Il significato del Kirchenkampf per la Chiesa universale

Nel 1936 la Morcelliana pubblicava Germania religiosa nel Terzo Reich-Conflitti religiosi e culturali nella Germania nazista. L’autore, il trentatreenne Mario Bendiscioli, aveva avuto l’audacia di far storia su una vicenda ancora in pieno sviluppo, essendo il nazionalsocialismo giunto al potere solo nel 1933. Nella prefazione Bendiscioli sottolineava “il grave significato politico” che aveva per la Germania e l’Europa un tema così cruciale ed anche “il suo significato universale che, travalicando la sfera politica, investe la cultura e la coscienza religiosa generale”. Lo storico bresciano mostra come passo dopo passo, con modalità e tempi diversi, il nazismo riuscì a mobilitare le energie della nazione tedesca intorno a un progetto dichiaratamente totalitario riassunto nello slogan “ein Volk, ein Reich, eine Kirche”. Una sola Chiesa, dunque, che doveva continuare a dirsi cristiana pur incorporando al suo credo il razzismo ariano. Lo studioso italiano divenne così testimone vigile e storico documentatissimo della tragedia che stava per abbattersi sulla Germania e sull’Europa intera. Portando il baricentro delle sue ricerche sul rapporto coscienza-potere, Stato nazista-Chiese cristiane, egli fu in grado di anticipare il giudizio che sul nazismo avrebbe dato la Mit brennender Sorge di Pio XI l’anno seguente. Di più: Bendiscioli poneva – come quasi trent’anni dopo avrebbe fatto il Concilio Vaticano II – la difesa della libertà religiosa a necessario fondamento di tutte le altre libertà civili e politiche.
Nel 1939 il libro di Bendiscioli uscì in edizione inglese con l’aggiunta di un capitolo sul biennio 1936-1938. Nel 1977, nella seconda edizione di Germania religiosa nel Terzo Reich la narrazione storica si estese anche al periodo 1939-1945. L’opera, però, acquista una straordinaria rilevanza per la seconda parte, che ha per oggetto “la storiografia 1946-1976”: una rassegna critica, la più completa che esista, del dibattito trentennale sulla situazione delle Chiese cristiane sotto il regime nazista.

La difficile e insieme inevitabile convivenza tra le Chiese cristiane e il potere nazista in una nazione come la Germania – dove l’assenza di un orientamento liberale, l’autoritarismo, il nazionalismo esasperato e il primato del prussianesimo avevano plasmato la vita di un popolo – produsse all’interno delle stesse comunità religiose tensioni drammatiche. La più sconcertante ci fu in campo protestante in cui presero piede i cosiddetti “tedesco-cristiani”, «portavoce nelle Chiese dell’antisemitismo razziale nazionalsocialista e longa manus del partito». Dinanzi a una profanazione così perversa e odiosa del messaggio di Cristo, la Chiesa evangelica reagì vigorosamente e negli anni ‘34 – ‘35 si costituì in “Chiesa confessante”. Il suo motto fu: «Noi non siamo di quelli che cedono» (Lettera agli Ebrei 10, 39); la figura più alta, divenuta poi universalmente nota, fu quella del pastore e teologo Dietrich Bonhoeffer, decapitato nel lager di Flossembürg il 9 aprile ‘45.
Obbligata a non disarmare e insieme ad agire con cautela, la Chiesa cattolica non lasciò cadere nessuna possibilità, neppure quella del tanto discusso Concordato, con tutti i rischi che esso comportava, per infrenare l’arbitrio della dittatura e per non abbandonare in balìa di un avversario così spietato milioni di credenti e di cittadini. Ma il 14 marzo ‘37 fu resa pubblica l’enciclica di condanna dell’antisemitismo nazionalsocialista, la Mit brennender Sorge di Pio XI, la cui eco giunse in tutto il mondo. Malgrado quell’enciclica, le coscienze furono messe di nuovo a tacere quando, essendo scoppiata la guerra, scattò nel modo più brutalmente automatico il ricatto del lealismo a oltranza verso lo Stato tedesco, a prescindere da chi fosse a governarlo. E ci fu un momento ancora più pericoloso, quando la propaganda nazista presentò l’invasione dell’Unione Sovietica come una crociata contro il nemico della civiltà occidentale e del cristianesimo.
È stato amaramente scritto da Carl Amery (pseudonimo di Christian Mayer), Heinrich Böll, Günther Lewy e da altri che la resistenza religiosa al nazismo fu «una causa privata», ma la realtà storica ci obbliga a correggere un giudizio così drastico. Tra i cristiani della Germania, cattolici ed evangelici, ci furono molti modi di dire no al nazismo: ci fu la resistenza passiva e la resistenza culturale, la resistenza politica e ideologica. Certamente si possono e si debbono distinguere una “resistenza ufficiale”, da parte delle gerarchie ecclesiastiche, e una “resistenza profetica”, combattuta dalle pattuglie di avanguardia; le loro finalità, le linee operative e le responsabilità erano obiettivamente molto diverse, e se le due resistenze in alcuni casi furono parallele, in altri non solo furono solidali, ma si alimentarono a vicenda e spesso rifluirono l’una nell’altra. La questione non cessò mai di tormentare Bendiscioli, che fu instancabile nell’individuare i gravi problemi e le immani difficoltà che la “resistenza ufficiale” dovette effettivamente affrontare, anche perché era convinto che una dissidenza religiosa, attiva e pubblica, quand’anche fosse riuscita ad attrarre a sé una parte dei fedeli, in uno Stato totalitario moderno, e ancor più nel corso di una guerra, non avrebbe potuto avere alcuna possibilità di successo: «Essa – ribadiva l’eroico resistente Friedrich Muckermann – avrebbe solo condotto a un inaudito massacro». Tuttavia lo storico bresciano comprese perfettamente che l’umanità percepisce la realtà interiore e trascendente di Dio e l’imperativo morale della coscienza, che viene prima e al di sopra di ogni altro obbligo, proprio per mezzo dei testimoni, degli eroi della vita morale, attraverso i martiri della “resistenza profetica”: essi sono l’icona del Vangelo di ieri, di oggi, di sempre.

