come soggetto, e vuol dire fare e a volte plasmare1. Nella Bibbia, questa parola non si riferisce mai ad un’azione umana, ma sempre ad un’azione di Dio, indicando la facilità di azione divina con la sola parola, la sua novità e straordinarietà.

Ma in tutta questa narrazione della Genesi, appare evidente l’intervento di Dio, e quello che è importantissimo e chiaro è che Dio si presenta come unico, trascendente e anteriore al mondo, cioé come creatore. E questo messaggio è perfettamente trasmesso in questi pochi versetti.

Ci troviamo in più una cosmologia, primitiva, che rispecchia fino ad un certo punto la visione dell’universo come era diffusa nella Mesopotamia. Cioè una terra piatta, sotto la quale era collocato il mondo dei morti e sopra una volta con le stelle che separa le acque di sotto dalle acque di sopra. Abbiamo letto anche che Dio fece il firmamento. Questa parola latina fu scelta da S. Girolamo per esprimere quella ebraica originale, che vuol dire: una lamina, come una lamina metallica battuta, in forma di volta, concava, che serve per separare le acque. Dunque indica una cosa solida, ferma, che regge e separa le acque superiori.

Continuiamo la lettura del Genesi. Dopo avere formato i mari e fatto verdeggiare la terra nel terzo giorno, Dio nel quarto:

“di nuovo ordinò: vi siano delle lampade nel firmamento del cielo, per separare il giorno dalla notte; e siano segni per feste, per giorni e per anni; inoltre facciano da lampade nel firmamento del cielo, per fare luce sulla terra. E avvenne così. E Dio fece le due lampade maggiori, la lampada grande, per il governo del giorno, e la lampada piccola per il governo della notte, e le stelle. Poi Dio le pose nel firmamento del cielo per fare luce sulla terra, e per governare il giorno e la notte e per la separazione tra la luce e tra la tenebra. E Dio vide che era cosa buona.”

L’universo considerato non va oltre la terra, l’atmosfera e le lampade che la illuminano. Non si tratta ancora neanche di un sistema geocentrico, ma di un sistema nel quale si considera solo la terra e quello che si vede.

Riepilogando vediamo che nel primo giorno Dio creò: il cielo, la terra e la luce nel secondo giorno: la volta del cielo, cioè il firmamento nel terzo giorno: il mare e le piante e nel quarto giorno: le lampade del cielo: il sole, la luna e le stelle.

Dunque l’ordine comincia in primo luogo con la formazione della terra, poi del firmamento, delle piante e più tardi del sole e della luna. Notiamo che l’ordine si accorda male con quello che uno si aspetterebbe dalle scienze naturali. La luce viene fatta prima del sole e della luna. Così non sembra possibile fare verdeggiare la terra prima della creazione del sole, che non soltanto da la luce, ma anche l’energia per fare crescere le piante. Ma qui nel quarto giorno c ‘è un messaggio molto importante. Gli ebrei vivevano in un ambiente imbevuto dalle idee cosmologiche babilonesi (ricordiamo che Abramo proveniva da quella regione, dalla città Ur, quando per ordine di Dio emigrò in Palestina). In effetti, per i babilonesi, i principali dei del loro panteon erano identificati con i pianeti osservati nel cielo. C’erano centinaia di astronomi-sacerdoti, il loro compito era di osservare assiduamente il cielo per avvertire il Re della congiunzione dei pianeti e di tutti gli aspetti aventi significato utile per le predizioni.2

Di fronte alla convinzione generale dei popoli confinanti con Israele che gli astri mobili, cioè i pianeti, erano identificati con gli dei, troviamo un’affermazione chiara ed apodittica che il sole, la luna e le stelle sono fatti da Dio e collocati nel firmamento. Un’altra affermazione della unicità, trascendenza di superiorità agli astri del cielo. In più dice il Genesi che furono creati allo scopo di fare luce sulla terra e per governare il giorno e la notte e siano segni delle feste. Vediamo qui, uno degli più importanti usi di sempre degli astri per il calendario e la regolamentazione del calendario liturgico, agricolo e civile.

