Creazione e cosmologia nel XXI secolo

Proporre un paragone tra Tommaso d’Aquino e la cosmologia contemporanea può sembrare strano. Che relazione è possibile stabilire tra un teologo e filosofo del XIII secolo e le dottrine cosmologiche del nostro secolo? Ciò che spero di mostrare è che Tommaso ha molto da dire sul modo in cui vanno interpretate le tesi della scienza contemporanea che sembrano riferirsi all’origine dell’universo.

Studi recenti nella fisica delle particelle e in astronomia hanno prodotto stupefacenti riflessioni riguardo alla storia iniziale dell’universo. I cosmologi oggi presentano complessi scenari che si propongono di descrivere come l’universo potesse essere quando aveva le dimensioni di un chicco d’uva, solo 10-35 secondi dopo il Big Bang. La descrizione dell’emergere di quattro forze fondamentali e 12 particelle subatomiche discrete è molto ricorrente nella fisica contemporanea. Infatti, ci sono pochi dubbi tra gli scienziati che noi viviamo nel mezzo di una straordinaria espansione che cominciò circa 14 miliardi di anni fa.

Il numero dello scorso Aprile della prestigiosa rivista inglese “Astronomia” è stato dedicato alla presentazione di una mappa della radiazione cosmica di fondo lasciata dal Big Bang. L’esistenza delle cosiddetta “luce fredda” che pervade l’intero cosmo fornisce una prova sia di un primo Big Bang che di una crescente accelerazione nell’espansione dell’universo. Significativamente, il titolo sulla copertina della rivista era “In principio… gli scienziati si avvicinano al Big Bang.”

Il celebre scienziato di Cambridge Stephen Hawking ha più volte osservato che in conseguenza dei risultati della cosmologia contemporanea la questione del principio dell’universo è ora entrata “nell’ambito della scienza”. Hawking ha rilevato che non possiamo avere una teoria scientifica della natura se tale teoria non fornisce un argomento sull’inizio dell’universo.

Questa fiducia che la cosmologia oggi sia in grado di studiare l’inizio dell’universo – una fiducia condivisa da diversi cosmologi – ha guidato ogni sorta di speculazione riguardo allo stato iniziale dell’universo. Per molti scienziati, filosofi e teologi queste riflessioni cosmologiche si connettono direttamente alla consolidata teoria della creazione. Il  redattore della pagina scientifica del “New York Times” ha scritto di recente che un acceleratore di particelle può aiutare gli scienziati a sviluppare “una teoria meccanicistica del momento stesso della genesi, dei come se non dei perché della creazione ex nihilo”. (Gennaio 2001).

La maggior parte dei fisici si riferisce al “Big Bang” come ad una “singolarità” che è l’ultimo limite, “uno stato di densità infinita” nel quale spazio e tempo collassano. Quindi, esso rappresenta il limite estremo di ciò che noi possiamo conoscere riguardo all’universo. Se tutte le teorie fisiche fossero formulate nel contesto dello spazio e del tempo, sarebbe impossibile riflettere – quantomeno nelle scienze naturali – riguardo alle condizioni prima e oltre di queste categorie. Ciononostante, durante gli ultimi 30 anni proprio tale riflessione ha stimolato diversi cosmologi. Alcuni di essi, oggi, presentano teorie che propongono una descrizione del Big Bang stesso come una fluttuazione di un primo vuoto. Come si reputa che le particelle subatomiche emergano spontaneamente nel vuoto che può essere creato in laboratorio, così  tutto l’universo può essere visto come il risultato di un processo simile. Il professor Alexander Vilenkin dell’Università di Tufts in Massachusetts ha sviluppato una variazione di un modello inflazionistico dell’universo in espansione che considera l’origine dell’universo come “uno scavare quantico dal nulla”. “Nulla” per Vilenkin è uno “stato che non possiede lo spazio e il tempo in senso classico?l’ambito di un’illimitata gravità quantistica; un insolito stato nel quale tutte le nostre nozioni base di spazio, tempo, energia, entropia eccetera perdono il loro significato. Descrivendo queste riflessioni in un testo recente, “L’universo inflazionario”, Alan Guth si appropria del linguaggio teologico tradizionale in un capitolo intitolato “Un universo ex nihilo”.