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Nel capitolo finale sul significato del Kirchenkampf tedesco per la Chiesa universale Bendiscioli delinea un quadro penetrante di ciò che, durante e dopo la durissima prova, balzò in primo piano nelle Chiese cristiane. «Le posizioni critiche di resistenti nei riguardi delle loro Chiese (dei Delp, dei Mayer, dei Metzger, dei Muckermann, dei Gurian nel cattolicesimo, dei Barth, dei Tillich, dei Bonhoeffer nella Chiesa evangelica), hanno creato un problema di coscienza nelle Chiese, hanno impostato vedute nuove circa i rapporti tra Chiesa e Stato, Chiesa e società, tra coscienza individuale ed autorità costituita; hanno condotto ad un approfondimento dell’essere cristiani nel mondo».
Su due punti, in particolare, la lotta delle Chiese cristiane, dei gruppi e dei singoli contro il neopaganesimo razzista preparò un futuro più degno. Il primo è che cattolici ed evangelici, accomunati nella persecuzione, si riscoprirono fratelli e posero le premesse per la nascita del movimento ecumenico, che sarebbe stato nei decenni successivi una delle grandi direttrici del XX secolo, segno e causa insieme del rinnovamento delle Chiese cristiane. Offesi e calpestati da un potere crudelmente oppressivo che tentava di espropriarli delle loro coscienze, cattolici ed evangelici, preti e pastori si trovarono insieme in prigione e nei campi di annientamento; insieme soffrirono, pregarono e si fecero testimoni di Dio al servizio degli altri. Fu così che a Dachau – dov’erano rinchiusi molte centinaia di preti e pastori, tra cui il nostro padre Carlo Manziana – e in altri lager le divisioni si attenuarono fortemente o sparirono e al loro posto ci fu un’esperienza straordinaria di fraternità. Di lì nacque il fermo proposito di impegnare le rispettive confessioni a rendere pura da odi e pregiudizi la memoria del passato, a valorizzare i tesori reciproci e a vivere con gioia le molte cose che i credenti in Cristo hanno in comune. In tal modo nacque il nuovo ecumenismo e la decisione di ripensare finalmente, fuori dai soliti schemi e da pregiudiziali plurisecolari, l’unità dei cristiani come concreto obiettivo e speranza storica.
L’altro insegnamento, che ci viene dalla lotta dei cristiani e delle Chiese tedesche contro la barbarie nazista, fu una nuova visione radicalmente diversa di ciò che si debba intendere per difesa della fede e dell’istituzione religiosa a cui si appartiene. Si tratta di un reale progresso nella giusta comprensione e nell’approfondimento della Weltanschauung cristiana. Chi ha espresso con grande forza questo nuovo punto di vista è stato Muckermann ne La via tedesca: «V’erano e vi sono – scrive il padre gesuita – ancora dei cristiani che parlano di persecuzione religiosa soltanto quando si assaltano i conventi e si uccidono i sacerdoti. Per i profani un tale modo di giudicare appare egoistico, quasi che ci si preoccupi unicamente di quelli che sono gli specifici interessi ecclesiastici. Per noi il cristianesimo è la religione dell’umanità, l’anima di una cultura universale. Davanti ai nostri occhi la Chiesa è offesa ogni qualvolta si disonora l’umanità in un uomo ed il pugno malvagio che colpisce il volto di un uomo, colpisce nello stesso tempo il volto di Cristo, primogenito fra tanti fratelli. Lottare per la Chiesa significa per noi lottare per l’umanità».

Giornale di Brescia, 22.1.2004. Articolo scritto in occasione dell’incontro con Paolo Prodi e Massimo Marcocchi su “Mario Bendiscioli tra storia ed ecumenismo”.