Paradosso Europa

Francesco Comina: Vorrei capire se effettivamente la filosofia ha ancora un senso oggi, in questa società che molti hanno definito post-moderna, una società della post verità, che Zygmunt Bauman definisce come società liquida. La filosofia ha la capacità di interpretare la complessità di questa storia, che stiamo vivendo, continua a porsi le domande di senso che si è sempre posta oppure si è ridotta ad essere la storia del pensiero e non più un nuovo fondamento dell’esserci e dell’essere?

Àgnes Heller: Nel ventesimo secolo si parlava della fine della tragedia, oggi, se partiamo dal punto di vista della letteratura, la definizione è piuttosto quella di un’epidemia, perché parrebbe che in un modo o nell’altro l’Europa abbia perso la possibilità di capire che cosa sia la tragedia. Parlando di filosofia dobbiamo pensare a ciò che sosteneva Hegel: la filosofia è un’espressione di concetti temporali, vale a dire, se si può parlare della fine della filosofia, come potremmo capire come si può pervenire ad una fine della filosofia. Dovremmo prima parlare della fine del mondo e poi della fine della possibilità che il mondo ha di esprimersi. Ebbene dopo Hegel, una serie immensa di filosofi hanno parlato della possibilità della fine della filosofia, ma sempre in termini pratici e mai in termini filosofici. Marx ha interpretato la filosofia proprio da questo punto di vista, come cambiamento del mondo e dipende da noi cambiare questo mondo. Kierkegaard, da spirito religioso quale era, ha interpretato la filosofia e quindi la fine della filosofia, come qualche cosa di possibile, che può accadere. Mentre Hegel dice che l’intero è la verità, Kierkegaard afferma che la verità è data dalla soggettività. Nietzsche si chiede come i due mondi, il mondo empirico e quello trascendente possano convivere insieme; non ci sono più questi due mondi, quindi, non esiste più il mondo. Heidegger ha scritto un saggio molto interessante intitolato La fine della filosofia e il compito del pensiero. Se da un certo punto di vista si perora la fine della filosofia, tuttavia, bisogna cercare di carpire che cosa significhi concettualmente l’essenza di questa affermazione. Se ritorniamo al pensiero di Socrate, ed egli è davvero uno degli antesignani dal punto di vista tradizionale – nel senso di esaminare i pensieri e le convinzioni e ciò che è giusto e sbagliato – scopriamo che ci può essere anche un altro concetto di ciò che è giusto. Per esempio, ciò che noi pensiamo sia vero non è sempre vero, ma potrebbe essere vero qualcos’altro, questo contrasto, questo dialogo di idee si rifà alla realtà empirica, che ci ha portato da quel momento, fino ai giorni nostri. La filosofia non significa informazione, significa pensiero, non ci sarà mai un internet che possa sostituire il pensiero. Forse potrà occuparsi delle informazioni, magari anche tutte, ma sicuramente non potrà occuparsi del pensiero, siete voi che dovete usare il pensiero. Si dice anche che la filosofia non serva a nulla, la filosofia parla solo della vita, della morte, di tutto questo coacervo di sentimenti che sembrano di primo acchito inutili. Sostenendo che non c’è innovazione nella filosofia, ma semplicemente un discorso, si arriva a dire che la filosofia non serve e niente e che non sia di nessun uso. Quando io, da filosofa, mi ritrovo a parlare con gente comune, che magari è la prima volta che sente parlare del termine filosofia, mi vengono sempre poste le stesse domande sul significato della vita e della morte. Questo potrebbe essere definito come un aspetto primitivo della filosofia, ma da un certo punto di vista c’è anche della verità in queste loro domande, perché ponendomele è come se mi parlassero di un sistema di vita, di un sistema di pensiero e di ricerca. La tradizione filosofica è arrivata alla sua fine con Hegel, il pensiero filosofico no. Se la tragedia è morta ed è arrivata ad una sua fine, i luoghi meravigliosi descritti dai molti autori non lo sono. Posso quindi risponderti con un sì e con un no.

 

Francesco Comina: Siamo qui per capire, anche da un punto di vista filosofico, dove va l’Europa. Nell’ultimo libro Orbanismo. Il caso dell’Ungheria: dalla democrazia liberale alla tirannia Àgnes Heller lancia un allarme: le prossime elezioni europee sono molto importanti, l’Europa rischia davvero di morire e con essa, in qualche modo,  anche la filosofia. Per Àgnes ci troviamo in una situazione molto preoccupante, come se fossimo nel 1914, prima dello scoppio della Prima guerra mondiale. Mi chiedo cosa significa questo parallelismo, come mai una persona che ha vissuto tutte le contraddizioni della storia del Novecento arriva a pronunciare parole così forti rispetto alla situazione dell’Europa.

