Il problema del male in Leibniz

Autori: Poma Andrea

Nella galleria dei ritratti dei filosofi, sul problema del male, Leibniz è sempre collocato tra i cattivi, ovvero quelli che non hanno capito niente, che si sono fatti beffe della serietà del problema, che hanno annullato il male. Questo è ingiusto, non solo nei confronti di Leibniz, ma perché non è vero ed è quello che cercherò di dimostrare in questa lezione. Leibniz si occupa a lungo di questo problema; il luogo per eccellenza in cui se ne occupa è il libro pubblicato nel 1710 Saggi di teodicea sulla bontà di Dio, la libertà dell’uomo e l’origine del male. Del male Leibniz doveva occuparsi perché la teodicea, parola da lui inventata, può significare dottrina della giustizia di Diopure giustificazione di Dio. La teodicea di Leibniz è sia una dottrina della giustizia di Dio, sia una giustificazione di Dio. Fare una giustificazione di Dio può sembrare una stupidaggine, ma il punto è che Leibniz è mosso a scrivere questi due saggi perché ci sono, nel dibattito culturale del suo tempo, coloro che accusano Dio di essere ingiusto, perché c’è il male nel mondo. La figura principale a cui egli fa riferimento è Pierre Bayle, filosofo, uno dei grandi protagonisti dell’Enciclopedia, testo principe e monumentale dell’illuminismo francese, di cui Bayle ha scritto molte voci. Bayle svolge lunghi discorsi per dimostrare che, se noi ragioniamo, Dio è responsabile di tutto il male che c’è; poi conclude che la ragione non può pervenire a nulla di giusto. Noi dobbiamo credere che Dio è buono per pura fede e così assume l’atteggiamento fideistico: nonostante la ragione ci dica il contrario, noi dobbiamo credere che Dio è buono. I suoi contemporanei ritenevano che questo fosse un po’ un camuffamento, che in realtà Bayle fosse un libertino camuffato da fideista, e che quello che lui pensava veramente fossero le argomentazioni, cioè che la ragione ci dice che non può esserci un Dio buono con tutto il male che c’è nel mondo, ma dato che questo gli avrebbe causato problemi con la censura, conclude affermando che credendo in Dio bisogna buttare a mare la ragione. Alla fine, fideista e libertino non sono tanto diversi, ambedue della ragione non se ne fanno niente; invece l’arma di Leibniz era la ragione. Leibniz era un filosofo razionalista, che procedeva solo con la ragione. Non voglio dire che solo la ragione può dirci qualche cosa di interessante su ciò che ha senso, ci sono mille altre vie, però la filosofia ha quella specifica via, o la filosofia è un pensiero razionale o non è filosofia, opinione anche di Leibniz, Kant e tanti altri. Leibniz fa una giustificazione di Dio perché c’è qualcuno che lo accusa e se c’è qualcuno che lo accusa, quelli che credono in Dio hanno il dovere di portare degli argomenti a sua difesa, come se fosse un tribunale, i sostenitori di Dio non possono stare zitti. È difficile difendere Dio, tanto più nei termini in cui Leibniz pone la questione: come può Dio aver permesso il male nel migliore dei mondi possibili. Dio ha creato questo mondo, i mondi possibili sono infiniti, sono un’infinita serie di serie infinite, non si pensi tanto a infinite rette parallele, ma ad una ramificazione: in ogni istante, per ogni dettaglio si ramificano infiniti mondi, sono tutti possibili, ma Dio ha creato il migliore e questo Leibniz lo dice a priori. Dio ha creato il mondo migliore possibile perché Dio è buono, saggio e potente e quindi l’essere perfettamente buono, saggio e potente non può che aver creato il miglior dei mondi possibili, in caso contrario non avrebbe creato nulla. Dio non può aver creato un mondo peggiore di quello che poteva essere, e poiché il mondo c’è, questo è il migliore dei mondi possibili. Leibniz, come tutti i geni, non cerca di svicolare, quando parla di migliore dei mondi possibili vuole proprio indicare il mondo ottimo: si potrebbe pensare che lo intendesse come un valore comparativo, ma non è così, Leibniz vuole indicare il mondo ottimo dentro al quale c’è il male. La questione è grave, come può Dio aver creato il migliore dei mondi possibili e tuttavia comprendere in esso il male? Questo crea problema, e Leibniz fu subito criticato moltissimo. Voltaire scrive nel 1759 il Candido, personaggio al quale capitano tutte le disgrazie immaginabili, ma conclude che tutto è bene