I diritti dell’uomo fondamento della pace

Spirito eterno della mente senza catene,
tu risplendi nelle prigioni, tu sei la libertà.

Questi versi di Byron esprimono l’ansietà che tanti di noi provano per la sofferenza di innumerevoli migliaia di uomini e donne imprigionati illegalmente. Dico “illegalmente” perché l’articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo recita:

“Ognuno ha il diritto alla libertà di opinione ed espressione, diritto che comprende la libertà di avere le proprie idee senza interferenze”.

Tuttavia, nonostante la Dichiarazione universale, nella maggior parte dei 153 paesi membri delle Nazioni Unite, l’espressione di idee contrarie alla politica del governo conduce alla repressione, alla carcerazione e nei casi peggiori all’esecuzione capitale. Che ne è stato delle nobili intenzioni e delle grandi speranze dei firmatari della Dichiarazione generale del 10 dicembre 1948? Gli statisti del mondo cominciarono subito ad avere ripensamenti. Quando due anni più tardi le rappresentative del Consiglio d’Europa s’incontrarono a Strasburgo per redigere la Convenzione Europea dei Diritti Umani, il diritto alla libertà d’espressione venne molto modificato. Sentite questo comma:

“L’esercizio di questa libertà, poiché comporta doveri e responsabilità, può essere soggetto alle formalità, condizioni, restrizioni e penalità prescritte dalla legge e necessarie, in una società democratica, negli interessi della sicurezza nazionale, dell’integrità territoriale o dell’ordine pubblico, per prevenire disordini o crimini, per la protezione della salute o della morale, per la protezione della reputazione o dei diritti degli altri, per prevenire la rivelazione di informazioni ricevute in confidenza, per il mantenimento dell’autorità e dell’imparzialità giudiziaria”.

In altre parole, uno stato conserva il diritto di limitare la libertà di espressione in quasi tutti i modi che sceglie. Se questo potere non fosse sufficiente, l’articolo 15 della Convenzione dà ad uno stato il potere di soprassedere ai suoi obblighi in un periodo di emergenza pubblica riguardante la vita della nazione. Non è necessario dire che non esiste una simile Convenzione dei Diritti Umani nell’Europa orientale, dove il potere dello stato è completamente privo di limiti. La situazione in Africa e nella maggior parte dell’Asia o dell’America Latina è addirittura peggiore, poiché molti governi sono passati all’uso di squadre omicide per disfarsi dei loro oppositori.
La nascita di Amnesty International nel 1961 fu un tentativo di coagulare l’opinione pubblica in favore dei prigionieri dimenticati, i cui nomi non erano stampati sui giornali. Quando il movimento fu fondato, molti di questi prigionieri dimenticati, che giacevano in carcere da lunghi anni, erano in Europa, sotto le dittature di Franco e Salazar ed in Unione Sovietica. Molto prima che Franco e Salazar morissero, la pressione prolungata dei gruppi di adozione di Amnesty aveva assicurato il rilascio di numerosi prigionieri politici spagnoli e portoghesi. Pochi anni più tardi, quando gli infami colonnelli presero il potere in Grecia, Amnesty fu responsabile in gran misura della espulsione della Grecia dal Consiglio d’Europa. Ciò condusse all’ostracismo internazionale del regime.