In breve, il messaggio della dipendenza del mondo dal Dio creatore è chiaro, e anche in un mondo idolatra e “astrologico”, è chiara la trascendenza di Dio, cioè la sua non identificazione con il mondo. Ma il resto del messaggio è povero di informazione scientifica, di come cioè Dio ha fatto l’universo. Infatti non ci si trova niente riguardo alle questioni: se la terra è sferica o no, se gli astri, si muovono come mai il sole tramonta ad ovest e sorge in oriente …

Ma forse più fondamentali sono due testi. Il primo di S. Girolamo (il traduttore della Volgata direttamente dall’ebraico) “molte cose nella Sacra Scrittura si dicono d’accordo con l’opinione di quel tempo, e non d’accordo con quello che esigeva la realtà”3. L’altro testo è di Santo Tommaso d’Aquino: “è usanza delle S. Scritture, che lo Storico dia la opinione di molte cose, nel modo come si riteneva da tutti in quel temmpo”4.

Cosmologia greca.

Quando parlo di cosmologia antica penso alla cosmologia greca così come é giunta a noi fino ad oggi, almeno nella letteratura non specialistica. Tra tutti i modelli dei vari filosofi greci che hanno parlato del sistema del mondo, i più riusciti furono quelli di Ipparco e soprattutto quello di Claudio Tolomeo (20 sec. d.C.) che sviluppò un sistema geometrico completo di tutta l’astronomia conosciuta all’epoca. Il suo libro dall’ALMAGESTO doveva rimanere il testo di riferimento principe fino al XVI secolo, quando fu completamente messo in discussione dalle idee di Copernico e Keplero che portarono alla meccanica di Newton. Ma ancor oggi il nostro vocabolario contiene molte espressioni che si rifanno al punto di vista degli antichi.

Nessuna parte dell’astronomia dipende tanto strettamente dalla fisica come la cosmologia; e questo vale tanto oggi quanto valeva nell’antichità. Tolomeo aveva adottato la fisica che andava per la maggiore tra i dotti del suo tempo, cioè quella di Aristotele. Quest’ultimo aveva osservato che c’erano dei corpi chiamati “leggeri”, come il fuoco e l’aria, che avevano la tendenze ad elevarsi, e altri corpi chiamati “pesanti”, come le pietre, che mostravano invece la tendenza a cadere. Questa osservazione era giusta. L’errore della fisica di Aristotele fu di attribuire a questi corpi “leggeri” e “pesanti” delle tendenza intrinseche ad occupare il loro posto naturale in alto o in basso. Esso consisteva nel che supporre una interazione tra i corpi e lo spazio, non si sapeva che la gravitazione è un’interazione della materia. Ma la conseguenza più grave fu il dedurre da questi dati di osservazione delle proprietà dei corpi. Ora, questi corpi che naturalmente si muovono per andare ad occupare il loro posto, si muovevano con un movimento rettilineo, e questo per Aristotele era imperfetto perché è un movimento che ammette il contrario. L’imperfezione del movimento comportava anche l’imperfezione del corpo. Tutti questi corpi imperfetti occupano lo spazio fra il centro della terra e lo spazio sublunare. Qui si verificano i cambiamenti, le perturbazioni e le mutazioni. A questo proposito sarebbe bene osservare che la coincidenza del centro della terra con il centro del mondo avviene, come dice Aristotele, per accidens:

“perché il movimento naturale della terra – quello delle parti e quello dell’insieme – tende verso il centro dell’universo: da qui l’attuale posizione centrale della terra. I due centri si confondono. Raggiungono il centro perché è il centro dell’universo o perché è il centro della terra? Essi vanno necessariamente verso il centro dell’universo”.

Ma in alto, nel cielo, si osserva che gli astri si muovono in cerchi, cioè che hanno un movimento più perfetto perché quello circolare è un movimento che non ha né inizio né fine – e questo è un attributo della divinità. Questo movimento dovrebbe appartenere a corpi intrinsecamente più perfetti dei corpi di quaggiù.