nel migliore dei mondi possibili. Il libro è scritto con sarcasmo, è un attacco all’ottimismo scandaloso e Voltaire, scrivendolo, pensava in primo luogo a Leibniz, sbagliando, perché la frase che lui fa ripetere al Candido “tutto è bene nel migliore dei mondi possibili”, Leibniz non l’ha mia scritta e non l’avrebbe mai scritta. È una frase scritta da un altro, Alexander Pope, il quale nel suo An Essay on Man del 1733 scrive “tutto ciò che è, è bene, nel migliore dei mondi possibili”. Leibniz non pensa questo, è consapevole che nel migliore dei mondi possibili ci sia il male. Leibniz non è un ottimista scriteriato, non è il Candido, e scrive la teodicea proprio perché c’è il male nel migliore dei mondi possibili. Il problema è scrivere di questo argomento, non dimostrare com’è possibile che Dio abbia permesso questo: Leibniz lo chiarisce fin dall’inizio del suo libro e dice continuamente che non si può dimostrare, perché è un mistero. Questo concetto di mistero è importante, pur essendo lui un razionalista, lo rivisita in un significato del tutto originale. Mistero per Leibniz è la verità contraria alle apparenze, non le apparenze contrarie alle verità, mistero è una verità che non concorda con le apparenze e quindi costituisce una posizione critica verso le apparenze. Il mistero dunque non è un enigma, è una presa di posizione critica nei confronti dell’apparenza che dice la verità, la verità contesta le apparenze. Che questo sia il migliore dei mondi possibili è una verità a priori, ma è un mistero e noi non possiamo dimostrarlo. Leibniz può portare degli argomenti di tipo retorico, apologetico contro gli accusatori di Dio e lo fa ampiamente e questa non è la parte più originale, raccoglie tutta l’argomentazione apologetica del suo passato e del suo presente, tutta l’argomentazione tomistica, scolastica, come si fa in una causa, sono tutti argomenti che lui prende dalla tradizione. Successivamente fa un’analisi sul piano metafisico di come è possibile accettare razionalmente, che ci sia il male nel migliore dei mondi possibili. Cito un’immagine che lui porta in un altro problema, il rapporto tra la ragione e la fede: è come se ci fosse una città e il nuovo principe manda il suo delegato a governare quella città, il principe è Dio, il delegato è la Sacra Scrittura, gli abitanti della città che cosa fanno se sono ragionevoli? Non lo tengono fuori dalle mura, ma nemmeno accettano di concedergli il potere, lo fanno entrare, controllano tutti i suoi documenti e le sue autorizzazioni e quando hanno controllato e visto che è effettivamente legittimato a fare quello che dice gli obbediscono, atteggiamento dell’accettazione razionale. Vediamo ora brevemente quali sono gli argomenti con cui Leibniz, non solo difende Dio contro le accuse, ma costruisce un’accettazione razionale del mistero che questo è il migliore dei mondi possibili, anche se contiene il male.

Che cos’è il male? Leibniz distingue tre forme del male: il male metafisico, il male morale e il male fisico. Il male fisico è il dolore, il male morale è la colpa, il male metafisico è la finitudine delle creature, tutte le creature di Dio sono esseri finiti. La trattazione del male fisico è la parte che ha fatto più problema ai critici, perché Leibniz affronta questo tema senza troppa preoccupazione e questo a noi sembra strano, perché nella nostra cultura  edonistica il male è il male fisico, psichico. Per Leibniz e i suoi contemporanei non era esattamente così. Nel grande classico di Paul Hazard La crisi della coscienza europea (1935) c’è un capitolo dedicato al male fisico, il quale dimostra che fino al periodo tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo le popolazioni europee non sentivano in modo così scandaloso il male fisico: era questione quotidiana, naturale, sociale, c’era una sua accettazione maggiore di quella che c’è nella cultura attuale. Hazard precisa che proprio negli anni in cui opera Leibniz si assiste all’inizio di una profonda trasformazione della cultura, che è ben più complessa e radicale e riguarda proprio la sensibilità al male fisico. Non è dunque strano che per Leibniz il male fisico non sia il problema più significativo, esso è innanzitutto il problema delle pene fisiche dell’inferno e, per il resto, questo male è effetto del male morale, è la colpa che produce