La situazione dei prigionieri nell’Europa orientale è molto più complicata. A grandi linee essi sono così classificabili: gli indipendentisti nazionali come gli ucraini, le minoranze religiose come i pentecostali e gli ebrei, e i dissidenti, che desiderano cambiare la natura del regime. Sebbene il governo rumeno recentemente si sia mostrato più disposto ad allentare la sua repressione nei confronti della minoranza ungherese in Transilvania, l’Unione Sovietica non ha dato segni di voler fermare la sua repressione del movimento nazionalista ucraino. Un certo numero di cristiani ed ebrei sono stati rilasciati dopo campagne di pressione internazionale, alla condizione di lasciare l’Unione Sovietica. La soluzione dell'”esportare” dissidenti fu sviluppata venti anni fa dalla Germania Orientale, il cui governo aveva scoperto che poteva guadagnare valuta pregiata vendendo il rilascio di prigionieri politici alla Germania Occidentale. L’Unione Sovietica fino ad ora non ha cercato di barattare i suoi prigionieri per denaro, ma è stata parte interessata in parecchi accordi di scambio, grazie ai quali leader comunisti o agenti politici detenuti in Occidente sono stati scambiati con prigionieri detenuti in Unione Sovietica. In altri casi, negli anni recenti, si sono semplicemente sbarazzati di dissidenti scomodi, come Solzenicyn, imbarcandoli su qualche aereo per l’Occidente. L’organizzazione della pressione internazionale, che è la tecnica usata da Amnesty International, ha avuto senz’altro più successo in Europa che nel terzo mondo. Gli stati comunisti si sono mostrati sensibili a prolungate campagne consistenti nell’invio di lettere. Quelli che in passato pensavano che la pressione occidentale avrebbe danneggiato le prospettive dei prigionieri negli stati comunisti, alla fine sono stati costretti ad ammettere che niente aiuta tanto un prigioniero quanto il sapere che il suo benessere quotidiano è attentamente controllato in Occidente. Anche le telefonate ai parenti sono molto utili soprattutto perché vengono registrate dalle autorità comuniste. Si sa che articoli di giornale, soprattutto quelli su testate liberali e di sinistra, aiutano i prigionieri. Gli appelli mandati dai sindacati e da settori del partito comunista sono i più efficaci. Gli stati europei si preoccupano dell’immagine che essi presentano alla comunità internazionale.
Un paese come l’Iran ha abbandonato da tempo ogni interesse riguardante la sua reputazione, eccetto che quella di stato leader dell’Islam. Sino alla fine del 1982, vi erano state 4.605 esecuzioni registrate, da quando l’Ayatollah Khomeini aveva assunto il potere; da allora, approssimativamente altre 2000 persone sono state uccise. Quelli che si trovano in carcere sono tenuti in condizioni terribili, molti di essi temono ogni notte di essere impiccati senza avviso alcuno il giorno successivo. Durante la tortura è richiesto che le disgraziate vittime declamino slogan islamici, altrimenti la pena che sta venendo loro inflitta viene aumentata. Il colmo dell’ironia è che coloro che accusarono lo Scià di arresti e torture siano colpevoli di una disumanità anche peggiore.
La Turchia, che sulla carta geografica è situata accanto all’Iran, vorrebbe essere chiamata stato europeo. Difatti la Turchia è un membro del Consiglio d’Europa. Tuttavia i metodi con cui l’attuale governo turco tratta i partiti politici che governarono il paese precedentemente non sono del tutto dissimili da quelli usati in Iran. Il numero dei prigionieri politici alla fine del 1982 era di 23.872. Molti di essi appartengono a partiti di sinistra e ad organizzazioni in favore della pace, ma senz’altro non tutti. Una buona parte dei prigionieri è stata torturata, perlomeno alla pianta dei piedi, altri con metodi più crudeli. E’ difficile dire con sicurezza quanti sono morti sotto la tortura, ma la cifra di 50 non sarebbe molto imprecisa. Cosa si può fare per questo paese? Delegazioni parlamentari di diverse nazioni dell’Europa occidentale hanno esaminato la situazione e fatto rapporti critici. Amnesty International ha inviato una missione la quale ha scoperto che, a dispetto dei dinieghi ufficiali, la tortura continuava ad essere praticata. Questo non è forse un caso adatto per una campagna concertata di stampa e televisione? Negli ultimi due anni una campagna simile in Occidente ha causato un grande imbarazzo al Governo polacco. Le notizie continue e dettagliate sugli arresti dei sostenitori di Solidarnosc è stato il fattore che maggiormente ha persuaso le autorità polacche ad allentare la repressione e che le ha ultimamente portate alla recente amnistia dei prigionieri politici. Tuttavia, per quanto brutta fosse la situazione in Polonia dopo la dichiarazione della legge marziale, il livello di incarcerazione non era paragonabile a quello della Turchia. Anche in Polonia si fa uso della tortura, ma non su vasta scala.