Ne risulta dunque che esiste una sostanza corporea diversa dalle formazioni di quaggiù, che tutte le supera in divinità e in eccellenza. Questo elemento semplice si chiama etere, e ha per natura la proprietà di muoversi in cerchi. Non è né pesante né leggero. Inoltre non è mai stato generato, è indistruttibile, non cresce ed é inalterabile. Per Aristotele il cielo ha dunque degli attributi divini, nel senso ovviamente in cui i greci intendevano il divino.

“Come avviene nei lavori di volgarizzazione filosofica dedicati agli esseri divini, viene spesso avanzata l’ipotesi, nei ragionamenti, che l’essere divino debba essere interamente immutabile, lui che è l’essere primo e l’essere supremo. Noi constatiamo che è proprio così, e il ragionamento ne viene confermato”.

Questo è ciò che dice Aristotele. Di conseguenza i cieli che formano l’universo non possono essere generati, e sono per lui incorruttibili. Non c’è quindi nessun universo periodicamente generato e distrutto ma un universo eterno. Questa idea di universo eterno ritorna oggi nella mente di molti cosmologi. Più tardi questa sarà una grande difficoltà all’accettazione del sistema filosofico aristotelico da parte dei filosofi cristiani. Perciò S. Tommaso d’Aquino propone che l’idea di creazione non vuol dire necessariamente creazione in tempore, ma che potrebbe concepirsi una creazione ab eterno. Sarà opportuno sottolineare qui la totale assenza dell’idea di creazione concepita come un atto della divinità trascendente, che cioè non si identifica con il mondo.

A questo proposito bisogna notare che da queste idee si deduce che il fatto di porre la terra al centro dell’universo non dipendeva dal desiderio di considerare l’uomo come il centro della creazione. Per gli antichi esso era posto nella parte inferiore e più imperfetta. Questa concezione fu assunta dai cristiani, perché facilmente accordabile con la Bibbia. Era invece indiscutibile per i cristiani che il cielo fosse in alto, dove tutto era perfetto e bello, e l’inferno in basso, all’interno della terra, ribollente di fuoco come provavano i fenomeni vulcanici. Vediamo qui un’altra concezione e un altro modo di parlare che abbiamo ereditato dagli antichi.

Fino ad ora abbiamo preso in considerazione Aristotele come filosofo. Ma l’osservazione astronomica confermava il suo punto di vista. Egli afferma infatti che

in tutte le epoche del passato, se si fa fede ai ricordi che gli uomini si sono trasmessi di generazione in generazione, non è stato osservato nessun cambiamento.

Questa osservazione è vera. E’ necessario un intervallo di tempo abbastanza lungo per avere una probabilità di vedere una stella Nova. Per questo non c’è d’aspettarsi di osservare dei cambiamenti nel cielo (eccettuati, naturalmente, i movimenti circolari e regolari caratteristici dei pianeti). Questo argomento ha maggior valore per le epoche in cui i mezzi di osservazione erano inadeguati e permettevano soltanto una osservazione ad occhio nudo.

Il sistema solare come un macchina di orologeria

Accanto ai filosofi e ai fisici c’erano gli astronomi. A costoro si chiedeva di spiegare i movimenti dei pianeti, apparentemente irregolari, ricorrendo alla composizione di diversi movimenti circolari e uniformi. Prima di Aristotele già l’astronomo Eudoxos aveva avanzato l’ipotesi di sfere omocentriche, che soddisfacevano al principio che ogni movimento dei corpi celesti, o una composizione di tali movimenti, deve essere circolare e uniforme.

Più tardi, nel secondo secolo avanti Cristo, l’astronomo Ipparco introduceva altre ipotesi, come quella dell’eccentricità e degli epicicli, che gli permettevano una migliore precisione nel calcolo delle effemeridi. Queste idee furono riprese e perfezionate da Claudio Tolomeo nel secondo secolo d.C. nel suo libro Almagesto, già menzionato.

Abbiamo dunque un sistema del mondo, con la terra al centro, intorno alla quale i pianeti (il sole veniva considerato un pianeta) ruotano con diverse combinazioni di movimenti circolari uniformi. Per ogni pianeta ci sarà un movimento attorno a un punto (centro dell’epiciclo) che, a sua volta, avrà un movimento circolare uniforme intorno alla terra5; in generale, però, il centro di questo grande cerchio non coinciderà con il centro della terra. Ne risulta uno schema abbastanza complicato che permetteva però l’applicazione della matematica e consentiva di ottenere un ottimo calcolo della posizione degli astri – ovviamente nei limiti di precisione consentiti dalle osservazioni del tempo.

