Piavoli, l’ultimo poeta del cinema

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Avvenire – Martedí, 20 Giugno 2023

Domani compie 90 anni il più appartato e poetico dei registi indipendenti. Sostenuto agli inizi da Agosti e Bellocchio, nell’82 con “Il pianeta azzurro” stregò Tarkovskij

«Econ parole d’aria, ho scritto poesie sulle ombre della sera, del silenzio e delle solitudini del ragazzo e del giovane che fui». Questa frase del poeta e scultore Umberto Bellintani, (tratta da una lettera indirizzata al critico Alessandro Parronchi) sintetizzano più di tante parole il “cinema di poesia” di Franco Piavoli . Cineasta ultraindipendente, al limite dell’anarchia, che, alla vigilia dei suoi 90 anni, li compie domani 21 giugno, andiamo a stanarlo nel suo centro di gravità permanente, il borgo natio di Pozzolengo (Brescia). «Qui da sempre è la mia casa e da quassù, dalle mie dolci colline moreniche che guardano verso il Lago di Garda, al riparo dal rumore delle città, osservo il mondo, la natura e trovo pace e ispirazione per i miei film». Pozzolengo, oltre a Piavoli ha avuto un altro “genius loci”: il più grande fotografo del secolo scorso, Ugo Mulas (1928-1973). « Da ragazzi con Ugo siamo stati molto amici e grandi compagni di passeggiate. Ci univa la stessa passione per l’esplorazione, io ero più proiettato verso la natura, Mulas più verso quella nostra società che negli anni ‘60 stava rapidamente cambiando. Nel suo osservatorio milanese del Bar Jamaica, dove siedeva assieme al fotografo Mario Dondero e allo scrittore anarchico Luciano Bianciardi, credo di esserci stato una volta soltanto, perché raramente sconfinavo dal nostro paese. E tutto il mio cinema, chi lo ha visto sa, qui inizia e qui finisce…».

E il primo ciak ideale lo diede da ragazzo, grazie a un dono piovuto dal cielo: un super8 di proprietario ignoto. Trovai quel super8 sul traghetto, al Garda, forse era di un turista tedesco che lo aveva dimenticato lì. Pensai davvero che fosse un dono del cielo, e con quella camerina, nel 1953, girai il mio primo corto, Uccellanda di cui non so neppure se da qualche parte in soffitta conservo ancora una copia.

La sua prima pellicola a colori, con sonoro, è del 1961, Le stagioni, in cui compare sua moglie Neria.

La prima protagonista di un mio film – ricorda emozionato – Neria era una ragazza di una bellezza particolare, ne ero innamoratissimo e così cominciai a riprenderla in questa passeggiata attraverso le stagioni della vita. Poi Neria è diventata mia moglie e la mia collaboratrice imprescindibile, fino alla fine. Da dodici anni non c’è più. Neria ha lasciato un grande vuoto che provo a colmare ogni giorno sognandola qui vicino a me o mettendomi a dormire al suo posto nel letto, dove c’è ancora il suo cuscino. Dal nostro amore è nato Mario che mi ha aiutato tanto nel mio lavoro e ora è un regista che fa film per conto suo.

Nell’82 momenti di inaspettata celebrità con Il pianeta azzurro, film sponsorizzato” da due cineasti unici, Silvano Agosti e Marco Bellocchio.

Agosti essendo un bresciano avevo avuto modo di incontrarlo dalle mie parti, poi la passione per il cinema mi ha portato ad andare a trovarlo a Roma nella sua mitica sala, l’Azzurro Scipioni. Silvano si è affezionato talmente tanto a me da regalarmi tanti consigli preziosi e perfino l’Arriflex, la macchina con cui ho girato Il pianeta azzurro. Bellocchio si innamorò del film, poi nel tempo ci siamo visti e qualche anno fa mi ha voluto suo ospite al Festival che organizza a Bobbio dove ho tenuto un corso spiegando a dei ragazzi il senso del mio fare cinema. Gli avrà dunque parlato di un “cinema di poesia” . “Cinema di poesia” è una definizione che mi piace e mi inorgoglisce. Io so solo che in tutti questi anni ho cercato di realizzare una forma di cinema in cui spesso le parole diventano inutili. Ai dialoghi ho preferito le espressioni del corpo, attraverso la modulazione dei suoni e della voce umana e i versi degli animali. L’incanto e la profondità di un gesto e un suono semplice come il bussare a una porta, il rumore del vento o dell’acqua, il fischio di un treno o il canto di un uomo o di un uccello, così come i silenzi e le pause nei nostri discorsi e nella comunicazione quotidiana, nel mio girare assumono un valore ancestrale, quasi eterno.

