I diritti dell’uomo fondamento della pace

Per il ciclo di conferenze “Pace, diritti dell’uomo e sviluppo dei popoli” proposto dal Comune di Bresca – Assessorato ai Servizi Sociali e dalla Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura il 12 ottobre 1984 Peter Benenson, fondatore di Amnesty International, ha parlato sul tema: “I diritti dell’uomo fondamento della pace”.

L’incontro si è dovuto tenere nella Chiesa della Pace a Brescia gremita in ogni ordine di posti, in quanto la Sala Bevilacqua non era in grado di contenere la gran folla intervenuta.

La vita e il percorso del fondatore di Amnesty International
Biografia di Peter Benenson
tradotto da Chiara Panzera

“Aprite il vostro giornale – qualsiasi giorno della settimana – e troverete il resoconto da qualche parte nel mondo di qualcuno che è stato imprigionato, torturato o giustiziato perché le sue opinioni o la sua religione erano inaccettabili per il suo governo. Il lettore del quotidiano si sente un nauseabondo senso di impotenza. Se questo senso di disgusto in tutto il mondo potesse unirsi in una comune azione, qualcosa di efficace potrebbe venire fatto.” “Io sono stato stimolato a fare tutto questo leggendo un articolo riguardo come due studenti portoghesi siano stati arrestati e condannati per aver fatto un brindisi alla libertà in un ristorante di Lisbona. Questo fatto mi ha così fatto arrabbiare che sono salito sulla scalinata della chiesa di San Martin in the Field, fuori dalla Metropolitana e sono andato lassù per vedere cosa potevo effettivamente fare per mobilitare l’opinione mondiale. Sono diventato consapevole che gli stessi avvocati non erano in grado di influenzare sufficientemente il corso della giustizia nei paese non democratici. Era necessario ad un gruppo più ampio che incanalasse l’entusiasmo delle persone in tutto il mondo che erano ansiose di vedere riconosciuto un maggior rispetto per i diritti umani. “una volta i campi di concentramento e le buche dell’inferno del mondo intero erano nell’oscurità. Oggi sono illuminate dalla luce delle candele di Amnesty, la candela con il filo spinato. Quando ho acceso la prima candela di Amnesty avevo in mente un vecchio proverbio cinese: “Meglio accendere una candela che maledire l’oscurità.”
– Peter Benenson

PERSECUZIONE

Innumerevoli persone che fronteggiano persecuzioni in tutto il mondo – persone vive e quelle che devono ancora nascere – hanno motivo di ringraziare Peter Benenson, il fondatore di Amnesty International. Per questo la sua ispirazione fu negli anni ’60 per lanciare quella che verrà subito definita “la più grande pazzia dei nostri tempi”: un movimento mondiale di cittadini che si espongono e si confrontano con le ingiustizie dei governi. Nato il 31 luglio 1921, Peter Benenson era il nipote del banchiere ebreo-russo Grigori Benenson e figlio della notabile Flora Solomon che allevò il figlio da sola dopo al morte del marito John Solomon, colonnello dell’esercito britannico. Fu istruito privatamente da WH Auden e quindi frequentò Eton e Oxford dove ha studiato storia. La inclinazione per le controversie emerse molto presto, quando le sue rimostranze al preside del College di Eton per il cibo cattivo della mensa scolastica sfociarono in una lettera di avvertimento alla madre per le “tendenze rivoluzionarie” del figlio. All’età di sedici anni lanciò la sua prima campagna: per dare il supporto scolastico durante la Guerra Civile Spagnola al neo formato Comitato di Soccorso Spagnolo che stava aiutando orfani di guerra repubblicani. Lui stesso adottò uno di questi bambini pagando per il suo supporto scolastico. La sua concezione riguardo l’imprigionamento e il maltrattamento politico furono ispirati dal “Testamento Spagnolo” di Arthur Koestler che descriveva gli orrori degli incarceramenti e le minacce di esecuzione da parte dei Fascisti. E questa concezione lo portò alla sua prossima campagna: le condizioni degli ebrei che avevano lasciato la Germania di Hitler. Sebbene con qualche opposizione, riuscì a ricavare dalle famiglie dei suoi compagni di scuola la cifra di 4.000 £ per portare due giovani ebrei in Inghilterra, salvando loro molto probabilmente la vita. Dopo aver lasciato Eton aiutò sua madre impegnata politicamente nel trovare alloggio a vari bambini rifugiati che arrivavano a Londra da vari paesi. Dopo la laurea ad Oxford entrò nella British Army dove lavorò nell’ufficio stampa del Ministero dell’Informazione. Mentre era ancora nell’esercito dopo la fine della guerra, studiò legge e lasciò l’esercito per esercitare il praticantato di avvocato. Fece anche parte del Partito Laburista diventando un esponente di spicco della Society of Labour Lawyers.