Per spiegare il movimento circolare si immaginavano gli astri trasportati da sfere cristalline che giravano incessantemente, eternamente. Tutto l’insieme, l’universo intero, era come un grande orologio, perfetto, armonioso: un grande oggetto di meraviglia.

Come un perpetuum mobile, sempre in movimento.

I cristiani dovevano adottare il sistema tolemaico perché era l’unico sistema scientifico esistente all’epoca. Questa bellezza dell’universo coincideva abbastanza bene con ciò che l’anima cristiana poteva provare leggendo i salmi, ma con l’aggiunta della convinzione che l’universo era opera di Dio, fatto bene e solido. L’universo sarà dunque chiamato firmamentum, senso latino. E attraverso la contemplazione del firmamento, il cristiano arriverà alla contemplazione della gloria di Dio: coeli enarrant gloriam Dei.

Leggendo il libro della Natura, si può ammirare la creazione e lodare il creatore. Evidentemente una simile macchina era immaginata come quella dei grandi e meravigliosi ingranaggi che si potevano ammirare nei grandi orologi delle cattedrali della fine del Medio Evo: ciò che è contingente deve essere stato creato da Dio: da qui l’espressione non c’è orologio senza orologiaio per postulare l’esistenza di Dio. D’altra parte, questa macchina del mondo non può, in forza di sé stessa, cambiare o subire una trasformazione, cioè evolversi. Sfortunatamente molte di queste concezioni antiche sull’universo sono rimaste nella letteratura cristiana fino ai giorni nostri.

Tutti questi concetti, che furono in una data epoca i dati della scienza, e della scienza matematica, rimasero incontestati ben al di là dell’epoca copernicana. Sembra infatti che l’intenzione di Copernico fosse quella di purificare l’astronomia di Tolomeo perché quest’ultimo, con il meccanismo dell’estante, non salvaguardava affatto il grande principio già menzionato, cioè che i movimenti circolari e uniformi. Galileo, fino ai suoi ultimi giorni, continuò a tener saldo questo principio; questo potrebbe spiegare la sua opposizione e disapprovazione nei confronti delle teorie di Keplero. Fu questo astronomo tedesco a introdurre le orbite ellittiche dei pianeti respingendo per sempre i movimenti circolari e uniformi, con epicicli, estanti, eccentrici, ecc.

Primi indizi di cambiamento nel cielo

La cosmologia moderna inizia evidentemente con Copernico. Per cercare di spiegare come mai non si potesse osservare la parallasse annuale, egli dovette presupporre una distanza dalla terra alle stelle talmente enorme che i grandi astronomi si rifiutarono di crederci. Ma l’astronomo danese Tycho Brahe, alla fine del XVI secolo, riuscì a misurare la distanza delle comete dalla terra. Ne trasse la conclusione che le comete dovevano attraversare le sfere cristalline (ritenute da Copernico ancora necessarie). Queste dunque non esistono.

Inoltre si verificò allora un evento molto raro, ma che si manifestò in un momento particolarmente opportuno: l’apparizione di una stella nuova (oggi sappiamo che si trattava di un stella supernova) . Tutto questo era in flagrante contraddizione con le idee di Aristotele. Le comete passeggiavano per il cielo, e nascevano nuove stelle!

Un po’ più tardi Keplero ci dà le leggi delle orbite dei pianeti, e Galileo si impegna in una campagna di promozione del nuovo sistema del mondo. Siamo già nel XVII secolo e, se escludiamo il fatto che il sole era stato messo al centro dell’universo e l’eliminazione del meccanismo delle orbite planetarie, non era poi cambiato molto, per quello che ci riguarda, dell’antico modo di pensare. L’universo sì è già immensamente ampliato, ed è diventato più misterioso e complesso, ma non ancora evolutivo.