il male fisico, anche se non per forza la colpa del medesimo soggetto. Siamo noi peccatori che introduciamo nel mondo il male fisico. A questo riguardo non bisogna dimenticare che quando nel 1755 avvenne il terribile terremoto a Lisbona, per cui in pochi minuti un intera città viene distrutta da un terremoto, si sviluppò un grande dibattito in tutta Europa al quale presero parte le migliori menti. Kant disse che se si fossero preoccupati di costruire meglio le case ci sarebbero stati meno danni e quindi dire che il male fisico è effetto del male morale non è una cosa poi cosi scriteriata. Non significa che tutti gli eventi maligni naturali dipendono da qualcuno che li ha voluti, però poniamoci il problema: quanti ne potremmo evitare se noi agissimo per bene? L’altro suo argomento – tradizionale, un po’ retorico -, ripreso da Tommaso, è che Dio non produce il male fisico, ma lo permette e, se lo permette per i giusti, è perché poi produrrà per loro un bene migliore. Per il male di colpa, il male morale, il peccato, Leibniz dice che la causa è l’uomo, non è Dio. L’obiettore ha facile gioco, si chiede perché Dio lo permette? Leibniz dice che permettere non è lo stesso di volere, argomento che comunque rimane debole perché se lo permette poteva impedirlo e allora perché non lo ha impedito? Nonostante che ti sembri impossibile, nonostante le apparenze, la tua fede razionalmente accettata ti dice che nonostante il male questo è il mondo migliore. C’è un passaggio molto bello dove ad uno dei suoi interlocutori, che insiste su questo argomento, Leibniz, come se perdesse la pazienza, risponde che “Dio non vuole peccare, non vuole produrre il peccato, ma vuole che esista tu, cioè colui del quale sa che peccherà, poiché sapeva che il tuo peccato si convertirà nel meglio”. Gioco sporco di Leibniz, ma efficace. Quando ci scandalizziamo del male del mondo, pensiamo sempre al male che fanno gli altri, allora Leibniz afferma che se Dio non avesse permesso il male, l’interlocutore non esisterebbe in quanto cattivo e peccatore: ringrazia Dio che ha lasciato il male nel mondo, perché ha fatto spazio a te, ti ha lasciato spazio nel mondo. Buon modo di ribattere a chi troppo facilmente affronta il problema morale del male sempre dal punto di vista del male degli altri. Sul male metafisico si sono scritte le più maligne inesattezze. Leibniz dice che il male metafisico è l’origine del male morale e del male fisico. Il male metafisico è la finitezza creaturale, l’uomo in quanto creatura è finito e quindi imperfetto e questo dal punto di vista metafisico, ontologico, è un male, perché tutta l’ontologia classica si fonda su dei pilastri, tra cui troviamo l’identità tra Essere e Bene. Essere e Bene sono identici: dunque, tutto ciò che non è perfetto, non ha la pienezza dell’Essere, è privo di qualcosa dell’Essere e quindi del Bene. Il male è la privazione del bene, privatio boni, tradizione che parte da Plotino. Tutti gli enti che non siano l’Essere perfetto, essendo imperfetti, hanno in sé del male. Leibniz fa confusione su questo, perché Agostino aveva fatto una distinzione, passata poi a tutta la scolastica, tra la privatio boni debiti e la privatio boni indebiti, il male è privazione del bene, ma c’è una differenza tra l’essere privati di un bene che ci spetta ed essere privati di un bene che non ci spetta. Se io, che sono un essere umano, non ho le ali, è certo una privazione, ma non si può dire che sia un male, perché non sono per mia natura un essere alato, non fa parte delle mie funzioni naturali volare e quindi è una privatio boni, ma non è privato boni debiti, come sarebbe se fossi invece privo delle gambe. Leibniz non tiene fede a questa distinzione e parla di privatio boni in entrambi i sensi. Quando Leibniz parla del male metafisico lo intende come privatio boni in senso generale, non come privatio boni debiti, cioè il male metafisico è quella finitezza dell’ente creato, per cui non è Dio, non è perfetto, non ha la pienezza dell’Essere e questo ontologicamente si chiama male, sebbene non sia un male in senso morale o fisico. Leibniz dice che esso è l’origine dei due mali, ma non causa. L’ente finito essendo difettoso, limitato, è incapace di non peccare: il male metafisico è la peccabilità, l’origine, la condizione della possibilità del male morale e del