REPUTAZIONE INTERNAZIONALE

Nei primi anni ’50 il congresso dei sindacati unitari lo mandò in Spagna come suo osservatore ai dibattimenti dei sindacalisti dove rimase sgomento da quanto vide nelle aule dei tribunali ed in prigione. In una istanza egli fu così offeso dal procedimento che mise giù una lista di reclami con i quali si confrontò con il giudice del dibattimento durante la cena. Il dibattimento finì con il proscioglimento degli imputati, un rarità nella Spagna fascista. E grazie a questo tipo di azioni Benenson cominciò ad acquisire una fama internazionale. A Cipro aiutò e avvisò gli avvocati greco-ciprioti i cui clienti erano rimasti imbrigliati nella maglie delle regole britanniche. Lui riuscì a mettere insieme avvocati Laburisti, Liberali e Conservatori e a far mandare osservatori in Ungheria negli spasimi dei crescenti e conseguenti processi del 1956 e anche in Sudafrica dove un più grande processo di tradimento doveva aver luogo. Il successo relativo a questi due schemi di azione portò alla formazione di “Justice”, un’altra iniziativa analoga ad Amnesty International, che ebbe diversi record nei lavori in difesa delle regole determinate dalla legge per più di tre decenni. È stata questa constante attività che permise di mettere le basi per il suo sforzo principale, nel 1961 il lancio di Amnesty International. L’elemento catalizzatore di tutto fu il suo sdegno nel leggere che due studenti a Lisbona erano stati arrestati ed imprigionati per aver brindato alla libertà in un bar. Come lui stesso riferì: “Fu nel 1960 che questi pensieri cominciarono a farsi strada nella mia mente. Fu durante l’anno mondiale per i Rifugiati, il primo di tutti questi anni internazionali. Il primo fu indetto per cercare di svuotare i vari campi per rifugiati presenti in tutta Europa e fu uno straordinario successo. Questo mi fece venire in mente che forse avremmo dovuto avere un altro anno per cercare di svuotare i campi di concentramento.” Così con la pubblicazione di un appello sulla prima pagina del quotidiano Observer intitolato “I prigionieri dimenticati” nacque Amnesty International. Il termine “prigionieri di coscienza” divenne ben presto un’espressione di uso comune e il logo del movimento, una candela circondata dal filo spinato, divenne un simbolo mondiale di speranza e libertà. Nei primi anni Benenson lavorò instancabilmente per il nuovo movimento fornendo gran parte delle risorse finanziarie vitali, andando egli stesso in cerca di paese in paese e giocando una parte in tutte le questioni organizzative. In un’occasione, per riuscire ad entrare in pese particolarmente inaccessibile (Haiti), posò come artista folk inglese.