Fu facile distruggere tutti i meccanismi dell’astronomia antica, che rendevano comprensibili i movimenti dei corpi celesti, ma gli astronomi si trovarono in grande difficoltà ad accettare, così come stava, il sistema copernicano. Fu necessario aspettare Newton perché si verificasse la grande ripresa dell’astronomia. Con la gravitazione universale abbiamo per la prima volta una spiegazione quantitativa del sistema copernicano. Ma allo stesso tempo era entrata nella astronomia l’idea che le orbite cambiano continuamente a causa della perturbazione reciproca tra i pianeti., e addirittura un sole che non occupa più il centro del sistema solare. Senza accorgersene, si introduceva in astronomia la possibilità di cambiamenti continui nel sistema del mondo.

In seguito, Laplace osa già proporre un’origine dei pianeti a partire dal sole. Un sistema planetario che evolve sembrerà normale agli astronomi. La cosmologia moderna nascerà con il progresso della fisica. Con l’applicazione, alla metà del secolo scorso, della spettroscopia allo studio delle stelle i progressi saranno molto rapidi. La spettroscopia dirà qual è la temperatura degli astri, la pressione e composizione delle loro atmosfere. Le leggi della radiazione ci diranno che gli astri hanno una perdita di energia enorme e che si spengono progressivamente. Ma quale era la fonte di tanta energia apparentemente inesauribile? Fu un mistero che verrà chiarito con la scoperta dell’energia nucleare.

A mano a mano che la nostra conoscenza dell’universo si fa più complessa e approfondita, ne ricaviamo la rappresentazione di una realtà immensa, inaudita, che ci colma di un sentimento di inquietudine e di paura. Tutti gli oggetti celesti subiscono delle trasformazioni: sia le stelle, sia i grandi ammassi stellari che si chiamano galassie. Possiamo conoscere abbastanza bene tutto il processo evolutivo di una stella: prima di tutto la sua formazione, per concentrazione della polvere cosmica. All’inizio, la sua energia viene dalla contrazione gravitazionale e dopo, quando la temperatura del nucleo centrale raggiunge un valore di qualche decina di milioni di gradi, essa è generata dalla fusione nucleare dell’idrogeno. Questo processo dura per un periodo lunghissimo, durante il quale la stella sembra quasi stabile, il che ci dà la sensazione di stabilità del sole e delle stelle. Ma questa sensazione deriva dalla brevità della nostra vita e dalla grandissima durata di questa fase di combustione dell’idrogeno. Quando l’idrogeno si è finalmente esaurito, la stella inizia un’evoluzione relativamente rapida, fino alla sua morte. Questa può avvenire o con una esplosione gigantesca (supernova) oppure per contrazione continua, fino a diventare una stella a neutroni, nel caso che la sua massa sia inferiore a un valore critico. La grande quantità d’energia contenuta nell’idrogeno e diffusa nello spazio lungo quasi tutta la sua lunga vita è irreversibilmente perduta per la stella. L’astrofisica moderna ha scoperto il segreto della lunga durata delle stelle, ma al tempo stesso ha anche scoperto che non sono eterne. Bruciano, e questo fenomeno non può durare per sempre.

Le galassie sono ammassi, come la nostra galassia o Via Lattea, composte da centinaia di miliardi di stelle. Le galassie a sua volta si contano anche a miliardi. L’universo che l’uomo d’oggi contempla non è più ridotto al sistema solare. Ultimamente si sono osservate galassie, la cui distanza è stata calcolata essere di quattordici miliardi di anni luce. Questo vuol dire non soltanto la dimensione spaziale si è allargata, ma anche che si è allungato l’intervallo di tempo oggetti della nostra analisi. Osservare una galassia distante, per esempio, un milione di anni luce, non vuol dire soltanto che la sua distanza è quella che percorre la luce in un milioni di anni, ma che noi osserviamo quella galassia come era un milioni di anni fa. Così studiamo galassie distante un milione di anni luce, due, tre, cento, mille, miliardi di, anni luce in diverse fasi della loro evoluzione. L’aspirazione degli astronomi è di spingere l’osservazione fino ad oggetti che risalgono a subito dopo l’inizio del nostro universo.

