Platone alla ricerca della sapienza

Voglio effettuare alcune constatazioni prima di parlare del tema assegnatomi. Proprio qui a Brescia avevo pubblicato, insieme ad Antiseri, una storia della filosofia per i licei, di cui cinque mesi fa è uscito il quarto volume nella traduzione in russo. Ne hanno pubblicate ventitremila copie e le hanno esaurite in un giorno solo. Ho domandato: “Per quale motivo?”. Mi è stato risposto: “La cultura comunista ha svuotato le anime di tutti totalmente nel tentativo di introdurre le nuove idee. Oggi chi ha una fede, il cuore lo riempie, ma chi non ce l’ha, cerca nella filosofia punti di riferimento”. Mi hanno riferito inoltre che non possono ristamparlo, perché il costo della carta è aumentato moltissimo: le ventitremila copie uscite dalla casa editrice sono andate in libreria, ma chi va a comprare il libro, non ha i soldi per pagarlo subito. Lo prende e poi lo paga a rate, in quanto gli stipendi dei professori universitari sono pari a duecentomila lire al mese e le risorse di uno studente sono di quindici dollari al mese per vivere. Quindi, prima che ritornino i soldi alla casa editrice per una ristampa, passa moltissimo tempo.
In Polonia stanno traducendo i cinque volumi della mia filosofia antica e ho chiesto al traduttore: “Come mai fate questa tremenda fatica?”. Mi ha risposto: “Non era proibito, come in Russia, parlare di Platone e di Aristotele, ma era obbligatorio dire che all’uomo d’oggi non avevano nulla da insegnare, presentandoli come insignificanti pezzi da museo”. Un’ultima notizia è quella data da un recente sondaggio per il quale il filosofo più conosciuto di tutti i tempi è proprio Platone. In questa relazione lo prendiamo come specchio per noi uomini d’oggi.
Le grandi rivoluzioni culturali di dimensioni epocali sono state soltanto due: la prima è avvenuta nella seconda metà del quinto secolo e nella prima metà del quarto, proprio all’epoca di Platone (nacque del 427 a.C. e morì nel 347 a.C.), mentre la seconda è in atto ai nostri giorni. Incominciamo a illustrare la rivoluzione culturale dell’epoca di Platone, poi capiremo benissimo la situazione in cui ci troviamo.
La grande rivoluzione avvenuta in Grecia consiste nella definitiva vittoria della tecnologia della comunicazione mediante la scrittura. E’ quindi il passaggio dall’oralità alla civiltà della scrittura. Si tenga presente che la cultura greca, a partire da Omero fine alla fine del V secolo, era fondata sull’oralità: la pubblicazione e la trasmissione di un messaggio avveniva tramite l’oralità, ma anche la conservazione del documento pubblicato avveniva tramite l’oralità. Il criterio che garantisce che un messaggio non venga deformato nella memorizzazione, nella trasmissione, è quello del verso, perché il verso, con il ritmo e la struttura formulare che lo contraddistingue, impedisce modificazioni o, più precisamente, impedisce che queste modificazioni siano di un certo spessore. Molti proverbi sono in forma di verso, perché così vengono fissati.
L’introduzione della scrittura alfabetica non coincide con la rivoluzione. I greci hanno cominciato ad avere i caratteri della scrittura dal VII secolo a.C., però la sua diffusione è stata lentissima. La scrittura venne usata quasi esclusivamente dapprima per qualche ragione pratica. La cultura alfabetica è passata attraverso tre stadi:
1) nella prima fase imparano a scrivere e a leggere pochissime persone per mestiere;
2) successivamente imparano a scrivere e a leggere alcune delle persone più colte, dai più considerate strane, originali (fase di semi-alfabetismo);
3) infine, tra la prima metà del quinto e la seconda metà del quarto secolo, inizia la fase di alfabetizzazione della cultura.
Il primo documento scritto di Omero risale al 700-650 a.C., ma capaci di leggere questo documento erano solo quelli che lo imparavano a memoria, gli aedi. La scrittura di Omero è nata come un supporto all’oralità, non come sostituiva della stessa. Da alcune testimonianze che ci sono pervenute all’inizio del quinto secolo emerge che ragazzi delle famiglie abbienti non imparavano a scrivere all’inizio della loro formazione, ma in una seconda fase. In un primo momenti il maestro, con la cetra, insegnava loro ad imparare a memoria. Basti pensare che Aristofane, nelle commedie scritte alla fine del V secolo, metteva alla berlina il libro, considerato qualcosa di ridicolo e di strambo.