Siamo quindi vicini al limite estremo di una spiegazione scientifica dell’origine dell’universo? La discussione tra diversi sostenitori delle nuove teorie è, quindi, che le leggi della fisica sono sufficienti a spiegare l’origine dell’universo. Se questo fosse vero, allora, in un certo senso noi vivremmo in un universo che non ha bisogno di alcuna spiegazione al di là di esso stesso, un universo che viene ad esistere spontaneamente senza una causa, da un nulla cosmico.

C’è un’altra tendenza nell’applicazione della meccanica quantistica alla cosmologia, differente dall’universo inflazionario e dallo scavare quantistico dal nulla descritto da Vilenkin. Questa è la celebre opinione di Stephen Hawking il quale in “Una breve storia del tempo” ha seguito una strada differente: saggiare la nozione stessa di un inizio assoluto dell’universo. Egli nega l’intelligibilità di un evento che dovrebbe – in principio – andare oltre l’ambito dell’indagine scientifica. Non c’è alcuna singolarità, non c’è alcun limite iniziale, l’universo non ha un inizio!

Ogni tipo di riferimento ad una singolarità iniziale è – per Hawking – ammissione di una mancanza: “Se le leggi della fisica potessero venire meno all’inizio dell’universo, perché non dovrebbe venire meno in ogni luogo?”. Ammettere una singolarità implica negare alla fisica una predicibilità universale e – di conseguenza – respingere, in ultima analisi, la competenza della scienza a comprendere l’universo. Hawking non si fa problemi a trarre una conclusione teologica dalle sue speculazioni cosmologiche. L’universo è “del tutto contenuto in sé stesso e non è influenzato da nulla di esterno ad esso”. Secondo la cosmologia di Hawking, “l’universo non sarebbe stato creato e neppure distrutto, sarebbe soltanto ”.  Se l’universo non avesse avuto inizio non rimarrebbe nulla che Dio possa fare ad eccezione di scegliere le leggi della fisica. La fisica ci consentirebbe, quindi, di conoscere “la mente di Dio”. Ecco le parole di Hawking:

Fino a quando supponiamo che l’universo abbia inizio dobbiamo anche supporre che esso abbia avuto un creatore. Tuttavia, se l’universo è veramente del tutto contenuto in sé stesso senza limiti o confini, non ci sarebbero né un principio né una fine, semplicemente esisterebbe. Quale spazio rimarrebbe quindi per un creatore?

Nel suo testo recente “l’Universo in un guscio di noce” Hawking osserva che la teoria cosmologica che lui presenta riguardo alla storia iniziale dell’universo significa che l’universo è “del tutto contenuto in sé stesso, e non ha bisogno di nulla al di fuori di esso per azionare il meccanismo e metterlo in moto. Ogni cosa nell’universo, invece, è determinata da leggi della scienza e da una serie di probabilità interne all’universo. Questa concezione [Hawking conclude] può apparire presuntuosa, ma è ciò che io ed altri crediamo.”

Andrei Linde – un cosmologo dell’Università di Stanford – riflettendo su un problema che lui stesso ammette essere bizzarro – ovvero che cosa accada prima del Big Bang – ha sviluppato la teoria della “inflazione eterna” secondo la quale ciò che noi conosciamo come il Big Bang è soltanto uno dei tanti in una catena di Big Bangs attraverso i quali “l’universo riproduce e reinventa sé stesso senza fine”. Secondo Linde “il nostro universo è cominciato come una bolla che è scoppiata al di fuori dello spazio-tempo di un universo preesistente”. Egli crede, però, che non abbia senso ricercare una “bolla originaria”.

È interessante notare che alcuni cristiani si siano affrettati ad accettare la cosmologia del Big Bang in senso tradizionale come una singolarità poiché essi hanno visto in essa una conferma scientifica della storia della creazione presente nella “Genesi”. Sicuramente è comprensibile il fascino esercitato su alcuni pensatori dalle contemporanee variazioni nella cosmologia che propongono un’analisi della singolarità iniziale nei termini di uno scavare quantistico o di una negazione dell’esistenza di un iniz_iale limite dell’universo oppure di una dottrina di eterni cicli di Big Bangs. In ogni caso, sembra che il ruolo del creatore sia del tutto superfluo. Secondo questi scienziati che soffrono di “teofobia” le spiegazioni del Big Bang in termini scientifici sono del tutto sufficienti. Tuttavia, l’uso delle dottrine cosmologiche sia per affermare la creazione o per negarla è un esempio di fraintendimento tanto della cosmologia che della creazione.

