Donne e diritti umani, a 75 anni dalla dichiarazione universale

Autori: Bonetti Alba

Partirei da una domanda: a che cosa servono i diritti umani? Spesso la gente pensa che i diritti umani siano scritti nei codici, nei trattati, nella dichiarazione e si immagina che siano qualcosa di astratto; invece, i diritti umani sono quella cosa di cui è intrisa la nostra vita. Godere dei diritti umani vuol dire poter studiare, poter decidere in merito alla propria salute sessuale e riproduttiva, vuol dire poter guidare, vuol dire poter decidere se sposarsi o non sposarsi, vuol dire potersi esprimere, poter formare un gruppo di discussione, poter costituire un partito, poter scrivere il proprio pensiero in un blog, in un social, senza che questo sia oggetto di ritorsione. I diritti umani sono quella cosa in forza della quale ognuno di noi può diventare chi desidera essere. I diritti umani sono fondamentali.

L’articolo 1 della Dichiarazione universale dei diritti umani recita: Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza. Questo articolo afferma un principio in sé semplice, ma anche inedito e in un certo senso eversivo rispetto alla storia precedente. Annuncia il sogno di una umanità uguale. Bisogna contestualizzare la dichiarazione, siamo a tre anni dalla fine della Seconda guerra mondiale. La commissione dell’Onu, incaricata di redigere la Carta, ha in qualche modo tratto il succo essenziale da tutte le speranze che in quegli anni il mondo nutriva. Un mondo in cui si pensava che si potesse essere uniti e andare d’accordo, ci si sperava ancora. Ma apparve presto evidente che quelle dichiarazioni a tutela dei diritti degli individui erano troppo esili per andare lontano con le loro sole forze. Dalla seconda metà del ventesimo secolo in poi abbiamo assistito a drammatici fallimenti delle istituzioni internazionali nella gestione di tante crisi, fino ad arrivare ad oggi, dove abbiamo circa 60 guerre in corso. Questo che stiamo vivendo è il momento di più alta conflittualità dal 1945 in poi. L’avvocato inglese Peter Benenson (fondatore di Amnesty International) capì presto che i diritti umani non potevano essere lasciati alla sola tutela degli stati, perché essi hanno un interesse confliggente rispetto all’interesse degli individui: detto in estrema sintesi, l’interesse degli stati è controllare, l’interesse degli individui è godere appieno dei propri diritti. Benenson nel 1961 invitò alla mobilitazione le persone comuni, scrivendo: se questi sentimenti di disgusto di fronte alle violazioni dei diritti umani fossero uniti in un’azione comune si potrebbe fare qualcosa di efficace. Questo appello è stato l’atto fondativo del nostro movimento. Da più di 60 anni Amnesty International difende i diritti umani con ricerche, campagne, appelli e soprattutto attraverso l’educazione ai diritti umani.

La commissione che scrisse la Dichiarazione universale dei diritti umani era composta da tredici persone: 12 uomini e 1 donna. Nel comporre questa commissione si era prestata attenzione all’eterogeneità di appartenenza come paese, ma non c’era stata nessuna attenzione alla rappresentanza di genere. La domanda è: i diritti delle donne sono diritti umani? Non è una domanda peregrina. Hillary Clinton nel preparare il suo discorso per la prima conferenza internazionale delle donne a Pechino nel 1995 aveva deciso di dichiarare affermare che i diritti delle donne sono diritti umani. Il suo staff la sconsigliò, dicendole che era una frase troppo audace, questo solo trent’anni fa. Era troppo audace dire che i diritti delle donne sono diritti umani e che in quanto tali vanno difesi e tutelati. Clinton non seguì i consigli e fece il discorso come lo aveva in mente.

Come siamo messi adesso? Sono andata a vedere cosa succede alle donne che difendono i loro diritti nel mondo e ho preso come riferimento un rapporto che è stato presentato un mese fa da Amnesty International, su richiesta del relatore speciale delle Nazioni Unite, riguardo alle difensore dei diritti umani. Succede qualcosa di diverso rispetto agli uomini? In tutto il mondo le donne che difendono i diritti umani continuano a essere denigrate e insultate verbalmente, sono minacciate, attaccate, criminalizzate e detenute in maniera arbitraria e uccise. Oltre ad affrontare le minacce che tutti i difensori dei diritti umani affrontano, le donne subiscono forme specifiche di violenza di genere, sia verbale che fisica, compresa la violenza sessuale sotto forma di tortura e si trovano a fronteggiare sfide quali la misoginia, la stigmatizzazione e l’emarginazione. Hanno ostacoli ulteriori nella libertà di espressione, nell’associazione e riunione, perché i diritti che rivendicano non sono diritti di cui si sente parlare volentieri nelle comunità in cui vivono, perché sono i diritti politici e sociali delle donne. Tutto ciò si verifica all’interno di contesti ostili e di strutture di potere profondamente radicate su concezioni tossiche che sono: il patriarcato, l’etero-normatività, i fondamentalismi, il neoliberismo, le crisi di democrazia, il militarismo e la violenza diffusa nella società. La militarizzazione della sicurezza pubblica e le situazioni di conflitto non fanno altro che esasperare i rischi per le donne, ad esempio le donne che lavorano per la pace e per la demilitarizzazione sono spesso etichettate come traditrici della sicurezza nazionale, accusate di lavorare per interessi stranieri, sono prese di mira dai gruppi armati e la violenza oppure la minaccia della violenza viene utilizzata per intimidire e “mettere al loro posto” chi difende i diritti umani. Le donne e le ragazze sono molto a rischio di violenza, soprattutto di tipo sessuale, capita con le donne sfollate e rifugiate, con le donne difensore dei diritti, con le donne appartenenti a minoranze. Alcuni attacchi sono proprio attacchi di genere contro le donne, che vengono prese di mira in quanto donne, per punirle del lavoro che svolgono e per scoraggiare il loro impegno. Altri attacchi sono indipendenti dal genere, ma hanno un impatto più pesante in relazione alla cultura della singola società in cui vivono.

