Gli ottantacinque anni dello storico Mario Bendiscioli: ha sprovincializzato la cultura italiana

Tematiche: Storia

L’Osservatore romano, 17 aprile 1988.

Nato a Passirano l’8 gennaio 1903, laureatosi in lettere nel 1925 e in legge nel 1934, professore di storia e filosofia nei licei tra il 1926 e il 1945, Bendiscioli fu docente di Storia del Cristianesimo dal 1939 al 1945 e poi di Storia Moderna, a Salerno e Pavia, dal 1952 al 1977. Alla scuola, dunque, Bendiscioli ha dedicato tanti anni del suo lavoro, ai giovani, a fianco dei quali è stato per oltre mezzo secolo. E ad essi sapeva comunicare il suo entusiasmo per la ricerca disinteressata, per lo smascheramento delle menzogne a cui fa ricorso la propaganda, per tutto ciò che esalta la grandezza spirituale e la dimensione interiore della vita. Non ebbe figli, ma egli e la sua meravigliosa consorte furono per innumerevoli giovani padre e madre di squisita delicatezza.

É difficile sintetizzare in poche note lo straordinario contributo recato da quest’uomo alla cultura del nostro Paese e alla formazione delle coscienze; e tuttavia uno sguardo d’insieme ai frutti della sua eccezionale operosità dev’essere portato perché è da essi che si misura non solo l’intelligenza, ma anche la generosità e la lungimiranza di Mario Bendiscioli. Le traiettorie della sua ricerca possono essere così indicate: la storia religiosa del Cinquecento, il dramma della coscienza religiosa tedesca sotto il nazismo, la storia critica della Resistenza e del primo dopoguerra in Italia, il valore della storia e il suo insegnamento. In ciascuno dei quattro campi Bendiscioli ha lasciato il segno. Sul primo tema non si possono non ricordare opere come La riforma protestante (Studium, Roma), L’età della riforma cattolica (nel vol. X della Storia di Milano, Fondazione Treccani) e La riforma cattolica (Studium, Roma). Nella individuazione, per un verso, di nuovi e autentici maestri del pensiero religioso e, per contro, del razzismo nazista come la più spaventosa premessa alla catastrofe, la vicenda dello storico finisce col diventare anche una pagina di storia di una casa editrice, la Morcelliana, che seppe far sua quell’esigenza di rinnovamento e la diagnosi dell’ideologia hitleriana.

Dopo la distruzione da parte dei fascisti del giornale «Il Cittadino di Brescia», il giovane Bendiscioli fu tra coloro che condivisero l’idea di dar vita a una casa editrice, più libera rispetto a un quotidiano e più efficace nel mettere in circolazione il meglio della cultura cattolica italiana ed europea. L’intuizione fu dei padri filippini Giulio Bevilacqua e Giuseppe Cottinelli, di laici come Fausto Minelli, Sandro Capretti, Giuseppe Manziana e del figlio Carlo, già avviato al sacerdozio e amico fraterno di Bendiscioli, il quale ultimo avrebbe recato all’attuazione del progetto la spinta propulsiva del suo fervore intellettuale e la sua conoscenza sia del cattolicesimo tedesco che del mondo anglosassone. Si iniziò così quella felice stagione che vide Bendiscioli consulente editoriale dell’Editrice Morcelliana, dal 1928 al 1955.

Si pensi che negli anni Trenta Bendiscioli, responsabile della collana «Pensiero cattolico moderno», fece conoscere, traducendoli in italiano, autori come Belloc, Considine, Karl Adam, Tilmann, Grabmann, Dessauer, Hindelbrandt, W. Schmidt e, soprattutto, una delle menti più geniali di questo secolo, Romano Guardini. Bendiscioli e la Morcelliana intesero così sprovincializzare la cultura italiana, liberarla dall’assurda clausura in cui tendeva a incapsularla il fascismo, aprendola all’influsso delle avanguardie del cattolicesimo europeo, in particolare di quello tedesco.