L’universo descritto da Hawking e da altri autori è un universo contenuto in sé stesso che può essere spiegato in modo del tutto esaustivo nei termini delle leggi della fisica. In tale universo non sembra esserci alcun bisogno del Dio della rivelazione Ebrea, Cristiana o Mussulmana. La tradizionale dottrina della creazione appare, quindi, come obsoleta rispetto agli sviluppi della scienza. Per alcuni autori addirittura la nozione di un creatore viene vista come un artificio intellettuale, frutto di un’epoca meno illuminata.

Troppo spesso la discussione contemporanea riguardo alle conseguenze teologiche e filosofiche della cosmologia del Big Bang, così come si è evoluta, è il risultato di un’ignoranza sia della storia della scienza che delle analisi articolate della scienza naturale e della creazione proposte nel Medioevo. La recezione della scienza aristotelica nei circoli culturali Mussulmani, Ebrei e Cristiani durante il Medioevo fornì, infatti, l’occasione per un’ampia discussione sulla relazione tra teologia e scienze naturali. Il modo in cui Tommaso d’Aquino pensa alla creazione – e in particolare alla distinzione che egli traccia tra teologia, metafisica e scienze naturali – può continuare a servire come àncora di intelligibilità nel mare contemporaneo delle teorie speculative.

Secondo molti contemporanei di Tommaso c’è una sostanziale incompatibilità tra l’opinione dei fisici antichi – secondo cui qualcosa non può venire dal nulla assoluto – e l’affermazione della fede cristiana che Dio produsse ogni cosa dal nulla. Inoltre, per gli antichi, poiché ogni cosa deve derivare da qualcosa d’altro ci deve essere sempre qualcosa, ovvero l’universo deve essere eterno. Nonostante le posizioni di alcuni teorici contemporanei che credono che sia possibile che qualcosa derivi dal nulla, coloro che teorizzano il Big Bang – attraverso i suggerimenti che gli vengono dalla fisica delle particelle concernente le fluttuazioni nel vuoto – riaffermano il principio antico che qualcosa non può derivare dal nulla.

La persistente confusione tra le nozioni cosmologiche e filosofiche del “nulla” emerge in modo evidente in questa discussione. Il “vuoto”della moderna fisica delle particelle, le cui “fluttuazioni” teoricamente portano all’esistenza il nostro universo, non è un nulla assoluto e – sebbene esso non sia simile a nessun’altra cosa nell’universo – è comunque qualcosa, infatti, altrimenti non potrebbe fluttuare. Bisogna riconoscere che di solito il “nulla” discusso dai cosmologi contemporanei non è un nulla assoluto. Al contrario, il senso di nulla che è cruciale per la dottrina della creazione dal nulla è proprio quello di nulla assoluto. Il nulla delle dottrine cosmologiche contemporanee risulta, infatti, essere qualcosa. La nozione di “nulla” centrale in teologia e in metafisica per il concetto di creazione dal nulla, è, di conseguenza, radicalmente differente dalle varie nozioni di “nulla” utilizzate nel discorso cosmologico contemporaneo.

Secondo molti pensatori medievali l’universo eterno della scienza degli antichi greci sembra essere incompatibile con l’idea di un universo creato dal nulla. Un universo eterno appariva, infatti, essere un universo necessario, un universo che non è il risultato di un libero atto creatore di Dio. Questo è il modo in cui alcuni cristiani compresero gli antichi sentendo l’urgenza che la scienza antica – ed in particolar modo quella del suo rappresentante più preminente Aristotele – venisse respinta poiché contraddiceva le verità rivelate. Studiosi Mussulmani ed Ebrei si erano già scontrati con l’eredità della scienza greca poiché avevano cercato di spiegare cosa volesse dire credere in Dio come creatore. Tommaso d’Aquino, tuttavia, riuscì a sviluppare una consistente riflessione sulla creazione dal nulla in grado sia di rispettare i requisiti della rivelazione biblica che quelli di un’analisi scientifica della natura. Come ho suggerito, credo che il contributo di Tommaso d’Aquino alla discussione medievale sul_la creazione e la scienza sia in grado di interagire con la riflessione odierna sulla cosmologia e la creazione.