Faccio un esempio per ogni continente:

  • Guerra in Sudan, aprile del 2023, abbiamo registrato delle crescenti segnalazioni di donne uccise e aggredite sessualmente: soprattutto queste aggressioni erano frequenti verso le donne che difendevano i diritti umani cercando di documentare gli abusi e di aiutare le vittime.
  • Lotta delle donne in Iran per la loro libertà, la rivolta che si è scatenata dopo la morte di Mahsa Amini nel settembre del 2022 non ha precedenti. Le donne in Iran combattano contro più di 40 anni di discriminazione, di sopraffazione, di minacce, di persecuzione. Il velo è obbligatorio dai sette anni, ci si può sposare a nove anni e non si ha diritto di guidare, di prendere i mezzi pubblici senza il velo. Sono stati riportati casi di avvelenamento di 13mila studentesse, l’ipotesi è che siano state avvelenate attraverso le condotte dell’aria per punirle di aver girato dei video di protesta. La comunità internazionale non è intervenuta in merito ai crimini commessi dalle autorità iraniane (sparizioni, torture, uccisioni di massa), tutti fatti documentati. Invece l’Accademia di Stoccolma ha conferito il premio Nobel per la pace alla difensora per i diritti umani Narges Mohammadi. Qualcuno nel mondo si è svegliato e vede la sofferenza delle donne iraniane; tuttavia, Narges non può ancora uscire dal carcere, nonostante le sue gravi condizioni di salute.
  • In Nicaragua con l’aggravarsi della crisi sociale e politica dei diritti umani, c’è stata una violentissima repressione da parte del governo nei confronti delle persone che se ne lamentavano. Noi abbiamo documentato il caso di Violeta Granera, una signora di 70 anni che è stata condannata dopo un processo iniquo. Quest’anno, il 9 febbraio, è stata fatta uscire dal carcere, espulsa dal suo paese, privata della nazionalità e della pensione di vecchiaia.
  • In Bielorussia le donne che hanno protestato in vista delle elezioni presidenziali sono andate incontro a una dura repressione, sono state minacciate di venir private della custodia dei figli. Ci sono anche dei casi documentati di donne condannate in processi politici, le quali hanno ricevuto delle condanne più lunghe e più pesanti rispetto agli uomini.

In sintesi, le donne sono soggette ad una rappresaglia sproporzionata rispetto agli uomini se rivendicano i loro diritti. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha promosso a gennaio del 2022 un dibattito aperto su come affrontare la violenza contro le donne nei processi di pace e di sicurezza. È emersa la necessità di fare di più per fornire spazi di incontro alla difesa dei diritti umani, ma c’è ancora un forte divario tra intendimenti e quello che si riesce a realizzare. Dal 2018 in avanti un terzo delle donne che sono state invitate a parlare al Consiglio di sicurezza ha subito ritorsioni e minacce da parte dei paesi di provenienza.

Non voglio presentare le donne come vittime da biasimare, mi preme mettere in evidenza che ci vuole un di più di energia, di coraggio, di determinazione, di tenacia, per continuare a portare avanti queste battaglie, nonostante tutti gli impedimenti e le minacce. Le donne non sono vittime, sono una forza. Sappiamo, a proposito di violenza, che nel mondo una donna su tre subisce una violenza fisica o sessuale, nel corso della sua vita, sappiamo che l’Italia non è diversa, il numero dei femminicidi è costante da anni, due a settimana. Il femminicidio è l’uccisione di una donna da parte di un uomo con cui lei ha o ha avuto una relazione o un legame affettivo. Sono crimini che maturano all’interno di una relazione, di solito quando lei decide di chiudere il rapporto. L’impossibilità di accettare la fine di un legame è basata sul sostrato patriarcale, in forza del quale la donna è considerata come possesso dell’uomo, non è un soggetto autonomo e indipendente. Quest’anno abbiamo contato più di cento vittime e ci saranno altri casi, se non si mette mano ad una seria educazione affettiva per tutte e per tutti a partire dalla scuola elementare. Sappiamo per certo che l’inasprimento delle pene non ha nessun effetto dissuasivo. Un altro aspetto sul quale l’Italia si deve adeguare è la definizione di stupro che attualmente è definito come un comportamento connotato da violenza, minaccia e inganno. Amnesty International ha promosso una campagna dal titolo “Io lo chiedo”, con cui chiediamo la modifica dell’articolo 609bis del Codice penale, perché ogni atto sessuale sia punibile se la donna non ha espresso il consenso. Tanti crimini avvengono nell’intimità di una relazione, attraverso la violenza psicologica, non c’è bisogno di minaccia all’interno di una relazione tossica. L’Italia ha firmato la Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne una decina di anni fa, ma non l’abbiamo ancora del tutto attuata, questa modifica del reato di stupro ci farebbe fare un passo avanti. Metà dei paesi europei si sono già adeguati. Il riconoscimento dei diritti di tutti e di tutte è la premessa indispensabile per vivere in una società più giusta e realizzare il sogno di uguaglianza inscritto nella Dichiarazione universale dei diritti umani.

PS: in merito alla campagna “Io lo chiedo”, il link all’appello è: https://www.amnesty.it/appelli/il-sesso-senza-consenso-e-stupro/

Nota: Trascrizione, rivista dall’Autrice, della conferenza tenuta a Brescia il 21.11.2023 su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura, Fondazione Brescia Musei e altri Enti.