Àgnes Heller: Per iniziare a rispondere a questa tua domanda io mi trovo qui ad agire come cittadina europea, come cittadina ungherese e molto meno come filosofa. Ci sono due cose da tenere in considerazione, che sono legate l’una all’altra quando si parla di paradosso e di contraddizione, soprattutto dal punto di vista della situazione politica europea. Uno è il concetto del paradosso e l’altro il concetto della contraddizione: se il paradosso può essere in una certa misura gestito e se può trovare una sua risposta attraverso la mediazione, la contraddizione è semplicemente un fenomeno insolubile. Un esempio di contraddizione è la crisi dei migranti. Bisogna fare qualche passo indietro, bisogna ritornare al 1791, quando venne redatta la prima bozza della costituzione francese dove si esplicitavano due concetti molto chiari: il diritto umano e il diritto del cittadino, si era quindi arrivati alla creazione del fenomeno repubblicano. Se prendiamo in considerazione la crisi dei migranti, essendo attualmente un tema pesante, parliamo di diritti umani. Se esaminiamo criticamente che cosa significa il diritto umano, esso coinvolge tutti noi e coinvolge soprattutto il nostro prossimo, nel senso che siamo uguali al nostro prossimo. Siamo tutti essere umani, siamo tutti uguali, liberi, benedetti dal nostro creatore, tutti dotati di una coscienza e di una ragione. Prendiamo invece in considerazione il diritto di cittadinanza, esso significa che sono i cittadini a dover decidere che cosa succede nel paese nel quale vivono, sono i cittadini a decidere chi ha diritto di ingresso e chi invece no, questi cittadini, esercitando questo diritto vanno in aperta contraddizione rispetto ai diritti umani. Questa è una contraddizione, che può però essere risolta attraverso la politica, questi due diritti possono forse essere soddisfatti entrambi, in una certa misura, con una certa dose di uguaglianza ed equanimità: però questo non è un paradosso, ci ritroviamo di fronte ad una contraddizione. Il paradosso dell’Europa, secondo me, non trova soluzione, perché l’Europa è stata la culla sia dei diritti umani, sia del diritto del cittadino, è stata la culla dell’umanesimo, dell’universalismo, dell’idea secondo la quale tutti gli esseri umani, uomini e donne, sono nati ugualmente liberi, ma anche la culla dell’identità nazionale, del nazionalismo e del bonapartismo: quindi questo tipo di paradosso non può trovare una soluzione. L’Europa è stata anche il luogo in cui si è inventato il totalitarismo, badate bene, esso non viene dall’Asia o dall’Africa, non è una faccenda che riguarda il Medioevo, è un’istituzione politica creata nella modernità. Gli europei nel ventesimo secolo hanno scelto il totalitarismo. Sulla base della storia europea e del paradosso europeo, che io sostengo, non c’è assolutamente possibilità di avere una mediazione; vi è quindi una situazione di contraddittorio fra chi ha voluto il nazismo, chi ha voluto l’avvento del fascismo,  e chi opta per l’altra tradizione politica europea che si rifà alla democrazia liberale, lo stato di diritto, la divisione dei poteri. Come dice Kierkegaard aut-aut, o-o.

 

Francesco Comina: Il nazionalismo etnico fomenta il nemico, crea la contraddizione dentro le sue società. Per esempio, il tema dei migranti è in gran parte fomentato dall’etno-nazionalismo.

