Dalle terre del nulla alle terre dell’oltre

Quando si giunge all’ultima pagina di un libro, l’interrogativo che sovrasta ogni altro, almeno per me, è uno solo: qual’è l’idea centrale, l’idea direttrice, l’intuizione che sorregge tutto il lavoro di concettualizzazione compiuto dall’autore? Se il libro vale, l’intuizione che vivifica e conferisce unità a quanto è stato scritto emerge; se no, no. Il poderoso volume di Luigi Lombardi Vallauri – “Terre (Terra del nulla, terra degli uomini, terra dell’Oltre)” – pubblicato da Vita e Pensiero, a Milano, ha il pregio di tuffare subito il lettore nel vivo di questioni interessantissime, mostrando sin dalla corposa introduzione la solidità, ma anche la spregiudicatezza dell’autore. Terre raccoglie gli scritti non giuridici di un pensatore per il quale la filosofia, anzi l’intera cultura, non è che via, strumento, mezzo per potenziare lo sguardo sull’essere. La disposizione mentale dell’autore è scopertamente indicata in una noticina, in cui dice di aver scelto come motto l’invito di Tommaso ad andare alle cose e a ragionare sulle cose: studium philosophiae non est ad hoc, quot sciatur quid homines senserint, sed qualiter se habeat veritas rerum (Commento al “De coelo et mundo” 1, lez. 22, n. 228).
La sfida cruciale del nostro tempo è quella del riduzionismo. É pertanto necessario chiedersi: da che cosa nasce il riduzionismo scientista e perché esso comporta come esito non voluto, ma logico e necessario, il nichilismo, la persuasione cioè che nulla ha valore e, dunque, tutto è privo di significato? Lombardi Vallauri non demonizza certamente la scienza moderna e la tecnica, come è di moda oggi, ma il suo vero bersaglio critico è il riduzionismo scientista, l’assurda pretesa secondo cui non v’è altro sapere all’infuori della scienza. Non è facile, lo so, distinguere storicamente scienza e tecnica dallo scientismo tecnologico; e tuttavia la distinzione va sempre di nuovo difesa e ribadita. La scienza è buona in quanto fonte di conoscenza con implicazioni metafisiche, etico-sociali, estetiche e religiose da riscoprire e valorizzare ad ogni livello, se vogliamo ricongiungere una delle conquiste più entusiasmanti della storia ai compiti morali dell’umanità. Lo scientismo tecnologico moderno, invece, ignora la complessità del reale, del soggetto umano che lo indaga e della stessa attività scientifica: il suo solo linguaggio è quello tipico di tutti i monismi e i fanatismi, il linguaggio del “null’altro che" per cui si assume a modello di ogni operazione mentale la macchina e a essa si riduce il cosmo e l’uomo stesso.
Per gli scientisti tecnologici conoscere la realtà vorrà dire, dunque, rendersi conto del modo in cui funziona la macchina del mondo, e la macchina può (almeno teoricamente) essere smontata nei suoi singoli elementi per essere poi, pezzo per pezzo, ricomposta. Con ciò si disconosce la diversità delle singole scienze e dei loro statuti epistemologici, spiegando ogni attività superiore con le condizioni che la preparano e con i mezzi che concorrono a manifestarla. La forma di pensiero dello scientismo tecnologico si riassume nell’ idea-forza della manipolabilità integrale dell’essere da parte dell’uomo: il dominio tende a diventare il criterio supremo, che non riconosce altro valore al di sopra di sé. La pseudo-metafisica materialista spalanca così le porte al nichilismo ontologico ed etico, il quale, nella sua essenza, consiste nel sostituire alla norma cristiana, che Kant fa sua, considera l’altro come fine e mai come semplice mezzo, il suo opposto anticristiano e antikantiano, così come il Marchese De Sade lo formulò, considera sempre l’altro come mezzo e mai come fine perché tutti gli altri non sono che bestie di servizio. Questo non è che uno dei possibili scenari dell’oggi, non l’unico, per fortuna; ma è uno scenario terribilmente inquietante perché consegna l’uomo all’indifferenza etica e lo spinge ad organizzare la vita come volontà di dominio ed esercizio di egoismo. Se in linea logica il materialismo precede l’edonismo e il consumismo, sul piano psicologico non è forse l’atteggiamento edonistico a generare l’adesione sempre più decisa e diffusa a una visione materialistica della vita? Il materialismo ha avuto una lunga preparazione, non sempre rigorosamente coerente nei suoi percorsi; in ogni caso, se non è nuovo come teoria, è certamente nuovo come fatto di massa, come ideologia di massa, la cui diffusione largamente sincrona, nel ventennio 1965-1985, è stata impressionante nei Paesi industrializzati europei di matrice cristiana.
L’ipotesi interpretativa del Lombardi Vallauri ha un suo fascino ed una sua persuasività. Ha trionfato, a suo avviso, la saldatura tra il complesso ideologico edonistico-consumistico, fondamentalmente sadista, e lo scientismo tecnologico, recepito come metafisica materialistica, a cui ha fatto da supporto quanto mai persuasivo un’economia opulenta. Tuttavia, il trionfo del materialismo nelle sue due componenti più tipiche, quella radical-edonistica e quella scientista, ha demolito tutte le alternative di valore (in particolare l’alternativa cristiana), ma ha documentato altresì, e in modo impressionante, il suo proprio fallimento, la sua impossibilità a costruire una città più libera e fraterna. Il suo trionfo, ormai, non è più vissuto “trionfalisticamente”, ma nichilisticamente. “Le centinaia di milioni di edonisti, individualisti possessivi, generati dalla cultura borghese-emancipata, introiettata e trasferita alle masse, non si trovano oggi di fronte al fourieriano, comtiano o marxiano superamento industriale della penuria, di fronte al paradiso in terra e all’opulenza per tutti, ma si trovano di fronte ai limiti dello sviluppo, al disastro ecologico, alla pressione demografica, alle carenze sanitarie, assistenziali e interpersonali dello Stato sociale, all’oppressione burocratica, al malessere di civiltà, alla nuova delinquenza, insomma al parziale fallimento non solo spirituale, ma anche materiale del materialismo”.
Che fare? C’è molto da fare, evidentemente, e in ogni campo in cui si è chiamati ad operare. Ma il primo e più urgente dovere rimane quello del pensare giusto – (è il titolo delle dispense universitarie del Lombardi Vallauri dell’86) – essendo meglio compiere piccoli passi su una strada giusta che grandi su una strada sbagliata. Pascal concluse il celeberrimo frammento 347 sulla "canna pensante” con un appello: “Tutta la nostra dignità consiste nel pensiero… Diamo opera dunque a pensare rettamente: ecco il principio della morale.” La filosofia cesserebbe di prostituirsi alle ideologie di turno e di trasformarsi in una specie di ermeneutica del disincanto e dell’inconcludenza, purché dottamente argomentata, se tornasse a ricordarsi di quelle grandi parole.

Giornale di Brescia, 11.2.1990. Articolo scritto in occasione della conferenza di presentazione del libro "Terra del nulla, terra degli uomini, terra dell’Oltre" di Luigi Lombardi Vallari.