L’ideale di un capitalismo pervaso dallo spirito

Pubblicata agli inizi del secolo, tra il 1904 e il 1905, l’opera di Max Weber L’etica protestante e lo spirito del capitalismo muoveva da un’osservazione preliminare che è insieme e soprattutto una grande domanda storiografica: “Per quale concatenamento di circostanze è avvenuto che proprio sul suolo occidentale, e qui soltanto, la civiltà si è espressa con manifestazioni, le quali – almeno secondo quanto noi amiamo immaginarci – si sono inserite in uno svolgimento, che ha valore e significato universale?”. La chiave di volta della costruzione di una possibile risposta ad una domanda di tale complessità sta in questo passaggio della “osservazione preliminare” di Max Weber: “Si giunge perciò a questo problema: cercar di spiegare il particolare carattere del razionalismo occidentale e, in seno a questo, di quello moderno, e le sue origini. Ogni tentativo di spiegazione del genere deve, data l’importanza fondamentale dell’economia, aver riguardo soprattutto alle condizioni economiche. Ma non deve rimanere inosservato anche il rapporto casuale inverso. Poiché il razionalismo economico dipende principalmente, oltrechè dalla razionalità della tecnica e del diritto, dalla capacità e dalla disposizione degli uomini a determinare forme di condotta della vita. Quando questa era impedita da ostacoli di natura psicologica, anche la razionale condotta economica urtò in gravi resistenze interne. Tra gli elementi più importanti che informavano in tutti i paesi la condotta degli uomini, appartennero nel passato le forze magiche e religiose e le idee dei doveri strettamente connessi con tali credenze.” A Max Weber parve che “l’ethos di una forma economica” quale il capitalismo moderno fosse condizionato da un determinato contenuto religioso all’interno delle trasformazioni della fede cristiana nei Paesi riformati. Le ricerche, ispirate da queste ipotesi, condussero a rilevare un nesso tra etica economica o spirito del capitalismo moderno e etica razionale del protestantesimo. Malgrado l’imponente letteratura accumulata su questo tema, nessuna indagine è comparabile con quella di Weber e penetra così a fondo nello spirito del capitalismo.
A distanza di un secolo dall’osservatorio weberiano, il capitalismo sembra essersi guadagnato un’aggettivazione: democratico. Se assumiamo come termine di riferimento polare d’indagine The Spirit of Democratic Capitalism di Michel Novak (New York 1982; Lo spirito del capitalismo democratico e il cristianesimo, Edizioni Studium, Roma 1987, pp.486), il capitalismo è definito come un sistema ternario economico-culturale. Il presupposto dichiarato nel ponderoso libro di Novak è che non c’è nulla di casuale nell’incontro tra democrazia ed economia di mercato, essendo la democrazia politica compatibile solo con l’economia di mercato. Entrambe, democrazia politica ed economia di mercato, sono “al meglio alimentate da una cultura liberale pluralistica”. Tanto più significative queste affermazioni in quanto provengono da uno studioso di fede cattolica, che ha condiviso persuasioni socialiste e duri e ostili giudizi sul capitalismo. Egli dichiara: “Per me, come per il giovane Maritain, il capitalismo restava quasi una parola sporca”. Per cogliere il grado di rotazione che il processo storico capitalistico ha descritto, è importante questo passaggio di Novak: “In tutto il mondo il capitalismo suscita odio. La parola è associata ad egoismo, sfruttamento, disuguaglianza, imperialismo, guerra. Anche da noi, negli Stati Uniti, non si può fare a meno di notare come tra gli uomini di affari, i lavoratori e i pubblicisti la moralità sia relativamente bassa. Il capitalismo democratico sembra aver perso il suo spirito…”. Novak partecipa di quella linea di studiosi, da Joseph Schumpeter a Daniel Bell, che hanno previsto o descritto le contraddizioni dell’evoluzione capitalistica.