Ci vorrebbe troppo tempo per descrivere in dettaglio la repressione dei prigionieri politici che ha luogo in più di cento paesi e so che devo concentrarmi sui punti cruciali. Accanto alla Turchia e all’Iran si trova la Siria che, grazie all’appoggio sovietico, è diventata un importante fattore nell’equilibrio politico del Medio Oriente, dal momento che esercita un incontrollabile dominio sul Libano. Il suo governo è nelle mani di una minoranza razziale, gli Alawi, che sono circa il tredici per cento della popolazione. Il presidente Assad ha imposto il suo ruolo personale implacabilmente, senza riguardo per la vita umana. Quando pochi anni fa ci fu una protesta organizzata nella città di Homs, all’esercito siriano fu ordinato di sparare a vista e si stima che non meno di ventimila persone vi persero la vita. Da allora l’opposizione al regime è stata clandestina, ma i metodi della repressione sono diventati, se possibile, ancora più brutali. Il regime ora fa ricorso alla tortura su vasta scala. Amnesty International considera che non meno di 23 tipi diversi di tortura vengono inflitti in 15 prigioni e centri di detenzione.
Anche il trattamento degli arabi in Israele è motivo di grave ansietà. Molte centinaia di arabi libanesi sono tenuti in campi di concentramento, sotto la protezione della Croce Rossa Internazionale, poiché il governo israeliano non li riconosce come prigionieri di guerra. Le leggi che si applicano agli arabi sulla riva occidentale del Giordano sono completamente diverse da quelle che si applicano nel resto del paese. Essi tengono la popolazione araba in uno stato di soggezione militare, dando il potere a qualsiasi poliziotto di arrestare qualsiasi arabo senza ordine di cattura e di trattenerlo per sette giorni senza portarlo davanti alla corte. Non si possono pubblicare giornali senza permesso ed ogni notizia, in ogni emissione, deve essere sottoposta a censura. Un gran numero di libri è vietato. Un palestinese, impegnato peraltro nel movimento per la riconciliazione di ebrei ed arabi, è stato rilasciato alla fine di una condanna a 15 anni di prigione e anziché essergli garantita la libertà dopo una così lunga detenzione, è stato esiliato in un villaggio circondato di filo spinato, al confine con la striscia egiziana di Gaza, dove gli sono vietati contatti esterni di ogni tipo. Questi atti ufficiali non sono l’unico abuso di potere; c’è un’ostilità militante verso gli arabi che permea parti della società israeliana. Il 27 aprile 1984 un assistente di fisica all’università araba è stato prelevato dalla sua casa da uomini non identificati e più tardi è stato trovato strangolato. Due anni fa i sindaci di tre città arabe furono fatti saltate per aria da esplosivi. Più drammatica ancora è la situazione in Sudafrica.
In questa zona un gruppo potente e sofisticato di immigrati sta combattendo per mantenere il suo dominio in un paese che precedentemente apparteneva alla popolazione indigena. I sudafricani bianchi sono solo un quarto del numero dei sudafricani negri. I bianchi coltivano il Sudafrica da trecento anni, mentre molte delle tribù negre migrarono dall’Africa Centrale nell’ultimo secolo. La differenza rispetto a Israele appare evidente: in Israele gli ebrei formano i due terzi della popolazione e, sebbene la maggior parte sia arrivata solo negli ultimi sessant’anni, la rivendicazione ebraica della terra di Sion è affermata profondamente nella loro religione. Storicamente è un fatto che duemila anni fa la Palestina era un territorio ebraico. Il trattamento dei negri del Sudafrica ha portato ad una condanna unanime, cosicché il Sudafrica è stato escluso dalle innumerevoli organizzazioni internazionali, non ultime le Olimpiadi. Molto lentamente, alcune delle meschine restrizioni contro i negri sono state tolte; si è fornito denaro per costruire scuole e colleges per i negri. Ma queste piccole concessioni dissimulano soltanto la gravità di ciò che la minoranza bianca sta facendo ai negri. Tutti quei negri che hanno lavori non essenziali nelle città bianche, e cioè la grande