Il punto centrale dell’analisi di Tommaso d’Aquino è la distinzione che egli traccia tra l’atto di creare e il mutamento, o come egli dice spesso creatio non est mutatio (la creazione non è un mutamento). Le scienze naturali, che siano Aristoteliche o contemporanee, hanno come loro oggetto il mondo delle cose che mutano: dalle particelle subatomiche, alle ghiande, fino alle galassie. Ogniqualvolta c’è un mutamento ci deve, quindi, essere qualcosa che muta. Gli antichi avevano ragione: dal nulla non deriva nulla se s’intende il verbo “derivare” come indicante un mutamento. Tutti i mutamenti richiedono, quindi, una realtà materiale sottostante.

Al contrario, creare significa essere la causa di tutta la realtà, di qualsiasi cosa che esiste. Essere la causa esclusiva dell’esistenza di qualcosa non vuole però dire produrre un mutamento in qualcosa. Creare, quindi, non vuole dire operare su qualcosa o con qualcosa che già esiste. Se ci fosse qualcosa precedente che fosse stata usata nell’atto del produrre una cosa nuova, allora l’agente producendo non sarebbe la causa perfetta di una cosa nuova. Ma tale causa perfetta di una cosa è ciò in cui consiste, precisamente, l’atto della creazione. Creare, quindi, significa portare qualcosa ad esistere e tutte le cose dipendono da Dio per quanto concerne la loro esistenza. Dio, infatti, non prende il nulla e realizza qualcosa da esso. Infatti, qualora ogni cosa venisse lasciata del tutto a sé stessa e fosse separata dalla causa della sua esistenza, sarebbe assolutamente nulla. La creazione, quindi, non è esclusivamente e neppure primariamente un evento distante; l’atto creatore di Dio consiste, invece, nel continuo, completo causare l’esistenza di ogni cosa che esiste.

Tommaso osserva che la relazione che sussiste tra una casa e il suo costruttore è molto diversa da quella tra la creatura e il Creatore. Infatti, una volta che la generazione della casa è completata, la casa cessa di avere ogni relazione di dipendenza dal suo costruttore, il costruttore può morire e la casa continuerà in ogni modo ad esistere. Il caso delle creature in quanto tali è, invece, piuttosto diverso. La causalità del creatore deve essere continua e dello stesso tipo durante tutto il periodo dell’esistenza della creatura. Secondo Tommaso, infatti, tutte le cose cadrebbero nel non essere se l’onnipotenza di Dio non le supportasse.

La riflessione di Tommaso d’Aquino è particolarmente penetrante nella distinzione tra l’origine dell’universo e l’inizio dell’universo. L’inizio, infatti, indica un evento temporale ed un inizio assoluto dell’universo dovrebbe coincidere con l’inizio del tempo. La creazione, al contrario, è una spiegazione dell’origine, della fonte, dell’esistenza dell’universo e può essere dimostrata secondo Tommaso dalla metafisica. Nel suo Commento alle Sentenze di Pietro Lombardo terminato a Parigi intorno al 1250, San Tommaso osserva: “Non solo la fede può sostenere che ci sia una creazione ma anche la ragione lo dimostra”. Lo sviluppo di Tommaso nella riflessione sulla creazione ex nihilo e, in particolare, la sua convinzione della possibilità di un universo eterno e creato fornisce uno dei migliori esempi della sua analisi della relazione tra fede e ragione. Infatti, la sua analisi magistrale della dottrina della creazione è uno dei risultati intellettuali più influenti e duraturi del XIII secolo.