CONTROVERSIE

Le controversie sono diventate l’occupazione principale di Amnesty con le sue esposti contro gli abusi dei Boss, degli apparati della sicurezza sudafricana che portarono ad attacchi contro il piccolo ufficio di Londra. La rivelazione degli aiuti del governo Britannico per mandare generi di conforto ai prigionieri politici nella Rhodesia del Sud portarono Amnesty International ad aspre critiche al governo. A seguito delle esperienze dei primi giorni vennero forgiati nuovi principi operativi sui quali Amnesty in seguito divenne la principale organizzazione internazionale per i diritti umanitari: imparzialità politica, indipendenza dai governi e rigorosa accuratezza dell’informazione. “A quei tempi stavamo appena mettendo i piedi in acqua e imparavamo strada facendo,” rifletteva Benenson. “Abbiamo provato ogni forma di pubblicità e fummo molto grati all’aiuto esteso dei giornalisti e dei circuiti televisivi in tutto il mondo i quali non ci fornivano i nomi dei prigionieri sparsi per il mondo, ma anche davano spazio alle storie dei prigionieri quando ne erano in grado. È stata la funzione pubblicitaria di Amnesty che ha reso il suo nome noto così diffusamente e non solo tra i lettori, ma anche tra i governanti, ed è questa la cosa più importante.” Nel 1966 una crisi ancora più grande eruppe attorno ad Amnesty International riguardo ad un rapporto sulle torture delle forze britanniche sui sospetti di Adeni. Benenson dichiarò che l’organizzazione venne infiltrata dalla intelligence britannica e avrebbe dovuto spostare il quartier generale di Amnesty in un paese neutrale. Una indagine indipendente non supportò questa sua richiesta e si ritirò temporaneamente dall’organizzazione per dedicare se stesso ad un mondo privato di preghiera e di scrittura: lui fu un devoto convertito al cattolicesimo. Ma non smise di lottare per un mondo migliore. Fondò una associazione per le persone che soffrono di celiachia, una condizione di cui soffriva pure lui, con lo scopo di diffondere informazioni al riguardo. Negli anni ’80 diventò il presidente della neo-costituita Associazione dei Cristiani Contro le Torture e nei primi anni ’90 organizzò aiuti per gli orfani della Romania di Ceauseuscu.

ENTUSIASMO

Benenson però non perse l’entusiasmo per Amnesty International e con la nomina a segretario generale svedese di Thomas Hammarberg alla metà degli anni ’80 ritornò a coprire un ruolo attivo all’interno del movimento come portavoce e per partecipare alle varie campagne. Non sempre comunque condivideva la linea politica adottata dall’associazione: ad esempio disapprovò pubblicamente la decisione di non adottare Mordechai Vanunu (l’israeliano imprigionato per aver reso pubblico il programma nucleare del suo paese) come prigioniero di coscienza. Lui fu il primo ad utilizzare le parole che poi si trovarono stampate su magliette, poster e cartoline in dozzine di lingue diverse in tutto il mondo: “La candela non arde per noi, ma per tutti quelli che non siamo riusciti a far uscire di prigione, per coloro che sono colpiti sulla via per la prigione, che sono stati torturati, sequestrati, dispersi. La candela arde per tutto questo…”. Il 10 aprile 2001 ricevette il premio del Mirror Pride of Britain Lifetime Achievment. Accettò questo premio per la presenza di Amnesty International in una trasmissione televisiva trasmessa da ITV eseguita da circa 9 milioni di persone. Per celebrare il 40esimo anniversario della fondazione di Amnesty International, Peter Benenson disse: “In 40 anni di attività Amnesty International ha assicurato diverse vittorie. I suoi archivi sono pieni di lettere di prigionieri di coscienza o vittime di torture che ringraziano l’organizzazione per aver fatto la differenza. La tortura è adesso bandita da accordi internazionali. Ogni anno sempre più paesi aboliscono la pena di morte. Il mondo presto avrà una Corte Criminale Internazionale che sarà in grado di assicurare alla giustizia coloro che sono accusati dei crimini peggiori. La sola esistenza della Corte diventerà un deterrente per molti crimini. “Ma i cambiamenti sono ancora grandi. La tortura è bandita ma in due terzi del mondo viene praticata segretamente. Troppi governanti continuano ad approvare incarcerazioni sbagliate, morti o sparizioni commesse impunemente dai propri ufficiali. “Coloro che oggi continuano a provare un senso di impotenza possono fare qualcosa: possono pupportare Amnesty International. La possono aiutare a combattere per la llibertà e la giustizia. “Nel 1961 scrissi “l’oppressione delle opinioni di centinaia di anni hanno portato all’emancipazione degli schiavi”. L’oppressione delle opinioni serve ad aiutare Amnesty International a raggiungere il suo utlimo obiettivo: ritirarci dagli affari. Solo allora, quando l’ultimo prigioniero di coscienza sarà liberato, quando l’ultima camera di tortura verrà chiusa, quando la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani delle Nazioni Unite sarà realtà per le persone di tutto il mondo il nostro lavoro sarà finito.”

Note: Tradotto da Chiara Panzera – pubblicato 2019 su www.peacelink.it