maggioranza, stanno venendo sradicati dalle loro baraccopoli e villaggi e mandati in quelle che sono chiamate le loro “patrie”. Questi territori, noti generalmente al mondo come Bantustans, sono piccole strisce di terra, isolette sparse qua e là nel grande mare delle fattorie bianche, che sono state consegnate ai negri come cosiddetti stati indipendenti. L’intenzione è di forzare tre quarti dei sedici milioni di negri del Sudafrica a diventare cittadini di questi territori tribali la cui area totale è solo il tredici per cento del paese. Agli uomini sarà permesso di viaggiare fuori da questi territori tribali per lavorare nelle miniere e nelle industrie del Sudafrica bianco, a patto che le loro famiglie rimangano nel territorio assegnato e che essi vi facciano ritorno ogniqualvolta sono disoccupati. Gli uomini che non riescono a trovare lavoro al di fuori del loro territorio assegnato sono molti, poiché anche il Sudafrica si trova davanti alla recessione. In questi territori assegnati il suolo è così povero e sfruttato che essi non hanno in effetti speranza di guadagnarsi da vivere. Così il Sudafrica, usando la scusa di dare l’indipendenza ai negri, ne sta condannando milioni all’inattività e alla fame. Rapporti recenti mostrano che in nessuna parte dell’Africa il livello di vita è più basso che nel Bantustan.
Ad eccezione dell’Egitto, ora non c’è stato nell’Africa che abbia un sistema di governo che si avvicini alla democrazia. Forse il sistema monopartitico è più adatto alle tradizioni africane, ma ciò che preoccupa è la nascita di governi militari nella parte settentrionale e centrale del continente. La scusa solita, addotta dai capi militari che prendono il potere, è la corruzione del precedente regime. Questo potrebbe essere un motivo plausibile, se i regimi militari non mostrassero essi stessi di essere colpevoli della stessa identica corruzione che si erano impegnati ad eliminare. Ci sono due governi militari in Africa che si sono resi colpevoli di atti di crudeltà particolarmente aberranti. La Libia, retta dal colonnello Gheddafi, sta mandando a morte senza giudizio tutti gli oppositori del regime. Fra il 3 e il 7 giugno 1984, sette oppositori sono stati impiccati pubblicamente accompagnati dall’annuncio di Gheddafi che stava “liberando il paese da cani rognosi e traditori”. Nel Sudan il generale Numeiri ha introdotto il codice penale islamico che gli permette di impiccare in pubblico i suoi oppositori. La parte meridionale del paese, non musulmana, è in aperta rivolta contro Numeiri e i prigionieri che vengono catturati non hanno da aspettarsi alcuna grazia. Questi due stati, Libia e Sudan, sono esempi di governi militari; essi spiegano perché i sostenitori dei diritti umani devono sempre lavorare per il ritorno di un governo civile.
L’America Latina è quella parte del mondo nella quale gli abusi nei confronti dei diritti umani sono peggiori. Fortunatamente la terribile repressione in Argentina è giunta ad un termine con l’elezione di un governo civile sotto Alfonsin. C’è persino la speranza che alcuni dei militari, responsabili della scomparsa di più di cinquemila uomini e donne, siano portati in tribunale. Ma la vita di quelli che sono stati sottoposti a terribili torture non sarà mai più la stessa. Alcuni sono lesi permanentemente, altri rimarranno danneggiati psicologicamente. Un aiuto che deve essere conosciuto è il fondo che, soprattutto su richiesta di Amnesty International, le Nazioni Unite hanno istituito per pagare un indennizzo alle vittime della tortura. Forse ancora più utile è il centro ospedaliero che alcuni medici, che lavoravano per Amnesty, hanno istituito a Copenhagen. Qui, grazie ad un esperto aiuto medico e psicologico, le vittime della tortura possono lentamente imparare a reinserirsi nella vita. La repressione in Cile continua senza diminuzione anche se il generale Pinochet parla di indire elezioni. Migliaia di sindacalisti sono stati arrestati e le loro manifestazioni sono state disperse. Le incursioni nelle baraccopoli in cui vive la maggior parte degli