Nostos, il suo film su Ulisse fa pensare a Nostalghia del maestro russo Andrej Tarkovskij, un altro dei suoi ammiratori “segreti”.

Non ho avuto la fortuna di incontrare di persona e di stringere la mano a Tarkovskiji, ma so che era presente al Festival di Venezia quando presentai Il pianeta azzurro, e dopo averlo visto, tramite un amico, mi fece arrivare una lettera in cui mi ha scritto: « Il pianeta azzurro, poema, viaggio, concerto sulla natura, l’universo, la vita. Un’immagine diversa da quella sempre vista». firmato Andrej Tarkovskij. Questo messaggio lo custodisco tra i ricordi più cari, l’ho persino incorniciato e appeso alla parete qui in casa. Da amante del cinema di Pier Paolo Pasolini, come il Poeta di Casarsa, anche Piavoli non ha mai usato attori professionisti, tranne che in Nostos. Infatti è stata l’unica occasione in cui ho ceduto a un attore di professione, Luigi Mezzanotte (Ulisse), al quale ho chiesto di parlare un linguaggio che fosse una fusione del greco antico. Due cose mi interessavano che arrivassero al pubblico: l’importanza della lingua arcaica, e la resa del personaggio di Ulisse nel quale doveva emergere, più che il guerriero violento, il padre e il marito che fa ritorno dalla sua amata Penelope, che poi nel film era sempre la mia Neria. Da Omero Al primo soffio di vento, titolo di un altro splendido film il cui titolo è tratto da una citazione delle Argonautiche di Apollonio Rodio. Ma, da ex professore di diritto, dove nasce questa passione per i classici?

Al liceo di Desenzano del Garda e dall’incontro con il mitico professor Marcolini. Le sue lezioni le ho conservate nella memoria e inserite qua e là nel mio cinema. La passione per l’epica, come per l’etimo delle parole, è un gioco quotidiano che non ho mai smesso di praticare. Passione anche per la poesia, specie quella di Umberto Bellintani al quale ha dedicato il corto Affettuosa

presenza.

Umberto, mantovano di San Benedetto Po, è stato un grande amico. Affettuosa presenza è stato il mio personale risarcimento verso un grande poeta che la scuola ignora (i suoi libri sono introvabili) così come la critica letteraria, a parte Alessandro Parronchi il cui carteggio con Bellintani ha ispirato il cortometraggio. La sua ultima opera, del 2016, è un altro corto, Festa.

Lo presentai al Festival di Locarno. Racconta di un giorno di festa e la fiera di Monzambano, un paesino qui vicino a Pozzolengo. Quel giorno, dopo la Santa Messa che si celebra all’aperto, il parroco benedice tutti e dice: «Adesso via, andate tutti a ballare!». E tutti, giovani e anziani, si ritrovano a ballare sull’aia accanto alla chiesetta. È una delle tante tradizioni che sopravvivono quassù, dove la tecnologia e i social sono arrivati certo, ma in qualche maniera è come se il tempo si sia fermato. Le minacce di “cancellazioni” sono forti, come ovunque, ma la tradizione ha radici profonde, memorabili, e io spero che ci aiutino a prolungare questo stato di “immortalità”. Nei suoi pensieri ricorre spesso la parola «eterno», «immortalità»… Che rapporto ha con Dio ? Ho un rapporto intimo perché provo un legame stretto con tutte le cose e le creature esistenti in natura, davanti alle quali provo meraviglia e devozione. Due stati d’animo, meraviglia e devozione, di cui tutti noi abbiamo bisogno per superare le difficoltà, i dolori e le atrocità, che dobbiamo affrontare per poter tornare a gioire dei momenti di serenità e di pacifica coesistenza con il Creato. Quale sarà il suo prossimo racconto intorno alle stagioni della vita e del Creato? Sto per compiere 90 anni e da qualche mese non ho le energie necessarie per prendere in mano una videocamera… dice con un sorriso sornione -. Le idee ci sono, avevo cominciato a girare attratto dal tema del “Pane quotidiano”, il valore del cibo per gli uomini e per gli animali. Poi sono passato alla ricostruzione del “Paradiso terrestre”, attraverso la storia di due giovani che vivono immersi nella bellezza delle mie campagne. Adesso sto ascoltando Chopin, magari questa musica celestiale uno di questi giorni mi aiuterà a girare ancora, e a finire uno dei due film…Magari accadrà.