Nietzsche, gli ebrei e l’ebraismo

Tutte le volte che penso a Nietzsche, alla su influenza straordinaria e straordinariamente ambigua, al suo tragico destino, non posso fare a meno di ricordare due sue auto-definizioni. La prima è nella Gaia scienza: “Io sono l’incontro del pazzo e del saggio.” La seconda la si trova in una lettera a Heinrich Koselitz, ribattezzato da Nietzsche col nome d’arte di Peter Gast: “Rifletta su come io, a partire dal 1876, sia stato per più riguardi, concernenti il corpo e l’anima, più un campo di battaglia che un uomo” .
Ernest Nolte nel suo libro Nietzsche e il nietzscheanesimo, pubblicato in Italia da Sansoni, vede nella seconda delle sue auto-definizioni “una parola-chiave che potrebbe essere ripresa come motto e indicazione interpretativa” del suo corso di lezioni sul filosofo tedesco. La struttura del libro è effettivamente quella di una dispensa universitaria, la qual cosa permette all’autore precisazioni incalzanti e rettifiche documentate su giudizi correnti da qualche lustro su Nietzsche; una parte del corso è dedicata a una sagace puntualizzazione di quel fenomeno che è stato chiamato “il nietzscheanesimo”, una specie di entusiasmo attivo e quasi di culto per Nietzsche, che ebbe il suo primo centro propulsore a partire dal 1894, nell’Archivio Nietzsche che la sorella Elisabeth, fondò di ritorno dal Paraguay (e in quell’edificio, dal quale partiva la propaganda per la sua opera, Nietzsche ormai demente, visse per sei anni). Nella seconda metà degli anni ’60, allorché ebbe inizio l’edizione critica delle Opere a cura di Giorgio Galli e di Mazzino Montanari, si fece a gara nella cultura europea, e soprattutto in larghi settori della sinistra, a liberare la filosofia di Nietzsche da ogni rapporto con l’utilizzazione che di essa aveva fatto, e in modo grossolano, il nazional-socialismo. Ma, grossolanità a parte, tipica del resto del modo con cui un’ideologia si rapporta a qualsiasi fenomeno culturale è non solo lecito, ma doveroso chiedersi – e Nolte lo fa – se il nazismo non sarebbe divenuto ciò che fu senza taluni aspetti del pensiero di Nietzsche, più di quanto il movimento operaio, prima, e quello comunista, poi, sarebbero stati ciò che sono stati senza Marx ed il marxismo. Di queste cose, però, l’ombrosa suscettibilità dei nuovi cultori del mito Nietzsche non vuol sentir parlare. Si è così alimentato quel clima di fervore acritico per tutto ciò che in Nietzsche non va sarebbe da addebitare sempre e soltanto alle manipolazioni della sorella Elisabeth, come se Nietzsche non avesse pubblicato per proprio conto i suoi libri prima del crollo e dell’ottenebramento, lasciando a disposizione degli interventi della sorella solo l’informe massa di appunti a cui fu dato il titolo La volontà di potenza.
Nolte è attento a cogliere in Nietzsche il succedersi e più spesso ancora l’intrecciarsi di posizioni non solo diverse, ma addirittura contraddittorie, sui temi che erano al centro del dibattito culturale nella seconda metà dell’Ottocento; ma la peculiarità del contributo di Nolte sta nell’aver situato, con sobrietà e rigore, l’atteggiamento di Nietzsche nei confronti di alcuni fattori fondamentali, o se si vuole di alcune fasi, della storia europea: l’illuminismo e la scienza, il socialismo, la morale e il cristianesimo, la questione femminile, l’emancipazione e la modernità intese come degenerazione complessiva dell’umanità, i tedeschi e il Reich bismarchiano, gli ebrei e l’ebraismo.