male fisico, ma non ne è la causa. La causa del male è sempre l’uomo. Perché è importante per Leibniz insistere sul male metafisico? Bayle, il suo principale antagonista, aveva sviluppato tutte le sue posizioni sul tema del male in voci dell’Enciclopedia che hanno a che fare con la gnosi (manichei, marcionismo, ecc.). L’antagonista era Bayle, ma in realtà era la gnosi, come l’antagonista del monoteismo ebraico, cristiano, islamico è la gnosi. Di essa si parla pochissimo, ma la gnosi è un tema fondamentale, anche per la cultura attuale che è una cultura gnostica, sebbe della gnosi on si parli mai. La gnosi è uno strano fascio di credenze (che non sappiamo bene da dove sono arrivate, compaiono nel mondo greco-romano cristiano-ebraico) molto differenti tra di loro e difficilmente descrivibili perché i gruppi gnostici erano tanti, differenti tra di loro. La gnosi si caratterizza per non aver prodotto simboli, concetti, teorie proprie, è parassita: entra nelle altre culture, le svuota dei loro significati e poi ne usa i simboli per i propri fini. Il vangelo di Tommaso è un vangelo gnostico, c’erano delle comunità cristiane che erano interamente gnostiche, e così nell’ebraismo e nell’islam. I padri sia dell’ebraismo che del cristianesimo, se ne accorgono e se ne preoccupano assai e aprono una guerra aperta e importante contro le infiltrazioni gnostiche, così come Plotino fa con la gnosi, che si è infiltrata nella ontologia classica. È difficile dire che cosa pensano gli gnostici, però cercando di fare una tipologia molto approssimativa la questione centrale, quella che hanno sollevato loro è la domanda: da dove viene il male? Unde malum? E la risposta gnostica è che il male viene da una vicenda non umana, ma divina, è una vicenda che avviene in origine, nell’eternità mitica della vita di Dio, nel pleroma divino. Dio è un essere pieno, dove succede una frattura, una divisione all’interno di Dio, un conflitto e la parte buona sconfigge quella cattiva e la espelle, la getta via e questa cade (termine metaforico) espulsa fuori dal pleroma divino, ma è essa stessa Dio, è il Dio espulso e questo Dio espulso crea il mondo. È il Dio maligno che crea il mondo e quindi il mondo è male, tutte le cose del mondo sono male, le leggi, l’ordine, i fondamenti del mondo sono male, tutto è creazione del Dio caduto. Da questo vengono fuori delle forme di gnosi, come il manicheismo, che fanno del male un principio pari e opposto al bene, per cui ci sono due principi originari il bene e il male, il Dio buono e il Dio cattivo in eterno conflitto tra di loro. Il cristianesimo e l’ebraismo portano avanti una concezione opposta, tutta la creazione è bene “Dio vide che tutto era buono”, Dio crea l’uomo e vede che l’uomo è molto buono. Il monoteismo cristiano trova nella gnosi l’oppositore radicale, colui con cui non ci si può assolutamente intendere, è l’antagonista. Il male non è un principio opposto al bene, è la privazione dell’unico principio che è il Bene. Per la tradizione questo male metafisico è importante, è importante affermare che è l’origine di ogni male, il male non è un principio, ma la privazione dell’unico principio che è il Bene.

In conclusione, Leibniz non intende affatto negare il male nel mondo o giustificarlo. Egli non ricerca nemmeno un senso del male; al contrario, egli sostiene che il male non ha alcun senso, ma che il mondo ha un senso nonostante che in esso vi sia il male. Pertanto l’unico principio del senso è il bene; il male è l’assenza o l’insufficienza del bene. Ciò ha la sua causa, non in Dio, né nella natura, la quale comprende eventi dolorosi ma non ne ha la rasponsabilità. L’origine di ogni male è l’uomo, il quale ha la respnsabilità del mondo intero e deve operare per non compiere egli staesso il male e per evitare gli effetti negativi dei fenomeni naturali. Non sempre l’uomo fa ciò che è necessario a questo scopo: in ciò risiede la sua colpa, il male morale. In questo senso la teodicea, a cui Leibniz dedica i saggi di cui abbiamo parlato, è sia una teoria della giustizia di Dio sia una giustificazione di Dio, anche se non può giungere ad una dimostrazione razionale del suo oggetto, ma solo ad una argomentazione contro chi accusa Dio del male nel mondo.

NOTA: Trascrizione, rivista dall’Autore, della conferenza tenuta a Brescia in data 5.4.2019.