Per Tommaso si possono individuare due diversi sensi di creazione dal nulla, uno filosofico, l’altro teologico. Il senso filosofico significa semplicemente che Dio, senza ricorrere ad alcuna causa materiale, fa sì che tutte le cose esistano come enti realmente diversi da lui, anche se del tutto dipendenti dalla Sua causalità. Il senso teologico di creazione non nega in alcun modo quello filosofico ma aggiunge ad esso la nozione che l’universo creato è temporalmente finito. Il creatore è, infatti, precedente a ciò che è creato ma tale priorità non è fondamentalmente temporale. Infatti, poiché ogni creatura ha la sua origine nel creatore ed è del tutto dipendente dal creatore per la sua esistenza, tale dipendenza è, quindi, metafisica e non temporale. In conseguenza di ciò, l’essere creati dal nulla non significa che la creatura è prima nulla e poi qualcosa.

Per Tommaso d’Aquino non c’è alcuna contraddizione nella nozione di un universo eterno e creato. Infatti, anche se l’universo non avesse alcun inizio temporale sarebbe, ciononostante, dipendente da Dio riguardo al suo stesso essere. La radicale dipendenza da Dio come causa dell’essere è, di conseguenza, il significato della creazione.

Tommaso d’Aquino, tuttavia, osserverebbe che affermare che l’universo non abbia avuto inizio (o perché è eterno come pensarono gli antichi, o perché la nozione stessa di temporalità è un concetto sussidiario, come reputa Hawking) non mette in crisi la fondamentale verità metafisica secondo la quale l’universo ha un’origine, ovvero che l’universo è stato creato. Infatti, se c’è una “inflazione eterna”, come ha notato Linde, o magari una serie infinita di universi all’interno degli universi, tutti questi universi richiederebbero in ogni caso l’atto creatore di Dio per esistere.

Non c’è, in conseguenza di ciò, nessun conflitto tra la dottrina della creazione e le teorie fisiche. Infatti, le teorie delle scienze naturali si occupano del mutamento. Sia che i mutamenti vengano descritti come biologici o cosmologici, come infiniti o come temporalmente finiti, essi restano, comunque, dei processi. La creazione, invece, ha il compito di spiegare l’esistenza delle cose e non i mutamenti che avvengono in esse. [Come dice Tommaso “Sopra e al di là del modo di divenire delle cose attraverso il quale qualcosa si genera attraverso movimento o mutamento, ci deve essere un altro modo di divenire o un’origine delle cose senza mutamento o movimento attraverso l’influsso dell’essere” (De substantiis separatisi, c. 9, n. 49).]

Nel Medioevo ci furono alcuni pensatori – in ciascuna delle tre grandi tradizioni religiose – che pensarono che la scienza potesse dimostrare che l’universo avesse avuto un inizio temporale. Questa fiducia nella nostra abilità di spiegare l’universo come temporalmente finito può essere riscontrata anche in diversi cosmologi che credono nella teoria del Big Bang. Tommaso d’Aquino, tuttavia, seguendo Maimonide, ha sostenuto che, per principio la scienza non può concludere che l’universo abbia avuto un inizio temporale. In un celebre testo tratto dalla prima parte della Somma teologica Tommaso osserva:

Che il mondo abbia avuto un inizio?.. è oggetto di fede e non può essere dimostrato o conosciuto. Quindi, è importante che questo venga tenuto a mente al fine di evitare di cercare di dimostrare, in modo presuntuoso, ciò che è oggetto di fede introducendo così argomenti che non sono definitivi in senso stretto. In questo modo daremmo adito agli infedeli di prenderci in giro, poiché essi riterrebbero che noi diamo assenso alla verità della fede in questo modo.

Tuttavia, per quanto Tommaso ritenne che la ragione possa dimostrare che l’universo ha un’origine – ovvero che l’universo è del tutto dipendente da una causa per la sua esistenza – egli pensò che fosse un errore credere che, sulla base di come noi comprendiamo l’universo nel suo stato attuale, possiamo estrapolare o ipotizzare lo stato iniziale o l’inizio temporale dell’universo.

Tommaso, ad ogni modo, era convinto che l’universo non fosse eterno, egli ritenne che Aristotele avesse sbagliato nel sostenere tale tesi. Tommaso, però, ha sostenuto che – se ci si fonda soltanto sulla ragione – non è possibile sapere o meno se l’universo è eterno oppure no. Infatti, affermare – sulla base della fede – che l’universo ha avuto un inizio temporale, non implica alcuna contraddizione con ciò che le scienze naturali possono legittimamente affermare. Quindi, poiché esse non possono conoscere se l’universo abbia avuto un inizio temporale, la rivelazione della fede su questo argomento completa e perfeziona ciò che la ragione conosce.