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Appunto, gli ebrei e l’ebraismo. Quale fu il reale atteggiamento di Nietzsche su questo problema? Nella Repubblica Federale tedesca, dal 1945 e in particolare negli anni ’80, è stato assai difficile parlare dei fenomeni storici di ostilità all’ebraismo senza che agli occhi della mente si presentasse inevitabilmente il nome e il simbolo di Auschwitz. È, infatti, impossibile pensare l’orrore di Auschwitz prescindendo dagli anelli di congiunzione e dalle concause. I socialisti non avevano fatto del “potere ebraico basato sul denaro” il simbolo stesso del capitalismo da annientare? E lo stesso Marx, che pure era figlio di ebrei benché estraneo all’ebraismo e ad ogni influenza religiosa, non concepiva l’emancipazione ebraica, nella sua accezione ultima, come “emancipazione dell’umanità dall’ebraismo”? Delle condizioni di estrema povertà di milioni di ebrei sparsi nei ghetti di tutto il mondo, ed in particolare nell’Europa centro-orientale, della precarietà delle loro condizioni e delle persecuzioni ignobili di cui essi erano vittime i profeti dell’umanità nuova non si curavano; l’essenziale era per loro proclamare ai quattro venti che lo spirito dell’ebraismo era rappresentato dai Roshschild e che, in quanto capitalista, il mondo contemporaneo era, secondo le parole testuali di Marx, “ebraico nel più profondo del suo animo”.
Nietzsche non nominò mai e non lesse neppure un rigo di Marx, malgrado la celebrità a cui era pervenuto il capo dell’Internazionale; ma per quanto riguarda il problema ebraico, a causa dei suoi pregiudizi sull’economia monetaria, egli non si differenzia dalle posizioni di Marx. La fiera di Lipsia gli riesce insopportabile perché in essa circolavano dei “ brutti ceffi ebri” (così in una lettera alla madre del 1865). E in una lettera a Richard Wagner scrive che “la vitale serietà germanica è minacciata dal pressante ebraismo.” A Carl Fuchs parla della “inquieta cultura della plebaglia ebraica” che rende ancora più confusa la baraonda berlinese. Durante un viaggio nelle Alpi annota: “Purtroppo domani partirà con me, alla stessa ora, un ebreo.” Nel febbraio del 1886, in una lettera alla sorella, si descrive come “inguaribile europeo e anti-semita”, come se le due cose fossero interdipendenti o inversamente proporzionali tra loro. Lo scatenamento di Nietzsche contro la morale – non solo contro le caricature meschine della morale, ma contro la visione morale della vita espressa da Socrate e da Kant, ed in particolare contro quella che, secondo il suo modo di vedere, discende dall’annuncio di Cristo – trasforma in un insulto l’apparente elogio degli ebrei contenuto in Umano, troppo umano: “ Gli ebrei sono il genio morale tra i popoli”. Infatti, poiché la “morale” è dogmaticamente e senza scampo identificata da Nietzsche con la “contro-natura”, essa è “il nemico”, e poiché “ebraica è nel complesso la moralità dell’Europa”, l’odio alla morale si traduce in odio alla sua permanente radice ebraica. Di qui le sue affermazioni sempre più recise: “Gli ebrei sono il popolo più fatale della storia del mondo. Anche nei loro effetti più remoti essi hanno falsificato l’umanità…”. La grande politica comanda l’annientamento del cristianesimo, scrive Nietzsche in pagine allucinanti, ma il cristianesimo è “l’ultima conseguenza dell’ebraismo”. In realtà tutto quello che Nietzsche dice contro il cristianesimo, tutte le richieste di annientamento, esplicite, ripetute, inequivocabili che ne fa discendere, possono trovare applicazione anche per gli ebrei quali autentici padri della morale.

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Questo quadro di valutazioni si accentua col passare degli anni, tuttavia occorre, fin dove è possibile, operare in Nietzsche una qualche distinzione fra ebrei ed ebraismo, perché forse solo così si riesce a dare plausibilità alla sua polemica contro un certo antisemitismo. Le origini ebraiche di Paul Rèe non gli impedirono, ad esempio, di entrare con questi in stretta confidenza. Egli, in uno dei suoi tipici dietro-front, giunge persino a scrivere che il cielo avrebbe pietà della ragione europea se ad essa si volesse sottrarre la ragione ebraica. Tuttavia le motivazioni del suo anti-antisemitismo rimangono del tutto personali e pragmatiche: “Il maledetto antisemita mi rovina allievi, amici, influenza; ha fatto di me e di Richard Wagner dei nemici; è la causa di una radicale rottura fra me e mia sorella.” Né mancano passi in cui Nietzsche assume toni decisamente filo-semiti: “Un giorno gli ebrei verranno chiamati gli scopritori e precursori degli Europei.” E, nella sua volontà di annientamento dei cristiani, vorrebbe arruolare come guide nel suo “partito della vita” – in lotta per l’affermazione dei “Signori della Terra”, per il dominio dei Superuomini – ufficiali prussiani e…banchieri ebrei!
In conclusione, a me sembra che sul problema Nietzsche e gli ebri abbia ragione Nolte a sottoscrivere il giudizio di uno degli intimi della cerchia nicciana, Franz Overbeck: Nietzsche è stato un fiero avversario dell’antisemitismo, così come lo ha conosciuto… Ciò non toglie che là dove egli parla sinceramente, il suo giudizio sugli ebrei si lasci ampiamente alle spalle per durezza, tutto l’antisemitismo. Il suo anti-cristianesimo è fondato principalmente sul suo antisemitismo. Vede giusto, dunque, Karl Lowith nel saggio autobiografico, composto nel 1940 e apparso postumo, quando non esita a scrivere, lui eminente studioso di Nietzsche, che il nazismo è la traduzione realistica e brutale di “quella barbarie che nello stesso Nietzsche era sembrata accettabile per il suo carattere ideale”. “Un abisso – dice Lowith – separa Nietzsche dai suoi divulgatori senza scrupoli, eppure egli ha preparato loro la strada”.

Giornale di Brescia, 26.03.1992. Articolo scritto in occasione dell’incontro con Ernst Nolte su “Heidegger e la rivoluzione conservatrice”.