operai continuano sfacciatamente. Ugualmente drammatiche sono le condizioni dell’Uruguay, dove il capo dell’opposizione, Wilson Ferreira, fu arrestato non appena mise piede sul suolo del paese. Il 15 aprile il dr. Vladimir Roslik fu arrestato dopo lunghi anni di attività in una cooperativa di immigrati russi. Secondo le autorità, egli morì di arresto cardiaco durante un interrogatorio; il suo faceva parte di 72 arresti contemporanei. Da una seconda autopsia non ufficiale risulta invece, senza alcun dubbio, che morì sotto la tortura. Nel maggio nove prigionieri furono rilasciati dopo dieci anni di detenzione in baracche militari, ma solo per essere trasferiti in baracche normali. L’Uruguay è oggi il più tremendo dei paesi in Sud America per i metodi di oppressione dell’uomo. La nascita degli “squadroni della morte”, che hanno perpetrato innumerevoli omicidi in Sud America, avvenne ad Haiti dove “papa Doc” Duvalier, il padre del tiranno attuale, istituì i poliziotti in borghese Tanton Macoutes con il duplice scopo di eliminare i suoi oppositori ed imporre tasse illegali come quelle della mafia. L’odiosa pratica si diffuse nel continente e fu usata da unità paramilitari in Brasile e Argentina. Attualmente i due paesi che praticano su vasta scala queste esecuzioni non ufficiali sono il Salvador e il Guatemala. Fu forse una fortuna che fra le vittime degli “squadroni della morte” in Salvador ci fossero quattro suore statunitensi. L’eco dell’assassinio, infatti, fu tale che il presidente Duarte si è impegnato a sopprimere gli “squadroni della morte”. Questi però continuarono a praticare la loro carneficina autorizzata in Guatemala, dove il cambiamento del presidente non ha portato alcuna differenza riguardo a questo problema.
Ci si può chiedere che effetto può avere Amnesty International nella lotta in difesa dei diritti dell’uomo e contro la pratica della tortura che è così diffusa nel mondo. La risposta è: “una costante educazione dell’opinione pubblica”. Nel corso dei suoi 23 anni di sviluppo, Amnesty è diventata un’organizzazione mondiale con 500 mila membri e sostenitori in 150 paesi. Molti di essi sono organizzati in gruppi che “adottano” tre detenuti per reati d’opinione di diverse parti del mondo. Essi organizzano campagne locali a favore dei loro adottati; hanno l’appoggio dei loro governi locali e prendono contatto con i governi centrali; ugualmente importanti sono gli invii continui di lettere alle ambasciate e ai capi dei governi responsabili. Essi inoltre scrivono al prigioniero per dargli appoggio e speranza, contattano la sua famiglia e, dov’è il caso, mandano denaro per i loro bisogni. Contemporaneamente la sede centrale di Amnesty, che è a Londra, organizza campagne per illuminare l’opinione pubblica attraverso la stampa, la radio e la televisione, su alcune delle mostruosità che stanno venendo perpetrate nel mondo. Amnesty, ad esempio, ha appena lanciato una campagna sulla tortura in Siria, basata su un rapporto di 65 pagine sui casi esaminati da una sua missione che ha visitato la Siria. L’anno scorso una campagna simile sugli squadroni della morte, insieme ad una conferenza sulle esecuzioni capitali senza processo, ebbe un profondo effetto sull’opinione mondiale. Attualmente in Europa c’è un crescente movimento di opinione che si oppone sia all’uso che al possesso di armi nucleari. Questo è oggi il problema più importante e che più divide. Esso separa i governi da un gran numero di elettori.
Se mai fu necessario il diritto alla libera espressione, ancora di più lo è oggi. Ed è precisamente perché noi in Europa abbiamo questa consapevolezza che dovremmo consacrare parte dei nostri pensieri, delle nostre risorse, delle nostre attività ed energie per aiutare quelle persone al di fuori dell’Europa a cui è negato non solo il diritto ad esprimersi ma, troppo spesso, anche il diritto alla vita. Il mondo è unico e ogni uomo è mio fratello.

NOTA: testo, non rivisto dal’Autore, della conferenza tenuta a Brescia il 12.10.1984 su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.