Moderna cosmologia evolutiva

Le galassie, composte da miliardi di stelle, devono subire evidentemente la sorte dei loro componenti. Ma non è tutto. Si osserva anche che le galassie hanno un movimento di espansione che le allontana le une dalle altre. Ciò è legato al fatto che l’universo, come si può dedurre dalle equazioni della fisica, è instabile. O si verifica una contrazione dovuta alla gravitazione, oppure le galassie hanno ricevuto un impulso iniziale così potente che, nonostante il fatto che esse siano costantemente rallentate dalla gravitazione, l’universo continua la sua espansione. Quale delle due ipotesi è vera? Il risultato finale è diverso ma per ambedue i casi c’è la fine di questo universo. E’ facile calcolare l’età dell’universo, cioè il numero dì anni passati dal momento in cui tutta la materia era concentrata in tino spazio piccolissimo. Quindici o venti miliardi di anni.

Per l’istante zero (inizio) quando tutta l’energia era concentrata in un piccolo volume, la densità, temperatura, curvatura dello spazio, ecc. avevano valori infiniti, almeno con estrapolazione, e all’improvviso cominciò a espandersi come in seguito a una grande esplosione. Questo evento viene designato dalle parole inglesi BIG BANG. Un grane botto. Cos’era successo prima? Troppi misteri persistono ancora per poter dare una risposta soddisfacente. Vorrei soltanto fare alcune riflessioni.

In astronomia si è passati a poco a poco da un sistema statico, immutabile e senza evoluzione, ad un altro fortemente evolutivo, nel quale non solo gli astri ma lo stesso universo subisce un’evoluzione che lo porta fino alla sua totale distruzione. Se facciamo il confronto con l’impatto che ebbero le idee di Copernico, vediamo che, questa volta, l’accettazione delle nuove idee è avvenuta senza traumi. Il motivo, probabilmente è che la vera astronomia moderna, felice combinazione di teoria e di osservazione minuziosa, ha una incontestabile autorità. Al tempo di Galileo, invece, l’astronomia, rispetto alla filosofia e alla teologia, non aveva nessun prestigio e facilmente veniva disprezzata. Inoltre, non poteva ancora offrire prove convincenti. Oggi assistiamo al fenomeno contrario: i successi della scienza moderna possono far dimenticare agli scienziati le limitazioni proprie al metodo fisico-matematico e indurli ad entrare senza preparazione nei campi della filosofia e della teologia.

Abbiamo detto, che dal movimento di espansione delle galassie, possiamo calcolare quando questo è cominciato. Altre considerazioni fisiche indicano condizioni iniziali di densità, temperatura ecc. infinite. Le leggi della fisica non sono estrapolabili a queste condizioni. Quali erano in realtà le condizioni iniziali? Molti prematuramente hanno voluto vedere lì il momento della creazione in tempore. Ci sono tentativi da parte di eminenti scienziati di evitare queste condizioni con valori infiniti, e di immaginare un universo chiuso, autonomo ed eterno. C’è e si sarà sempre uno sforzo di tornare alle idee del universo aristotelico cioè dell’universo eterno che non ha bisogno di interventi di un Dio per la sua esistenza.

Questi tentativi, fatti con tutta serietà servono per capire meglio le leggi che reggono il mondo. Ma dobbiamo evitare un concetto che si è diffuso in pratica negli ambienti scientifici: si invoca Dio come espediente per risolvere questi casi di singolarità al momento iniziale dell’universo, quando il modello fisico-matematico fallisce. Se dopo, con una teoria più raffinata si trova il modo di superare queste singolarità iniziali , allora si dice che non c’è bisogno di Dio. Na questa è una nozione molto povera di Dio.

L’uomo moderno forse non s’impressiona troppo quando viene a sapere che la terra, dopo alcuni miliardi di anni, diventerà così calda che ogni forma di struttura organica sarà impossibile, e che dopo dovrà subire la sorte del sole, una volta che questo avrà esaurito l’idrogeno che contiene. E’ ovvio che quando un’atmosfera planetaria offre condizioni favorevoli, possiamo trovarvi la vita organica: in un primo tempo in forma primitiva, e poi in forme più complesse. Ma, analogamente, quando le condizioni diventano sfavorevoli, a poco a poco la vita scompare. C’è una legge di evoluzione per l’universo: nascita, crescita, sviluppo e morte. Lo stesso vale per le stelle, le galassie e anche per l’universo. E questa legge è valida anche per le diverse specie biologiche che vediamo apparire e scomparire sulla superficie della terra. Così vediamo nascere e scomparire anche l’immagine dell’uomo – inteso come individuo, comprese le nazioni, imperi, ideologie ecc.