E tuttavia era dalla Germania che si annunciava la minaccia più radicale all’essenza stessa della fede cristiana e all’etica che ne consegue. Nel 1933, nel saggio incluso nel volume Romanesimo e germanesimo, Bendiscioli attaccava senza mezzi termini l’antirömische Affekt, il violento complesso antiromano proprio del razzismo pangermanista, ricordando che il rifiuto delle radici storiche della nostra comune civiltà europea univa in un’unica condanna Atene, Roma e Gerusalemme. Per il nazismo che marciava ormai alla conquista del potere, l’antigiudaismo era una specie di atto di lealtà verso lo Stato. Si levò allora contro tale assurdità la voce del Cardinale Faulhaber, l’arcivescovo di Monaco, a difendere a viso aperto nelle prediche d’avvento del 1933 il vincolo che lega Roma cristiana alla Sinagoga ebraica. Faulhaber faceva sue le parole che alcuni decenni prima aveva rivolto agli israeliti il Cardinale Manning: «lo non capirei la mia religione, se non avessi venerazione per la vostra». La Morcelliana fece conoscere immediatamente quelle prediche nella traduzione di Giuseppe Ricciotti. Era quella della Morcelliana una scelta religiosamente limpida; tuttavia va ricordato che in quel momento non era politicamente rischiosa, perché, fin quasi alla vigilia del patto d’acciaio, il fascismo non ostacolò la circolazione di giudizi di dura condanna nei confronti del nazismo antisemita e anticristiano.

Ed è noto che il punto di contrapposizione più critico fra nazismo e fascismo fu toccato con l’assassinio del cancelliere austriaco Dollfuss, nel luglio del 1934. Il dramma dell’Austria commosse l’opinione pubblica europea e, in particolare, quella italiana. Da questo particolare stato d’animo nacquero due volumetti di Bendiscioli che apparvero nel 1935: La vita interiore di Ignazio Seipel, il capo del partito cristiano sociale austriaco spentosi nel 1932, e L’eredità politica di Dollfuss, scritto in collaborazione con A. Tauscher.

Fu però nel 1936 che l’analisi della spaventosa realtà del nazismo registrò un vero e proprio salto di qualità grazie a Germania religiosa nel terzo Reich di Bendiscioli. La vicenda era studiata nel momento stesso in cui andava svolgendosi, grazie alla chiarezza di idee dello storico e alla sua capacità – con risvolti estremamente rischiosi – di procurarsi documenti riservati, di prima mano, provvedendo poi a spedirli in Italia a mezzo della cosiddetta «valigia diplomatica». La edizione italiana del 1936 non incontrò difficoltà, ma queste cominciarono nel 1939 quando ne usci a Londra una traduzione inglese con una apposita integrazione. Frattanto, nel marzo del 1937 con l’enciclica Mit brennender Sorge Pio XI aveva reso pubblica la condanna del razzismo nazista; condanna che precedette quella del comunismo ateo contenuta nella Divini Redemptoris.

Bendiscioli scrisse allora un volumetto che ebbe larghissima diffusione e che reca un titolo emblematico: Neopaganesimo razzista. Si trattava, visto il progressivo cedimento di Mussolini a Hitler, di preparare la coscienza cattolica a opporsi consapevolmente all’introduzione delle leggi antisemite nella legislazione italiana. Quando il peggio accadde, finì – grazie anche all’apporto di Bendiscioli e della Morcelliana – ogni residua illusione nei confronti del fascismo e cominciò un processo di rigetto, irreversibile, generalizzato e – quel che più conta – in nome di valori su cui non si può mai transigere se non si vogliono rinnegare le ragioni stesse dell’essere cristiani. Fu quello il preannuncio, anzi il primo inizio, della Resistenza come rivolta morale e religiosa al disumanesimo nazifascista. Nel periodo 1943-1945 Bendiscioli con molta fortuna riuscì per ben due volte, nell’inverno e nell’autunno del 1944, malgrado il duplice arresto, a far sparire le carte che lo avrebbero compromesso e a esser rilasciato. I collegamenti con la Resistenza bresciana e milanese c’erano; ma il suo vero contributo alla Resistenza egli lo aveva già dato con i libri di testimonianza storica sul nazionalsocialismo, con l’insegnamento nel liceo e all’università, e con un’intensissima, accorta attività pubblicistica in senso nettamente antitotalitario.