Il Big Bang descritto dalla cosmologia moderno non è quindi la creazione dell’universo. Le scienze naturali non possono, infatti, fornire un’analisi definitiva per l’esistenza di tutte le cose. Nondimeno, questo non implica che la ragione debba rimanere silente riguardo all’origine dell’universo. La ragione, infatti, abbraccia più categorie di quelle contenute nelle scienze naturali. Come abbiamo visto – per quanto Tommaso non pensi che la ragione da sola può giungere alla conclusione che l’universo abbia avuto un inizio temporale – egli crede che da sola la ragione può dimostrare che l’universo sia stato creato. Tale dimostrazione avviene in metafisica; in quanto così come la metafisica non può negare le verità riguardo al mondo scoperte dalle scienze naturali, allo stesso modo le scienze naturali non possono rifiutare le verità individuate dalla metafisica. Infatti, si deve ricordare che considerare ciò che avviene in natura è una cosa diversa dall’esaminare cosa significa per le cose esistere.

Infatti, un universo che sia il risultato della fluttuazione di un primo vuoto non è un universo creato da sé stesso. Inoltre questo primo vuoto non è neppure il nulla che viene considerato nella creazione dal nulla. Quindi – contrariamente all’idea che l’universo descritto dalla cosmologia contemporanea non lascia al creatore nulla da fare – si nota che se non ci fosse un creatore che causa tutto ciò che è non ci sarebbe nulla. Di conseguenza, Hawking sbaglia nel concludere che ci siano implicazioni per un Dio creatore “se l’universo è del tutto contenuto in sé stesso, senza alcuna singolarità o limiti ed è descritto in modo sufficiente da una teoria unificata”. Un errore che Hawking e molti altri compiono nel negare la creazione è un vecchio errore che Tommaso d’Aquino aveva individuato, ovvero quello di pensare che la creazione ex nihilo (dal nulla) significasse necessariamente post nihilum (dopo il nulla). Di conseguenza, attraverso la negazione della creazione dopo il nulla essi ritennero di negare anche la creazione dal nulla. Un ulteriore errore che essi fanno è quello di credere che creare significhi essere la causa agente di un mutamento. Hawking nega che ci sia un mutamento iniziale – il suo universo, infatti, non ha un limite iniziale o un inizio – quindi egli reputa che non ci sia alcun ruolo da svolgere per Dio. Tuttavia, poiché la creazione non è un mutamento la riflessione di Hawking non nega in definitiva l’azione creatrice di Dio. Similmente, gli universi che si riproducono da sé di alcuni cosmologi non sono degli universi che si creano da sé.

Gli errori nell’analisi di coloro che utilizzano la cosmologia per negare la creazione devono essere evitati da coloro che erroneamente si propongono di difendere la creazione concludendo che – poiché la cosmologia tradizionale sul Big Bang afferma l’inizio dell’universo – essa ci fornisce, quindi, una conferma scientifica della creazione. Così come la negazione di una singolarità iniziale non è una negazione della creazione, allo stesso modo l’accettazione di tale singolarità non è una prova della creazione. Come abbiamo visto, Tommaso d’Aquino ci mette in guardia dal poco saggio atteggiamento di utilizzare cattivi argomenti a sostegno di argomenti che sono oggetto della fede.

La necessità di spiegare l’esistenza delle cose non scompare, quindi, in seguito alle nuove dottrine che propongono una spiegazione per i diversi mutamenti, senza considerare quanto questi mutamenti sino antichi or primordiali. Tommaso d’Aquino non avrebbe alcuna difficoltà nell’accettare la cosmologia del Big Bang, anche nelle sue diverse versioni più recenti, così come nell’affermare la dottrina della creazione dal nulla. Egli distinguerebbe senz’altro gli avanzamenti della cosmologia dalle riflessioni filosofiche e teologiche su tali avanzamenti.