Àgnes Heller: Il nazionalismo etnico è un fenomeno tipico dei nostri tempi, sfortunatamente. Tutto è iniziato nei primi decenni del Novecento quando si è avuto l’avvento del totalitarismo, seguito poi dall’olocausto, che ne è stato in qualche misura il suo esito. Il nazionalismo etnico è stato la culla della Prima guerra mondiale ed è stato attraverso questo concetto che si arriva fino ad oggi: c’è il pericolo che venga a ripetersi la situazione che abbiamo già vissuto nel 1914. Bisogna stare attenti perché c’è un semplice assunto dal quale partire quando si parla di nazionalismo etnico: naturalmente ci può essere una nazione ed essa si dice formata da cittadini e esiste anche chi sostiene che una nazione, invece che essere formata da cittadini, sia formata da un singolo gruppo etnico. Se una nazione è formata da cittadini ci può essere l’avvento, in una certa misura, di un movimento nazionalista, ma non diventa pericoloso. Il pericolo viene quando si pone il problema dell’identità del gruppo etnico, allora siamo molto vicini all’idea del razzismo. Il nazionalismo etnico non è nient’altro che un fenomeno identitario preparatorio al razzismo. Riprendo il tema accennato nella domanda precedente, il diritto di cittadinanza. Si intende, con esso, comunemente, il diritto concesso dai cittadini di una nazione a qualcuno, di potere permanere dentro ai confini della nazione. Se invece il diritto prevede un gruppo etnico che legiferi, allora siamo in totale contraddizione con il concetto di cittadinanza, perché non importa più chi sia il cittadino, ma importa il gruppo etnico che stabilisce tutto questo. Noi ci consideriamo tutti cittadini sulla base delle leggi che lo statuiscono, invece se la cittadinanza viene stabilita sull’abbrivio di un concetto identitario etnico diventa esclusiva. Per me Orban è davvero l’iniziatore di questo movimento, è stato il primo a crearlo, in un modo silente, però esiste ed è ben presente. Se riparliamo di nazionalismo etnico, esso ha una funzione ben chiara, propaga l’ideologia dell’odio, il concetto del nemico e a cui si deve dare un viso, un’identità che deve essere ben visibile a tutti i cittadini. Il nazionalismo etnico deve sempre combattere contro qualcuno, contro il male, e il male è il nostro prossimo o qualcuno che viene scelto per sostituire il nostro prossimo. L’ideologia del nazionalismo etnico è l’ideologia del tiranno che combatte e sconfigge il diavolo, il male. Ecco perché io sostengo che Viktor Orban sia un tiranno che si spaccia come difensore riguardo all’invasione dei migranti e quindi difensore dei cittadini ungheresi. Orban sostiene che altrimenti l’Europa manderebbe milioni e milioni di queste persone ad invadere l’Ungheria e quindi, senza di lui che difende i cittadini ungheresi, essi sarebbero tutti vittima di un’invasione. Si erge a difensore, a protettore, della loro sicurezza, questa è ovviamente una bugia e per riuscire a reagire gli ungheresi devono combattere questa idea di tirannia. L’ideologia di nazionalismo etnico è un’ideologia assolutamente negativa, difensiva, non parla mai di futuro, di felicità, di progresso sociale, di giustizia, È l’essenza di un’ideologia negativa, il nazionalismo etnico è puro nichilismo.

 

Francesco Comina: Spesso citi Hannah Arendt per spiegare quello che è successo in Ungheria e nei paesi dell’est, i quali sono passati dalla liberazione del regime comunista sovietico e però non hanno conosciuto veramente la libertà, nel senso che la libertà è una conquista, una fatica, una sofferenza. C’è una sorta di atteggiamento neofeudale come lo definisci tu e da questa prospettiva è stato possibile lo sviluppo di questo etno nazionalismo di Orban.

Àgnes Heller: Se ritorniamo indietro nella storia, quando si parlava di libertà si faceva riferimento alla Bibbia, alla schiavitù del popolo ebraico rispetto agli egizi che lo schiavizzavano, degli ebrei che anelano alla libertazione. Questa è storia vecchia e parliamo di qualcosa che non ha nulla a che fare con la libertà. Prendete d’esempio la mia vita. Io sono stata liberata dal regime sovietico perché i sovietici hanno sconfitto i nazisti e quindi io non sono morta sotto il regime nazista, sono rimasta viva, però non mi hanno regalato la libertà, mi hanno solo liberata. L’Ungheria è ricaduta sotto una nuova forma dittatoriale e a partire dal 1949, quando si è instaurato il regime sovietico: si parlava tanto della libertà francese, ci veniva propinata come fosse un regalo di compleanno, ma questa liberazione noi non abbiamo mai potuto definirla come libertà. Quando si parla di liberalismo si dovrebbe parlare di diritti, di una mediazione, della possibilità di avere il diritto di espressione, di pensiero, di libera associazione, della divisione dei poteri, ovvero tutto ciò che contraddistingue un paese moderno da un paese totalitario. Apparentemente tutto questo ci è stato restituito, però non sono stati capaci di regalarci la libertà, la quale viene dalla liberazione genuina. In Ungheria noi l’abbiamo persa questa libertà, ci siamo trovati in uno stato moderno fondato sui molti dolori del passato, ma non sull’acquisizione di una vera libertà.

 

Francesco Comina: C’è stato un problema nell’Unione Europea? Com’è stato possibile che si arrivasse a questi livelli da lei descritti? L’Europa unita era il sogno dei sopravvissuti ai campi di concentramento, come possibilità di una terra in armonia e finalmente libera dal fardello della guerra e dell’oppressione. C’è stato quindi un problema nella costruzione di questa Europa, forse perché è stata fatta sulla base del principio economico e non è mai stata fatta una costituzione europea.