L’attività svolta da Bendiscioli gli anni della «ricostruzione» fu intensa e multiforme: Commissario alla scuola per la Lombardia a partire dall’agosto 1945; Commissario aggiunto della ex-GIL in rappresentanza del ministro della P.I. per il biennio 1946-1947; direttore della bella e combattiva rivista «Scuola e vita» per il 1945-1946 (che ebbe vita breve e fu avversata proprio a causa della sua linea politica). Nel gennaio del 1946 Mario Bendiscioli, l’instancabile suggeritore di tante iniziative editoriali negli anni difficili (ancora nel 1944 traduceva e introduceva la poderosa Storia religiosa della Germania dell’Ottocento di F. Schnabel), partecipò alla fondazione – insieme a padre Giulio Bevilacqua, a Michele Federico Sciacca e a Mario Marcazzan – della rivista «Humanitas». Alla rivista, cui fu condirettore dal 1946 al 1951, egli arrecò un contributo essenziale al l’orientamento politico – schiettamente democratico – e alla coraggiosa rivisitazione critica del tragico passato.

Di Bendiscioli si deve ricordare inoltre il ruolo avuto nella formazione dell’Archivio dell’Istituto nazionale per la storia del Movimento di Liberazione in Italia, da lui diretto dal 1949 al 1955, e il magistero universitario. Dalla prima esperienza nacque la più serena ed essenziale opera che ancora oggi il nostro Paese abbia su un periodo tanto discusso, Antifascismo e Resistenza, pubblicata dall’Editrice Studium.

Nel 1963 Bendiscioli, coadiuvato da Roberto Berardi, delineò il suo concetto di storia come scienza e i principi metodologici di più rilevante importanza nel libro L’insegnamento della storia (Le Monnier, Firenze). É un’opera rivelatrice, che costituisce, senza affatto proporselo, il miglior identikit del suo Autore, nemico giurato della «storia di parte» che trasforma una delle più alte discipline, la storia appunto, il cavallo di Troia delle passioni più aberranti. Quarant’anni dopo la prima edizione del 1936, nel 1977, Bendiscioli poté pubblicare «senza ritocchi» Germania religiosa nel terzo Reich, malgrado 1’abbondante pubblicistica del secondo dopoguerra sull’argomento. L’Autore vi aggiunse l’aggiornamento per gli anni 1936-1938, già apportato all’edizione inglese del 1939, e una sua esposizione dal titolo: «Coscienza cristiana contro neopaganesimo razzista», sulla lotta fra le chiese cristiane e il nazismo negli anni 1939-1945. Quest’ultimo capitolo, redatto nel 1946, era apparso in un quaderno del Terzo Programma della Rai nel 1952. Ma l’opera acquistava una sua più alta rilevanza per le mirabili pagine dedicate alla discussione critica della storiografia tra il 1946 e il 1976: una seconda parte che si aggiunge così alla prima, quella della testimonianza sul periodo 1933-1945, a sua conferma e a indicazione del valore universale, per tutto il Cristianesimo e per il futuro dell’umanità, della Resistenza cristiana alla dittatura.

Con la sua opera e con la sua vita Mario Bendiscioli ci ha dato una duplice testimonianza: la prima è che si può essere cristiani in situazioni di disorientamento e di equivoci; 1a seconda, che la sensibilità religiosa e politica non affossa, ma affina il lavoro storico, se lo si vive in primo luogo come un impegno di coscienza. Non è stato il Vangelo a insegnarci che Dio non può essere adorato che «in spirito e verità»?

Pensare che ci siano altre vie per un cristiano impegnato nella ricerca storica sarebbe meschino e blasfemo. É, invece, proprio questo rispondere dinanzi a Dio del proprio lavoro, questa eroica, inflessibile dirittura – alla Bendiscioli – ciò di cui tutti avvertiamo sempre più il bisogno.