Le variazioni nella cosmologia contemporanea che ho descritto sono solo speculazioni teoriche e sono probabilmente destinate a cambiare.

Infatti, alla fine della settimana scorsa la rivista “Natura”, ha presentato una nuova speculazione cosmologica di un universo finito nella figura di un pallone da calcio. Se questo è vero, tale verità è qualcosa che gli italiani sanno da sempre: il calcio e l’universo sono la stessa cosa.

Proporre delle ipotesi, tuttavia, non giustifica né il non fare distinzioni tra l’ambito delle scienze naturali, della metafisica e della teologia e neppure accattivanti conclusioni filosofiche o teologiche riguardo ad un universo senza causa. Tommaso d’Aquino non poteva servirsi del telescopio Hubble ma in molti modi è stato in grado di vedere più lontano e più chiaramente di coloro che se ne servono.

NOTA: testo, rivisto dall’Autore, della conferenza tenuta a Brescia il 16.10.2003 su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.

NOTA BIOGRAFICA DEL PROF. W.E. CARROLL

Il professor William E. Carroll è uno studioso di fama internazionale le cui aree di interesse sono principalmente quattro:
1) la ricezione della scienza Aristotelica nel Medioevo Giudaico, Islamico e Cristiano
2) la dottrina della creazione in Alberto Magno, S. Bonaventura e S. Tommaso d’Aquino
3) il rapporto tra Galileo e l’Inquisizione
4) il rapporto tra le dottrine medievali della creazione e le principali dottrine cosmologiche contemporanee..
Il professor Carroll ha studiato nelle migliori università americane sotto la giuda di studiosi molto celebri. Infatti, si è laureato presso la University of Notre Dame, principale Università cattolica degli USA, e ha ottenuto il suo dottorato presso la University of Michigan, una delle migliori cinque università degli USA. Successivamente si è specializzato presso il Pontifical Institute of Toronto, uno dei centri culturali più importanti per lo studio del pensiero medioevale, sotto la giuda di gradi studiosi quali J. Owens e J. Weisheipl.
Successivamente, il professor Carroll è diventato Professore di Storia della Cultura al Cornell College dove ha insegnato per più di trent’anni.
La noterietà che il professor Carroll ha raggiunto lo ha portato negli anni ad essere invitato in qualità di Visiting Professor in molte prestigiose università di tutto il mondo: University of Toronto, University of Notre Dame, Catholic University of America, University of Chicago, University of Chile, Thomas Aquinas College, Oxford University, Cambridge University, University of Prague, University of Bratislava, Università` di Firenze, Università di Bologna, Università Gregoriana di Roma.
Il professor Carroll, inoltre, ha tenuto conferenze in molte sedi prestigiose come quando nel 2000 l’Accademia Pontificia delle Scienze lo ha chiamato in occasione della “Jubilee Session” in qualità d’esperto sul tema “Creazione e Scienza”.
Dal 1999 il professor Carroll ha deciso lasciare il Cornell College per diventare professore di Scienza e Religione presso l`Università di Oxford e “Aquinas Fellow” al Blackfriars College di Oxford.

Il professor Carroll è autore di molte pubblicazioni in Inglese, Italiano e Spagnolo.
Di seguito viene riportata una lista delle sue fatiche più recenti.
La Creación y las Ciencias. Actualidad de Santo Tomás de Aquino (Santiago: Pontificia Universidad Católica de Chile, 2003).
Creation and Science, in Science and the Future of Mankind (Vatican City: Pontifical Academy of Sciences, Scripta Varia (99), 2001), 333-349.
The Scientific Revolution and Contemporary Discourse on Faith and Reason, Faith and Reason (2001).
Creation, Evolution, and Thomas Aquinas, Revue des Questions Scientifiques (2000).
Galileo and the Interpretation of the Bible, Science & Education (1999).
Aquinas and the Metaphysical Foundations of Science, Sapientia (1999).
Aquinas on Creation and the Metaphysical Foundations of Science, Sapientia 54 (April 1999), 69-91.
Thomas Aquinas and Big Bang Cosmology, Sapientia 53 (April 1998), 73-95.
Aquinas on Creation (Toronto: Pontifical Institute of Mediaeval Studies Press, 1997).