Àgnes Heller: La costituzione è guardiana delle libertà, essa dà la possibilità di mantenere la libertà, però la lotta per il mantenimento della libertà spesso significa più sacrifici. Lo vediamo in quello che è successo dal punto di vista referendario da parte dei francesi, i quali non hanno mai voluto creare una costituzione europea, non hanno mai voluto che l’Europa diventasse federalista perché, se c’è una Europa costituzionale, rimane decisamente molto meno spazio per i tiranni. Avremmo avuto un illuminismo europeo e si sarebbe potuto mettere in atto tutta una serie di misure per combattere questa tirannia e questa anticostituzionalità che si è sviluppata in Europa. Il fatto che non ci sia questa costituzione europea ha favorito il proliferare della tirannia, di questi tiranni, che agiscono in modo completamente anticostituzionale. Non sto dicendo, con questo, che i francesi non avessero motivi, dal punto di vista della loro tradizione, per confutare il testo della costituzione europea, che loro hanno apertamente rifiutato, però bisogna tenere in considerazione che, a volte, alcuni aspetti meramente tradizionali che riguardano la propria terra dovrebbero essere degli aspetti ai quali si è pronti a rinunciare se la causa va ben al di là di questi aspetti parrocchiali. La liberazione arriva improvvisamente, velocemente, perdere la libertà è invece un processo assai più lento, ci sono cose che apparentemente non noti neppure, che apparentemente non ti toccano profondamente e si passa a poco a poco da una democrazia liberale ad una democrazia illiberale.

 

Francesco Comina: Vorrei chiudere su un piano più colorato e di bellezza. Àgnes ha scritto molto anche sulla bellezza, ovviamente la bellezza non ci salverà, però è una promessa di salvezza. Ha sempre coniugato la bellezza anche con la bontà, e vorrei chiudere questo dialogo sul tema della bontà, sul fatto che comunque nel mondo, nonostante tutti i problemi, ci sono persone buone. Àgnes auspica alla costruzione nelle città di un monumento al buono ignoto, un monumento che rappresenti tutte quelle azioni buone fatte nell’assoluta segretezza, non manifeste, che non raggiungono i giornali. Chi è per lei una persona buona?

Àgnes Heller: Prima di rispondere alla domanda, mi preme dire una cosa su queste elezioni europee. Attenzione a non farvi sviare dai sentimenti negativi, non bisogna mai perdere la speranza; queste elezioni sono importantissime per il nostro tempo, quindi via il cattivo umore, via la tristezza, via la propensione a prendere in considerazione solamente i problemi, agiamo. Invito ciascuno per come può a fare del proprio meglio, perché attualmente ci vuole uno sforzo collettivo, indipendentemente dalle vostre posizioni, per evitare che ci sia in tutta Europa la possibilità di insediarsi, in maniera stabile, da parte del nazionalismo etnico, perché questo ci porterà alla guerra. Forse le giovani generazioni, che sono talvolta critiche a questo proposito, lo sono proprio perché non hanno vissuto una guerra e non avendola vissuta, non la capiscono. Il nazionalismo etnico sicuramente apre una grande domanda nel territorio europeo: ci sarà una guerra europea? Probabilmente non mondiale, ma sicuramente ci saranno dei conflitti a livello degli stati europei, se si continua sulla base del nazionalismo etnico e noi questo dobbiamo evitarlo. Parlando di bellezza mi rifaccio a ciò che ha dichiarato Adorno, il quale ha definito la bellezza come promessa di felicità, ma non della felicità di una popolazione, ma della tua, la mia, la sua felicità, cioè la felicità individuale e soggettiva, che può provare un essere umano. Quindi ha decisamente più a che vedere con l’estremizzazione dei nostri sentimenti, che non con le dichiarazioni politiche. Dal punto di vista di una declinazione della bellezza, io ho un desiderio che ho sempre espresso, vorrei tanto che ci fosse una città in cui si ergesse un monumento al buono ignoto. Il mondo è pieno di città con monumenti al milite ignoto. Il buono ignoto è qualcuno che vi aiuta, qualcuno che vi tira fuori dai problemi senza dire: “sono stato io che ho fatto questo”, “sono stato io che ho fatto quello”, ma “l’ho semplicemente fatto” e con questo vi garantisco si potrebbe salvare il mondo. Se le persone sopravvivono e se le persone sono sopravvissute è perché c’è stata della gente buona, ve lo esplicito con un aneddoto che ha a che vedere sia con i campi di concentramento sia con i gulag: i sopravvissuti hanno sempre affermato che l’unico motivo per cui siano riusciti a sopravvivere è perché hanno incontrato una brava persona e allora, se questa cosa vale per loro, dovrebbe valere come concetto universale.

Nota: Trascrizione, non rivista dall’Autore, della conferenza tenuta a Brescia in data 14.3.2019.