Conclusione

I dati della cosmologia moderna non sono ancora definitivi, e non si può dire se il. momento del BIG BANG coincida o meno con il momento della creazione. Ci sono ancora troppi misteri da scoprire nelle leggi fondamentali della fisica. Comunque il problema della creazione del mondo e della sua contingenza si pone sempre al cristiano, e oggi in modo ancora più pressante. Al posto di un universo statico, ed eterno, come pensato da Aristotele, che non conosceva nella natura forze capaci di crearlo o di trasformarlo, abbiamo oggi un universo che va verso la sua distruzione; non distruzione della materia o meglio dell’energia, ma delle strutture che rendono possibile la nostra vita. Inoltre, la scienza rimane muta su ciò che avvenne prima dell’origine del nostro universo.

Il vecchio sistema del mondo dei greci oggi ci appare puerile; ma in realtà era coerente, bello e armonioso, nel senso che non poteva essere né generato né distrutto senza un intervento di Dio.

Tutto questo si è mutato in un’immagine di universo più pessimista, che evolve verso la Propria distruzione. Fornire una ragione soddisfacente dell’esistenza della vita e dell’universo diventa oggi più pressante che mai. Nell’ipotesi di una espansione continua si potrebbe paragonare l’universo a un gioco di fuochi di artificio, che esplodono come una grande massa di fuoco di tutti i colori, ma che rapidamente impallidiscono, svaniscono e si spengono.

Questo bello spettacolo terreno dura solo pochi secondi; quello dell’universo qualche miliardo di anni, ma tra essi c’è qualcosa di analogo. E’ questione di scala temporale. L’unità di misura del tempo è la nostra vita, un secolo, il tempo storico, sono come attimi in confronto all’età dell’universo. In esso possiamo misurare cambiamenti sole se adoperiamo qualche miliardo di anni come unità di misura del tempo. Come in una persona: in essa non osserviamo cambiamenti da un giorno all’altro, ma se la incontriamo dopo un lungo periodo, i cambiamenti si vedono subito. Per gli antichi osservare cambiamenti a grande scala non era possibile perché vedevano l’universo a corta distanza, e per un intervallo molto breve della sua evoluzione.

L’universo ha smesso quindi di essere il firmamentum di una volta. E’ diventato una cosa misteriosa e fonte di pessimismo, considerato nella sua totalità. Per noi cristiani, è solo un’altra palese manifestazione della sua contingenza.

1 Etimologicamente significa fare una cosa come tagliando. Si può consultare per esempio GENESI, Edizioni Paoline, pag.64 da dove proviene la traduzione del Genesi.

2 Incidentalmente, vorrei accennare che qui troviamo l’origine dell’astrologia. All’inizio era riservata al re come capo della nazione. Quando più tardi, con i cambiamenti politici della Mesopotamia, molti di quegli astronomi babilonesi hanno dovuto emigrare nel mondo greco, per guadagnarsi il pane hanno piano piano esercitato un’astrologia non più per i grandi eventi della nazione, ma a servizio dei singoli individui, e da allora fino ad oggi è diventata una sorgente di guadagni a spesa degli sfortunati incauti che ci credono.

3 Quasi non multa in Scripturis Sacris dicantur iuxta opinionem illius temporis quo gesta feruntur, et non iuxta quod rei veritas continebat. In cap. 28 Hieremiae.

4 Consuetudinis Scripturarum est, ut opinionem multarum rerum sic narret Historicus, quomodo eo tempore ab omibus credebatur. In Iob, cap. 27.

5 Come l’orbita della luna vista da un osservatore collocato nel sole. La comparazione non è del tutto esatta ma da una idea del modello degli epicicli.

NOTA: testo,  rivisto dal’Autore, della conferenza tenuta a Brescia l’11.5.1989 su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.