Ma Novak rivendica alla persistente forza dello “spirito del capitalismo” il legame tra libertà economica e libertà politica. Il capitalismo democratico, quale si è storicamente svolto, specie nel mondo nord-americano, è un sistema aperto, e lo spirito del capitalismo democratico è spirito di sviluppo, di rischio, di esperimento, di avventura. Il primo carattere del capitalismo democratico è il pluralismo, vale a dire la violazione consapevole di un’unità nella concezione e nell’ordinamento della società religiosa o ideologica, che è comune sia alle società tradizionali premoderne, sia alle società socialiste. La separatezza tra discipline economiche e umanistico-politiche ha impedito di rilevare che il sistema economico-democratico non è solo “libera iniziativa”, ma anche etica, insieme di virtù e di valori. Tuttavia di questa etica non si vede, né si deve cercare un’unica scaturigine. Il luogo comune che l’economia del capitalismo democratico sia il tornaconto individuale è il risultato di un’astrazione degli economisti. Il self-interest “racchiude un concetto di libertà umana che supera largamente la cura di sé, l’egoismo, la cupidigia, l’avidità”. Le motivazioni individuali sono talora, proprio perché libere, consapevolmente riempite di fini altruistici, ma anche quando mirano all’interesse personale, familiare, di gruppo, proprio per la non coincidenza di intenzioni e di risultati sono dal sistema indirizzate non coercitivamente a fini sociali. A chiunque si domanda “Chi governa l’America” va risposto con la parabola della mano invisibile “che l’ordine può emergere per proprio conto dall’esercizio della libertà”.
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L’atteggiamento della Chiesa cattolica fu di aperta ostilità al capitalismo nascente. Le encicliche sociali, dalla Rerum Novarum di Leone XIII del 1891 alla Quadrigesimo Anno di Pio XI del 1931, sono condanne del collettivismo socialista e dell’individualismo capitalista. Pio XI, in particolare, critica l’economia di mercato. Riserve di carattere filosofico, dunque di principio, contro l’individualismo economico sono presenti ancora nella Octogesima Adveniens di Paolo VI del 1971. Sembra a Novak che solo con la Laborem Exercens di Giovanni Paolo II (1981) si registri un distacco dalla tradizione cattolica anticapitalista. Che la Chiesta cattolica sia rimasta estranea alla lezione nord-americana ed invece radicata nelle esperienze europee e in quelle sudamericane, è rilievo da condividersi. Non sono molti a ricordare che nel 1919 fu un Programma per la ricostruzione sociale dei vescovi cattolici statunitensi a influenzare il New Deal di Roosevelt e a contribuire, insieme al movimento protestante Social Gospel, ad una politica di controllo politico per correggere il sistema economico. Nel contesto nordamericano sembra a Novak esemplare l’evoluzione intellettuale di Reinold Niebuhr, fautore negli anni ’30 del socialismo per poi approdare ad una sconfessione del marxismo e ad una accettazione del capitalismo democratico. Utilizzando il caso di Niebuhr, la conclusione di Novak è che il socialismo democratico, abbandonando il marxismo e la rappresentazione collettivista dello Stato, diventa solo una variante di sinistra del capitalismo democratico.
La domanda iniziale di Max Weber, quasi un secolo fa, ritorna nelle ultime pagine di Novak: “Non è per caso che il capitalismo democratico è sorto prima nei paesi giudeo-cristiani ed è imitabile solo in culture analoghe”. La rivelazione di Dio per gli ebrei e per i cristiani ha un valore universale e non si radica di un particolare sistema. La religione, proprio perché trascende le culture e il tempo, si fa propulsiva del dinamismo storico. Il calvinismo, con l’impegno religioso all’adempimento del dovere professionale, ha eticamente predisposto interi popoli europei alla disciplina di un mondo economico dinamico quale quello del capitalismo nascente; il cattolicesimo garantisce – con l’impegno religioso per la giustizia – l’attivo meccanismo di riforma e di correzione dell’unico sistema economico che può assicurare liberà e benessere.

Giornale di Brescia, 3.12.2000. Articolo scritto in occasione dell’incontro promosso dalla Ccdc con Michel Novak su “Chiaroscuri della globalizzazione”.