Il primo libro di filosofia pubblicato intorno alla metà del quinto secolo fu scritto da Anassagora, ma la vera produzione di libri filosofici iniziò con Protagora e Isocrate tra il 436 e il 338. La cultura della scrittura cambia radicalmente in modo di trasmettere il sapere. Questo creò dei contrasti. Il pubblico colto per tre secoli aveva parlato con il linguaggio di Omero, l’Iliade e l’Odissea erano la “Bibbia” dei greci.
Socrate invece effettua un taglio netto con questa tradizione, considerando “vacua” la ripetizione mnemonica dei testi omerici. Quando si verifica l’impatto tra le due culture, cambia il modo di pensare e di esprimersi, si guardano le cose con una nuova ottica e cambia anche il rapporto con gli uomini. Il modo di pensare nei poemi omerici era di pura fantasia e il ragionamento avveniva per immagini; il filosofo invece chiede il perché, il significato della citazione: per questo viene accusato di corrompere i giovani, perché corrompe il modo tradizionale di pensare. L’espressione poetica ritmica per immagini viene sostituita dai concetti, una rivoluzione di portata immensa.
Di fronte a questa rivoluzione, Platone ha preso una posizione straordinaria. Nella Repubblica Platone polemizza con Omero, che vorrebbe escludere dalla città ideale. La presa di posizione di Platone contro Omero costituisce una polemica contro l’oralità mimetico–poetica, cioè l’imparare a memoria con il ritmo e ripetere in quel modo.
Ad un certo punto, però, Platone difende l’oralità, ovvero il nuovo tipo di oralità portata dai filosofi, in particolar modo introdotta da Socrate. E’ un tipo nuovo di oralità, che scava nell’anima dell’uomo; Platone ha scritto che il grande scrittore è colui che scrive nell’animo degli uomini.
Il corpus degli scritti platonici è primo al mondo, ed è un’autentica rivoluzione fatta con la scrittura. Platone però critica anche la scrittura, e qui risiede la sua grandezza, affermando che lo scritto comunica il 90% delle cose, ma non la realtà più profonda. Questa la si può comunicare solo nell’ambito dialettico, cioè da un’anima che parla ad un’altra anima. Platone, come scrittore, ha fatto un gioco, sia pure il più sublime, ma tutta la sua serietà non l’ha messa nei libri, bensì nell’Accademia, che può essere considerata la prima università del mondo. L’Accademia era il luogo dove si incontrano tutti i geni dell’epoca in tutte le materie; in particolare, di grande spessore era la scuola matematica che fu la più alta dell’antichità (sembra che, grazie a Platone si ebbe il passaggio dalla geometria non euclidea alla geometria euclidea).
Altra grande scoperta di Platone è riscontrabile nel Fedro, dove sono tratteggiate le fondamenta della psicologia occidentale. Per il filosofo le regole per un logos perfetto sono la conoscenza completa di ciò che si dice e dell’anima dell’interlocutore, e la capacità di scrivere in proporzione alla possibilità di recepire da parte dell’interlocutore. Secondo Platone il grande dialettico non è solo colui che sa parlare, ma anche colui che sa tacere, nei momenti in cui bisogna tacere, ossia quando l’altro non può capire cosa si dice. I dialoghi platonici, solitamente, vanno avanti a strati: giungono ad un problema e questo si impiglia in quanto si dovrebbe introdurre un concetto di soccorso che aiuti ad andare oltre. I dialoghi si bloccano ad un certo punto in quanto il soccorso può venire soltanto dall’oralità.

Molti ritengono che la rivoluzione della scrittura sia avvenuta nei primi quarant’anni del XV secolo, con l’invenzione della stampa, grazie alla quale i costosissimi libri scritti a mano possono essere prodotti in maggior numero e a minor prezzo. Questa però è una rivoluzione sociale, non riguarda il tipo di comunicazione. Tra l’altro questi costi stanno ritornando elevati per certi tipi di edizioni scientifiche: il numero dei lettori si restringe sempre più ed è inevitabile l’aumento del costo.
Oggi sta avvenendo un fatto addirittura straordinario: la vincitrice dell’epoca di Platone, la scrittura, è stata sconfitta. Secondo una statistica i giovani tendono a leggere sempre di meno, non solo libri, ma anche quotidiani. Il dramma è un altro: scrivono sempre peggio, commettendo sempre più spesso errori grammaticali e sintattici, anche dopo la laurea. Alcuni errori di lingua si leggono nei giornali e si ascoltano in televisione, tranquillamente. I giovani sono ormai condizionati dalla cultura dell’immagine, la quale li abitua ad una visione globale generica, facendo perdere loro la capacità di puntare l’attenzione su particolarità specifiche. Alla cultura dell’immagine, oggi, si è aggiunta anche quella del computer e degli strumenti tecnologici sempre più sofisticati.
Sta capitando ciò che avvenne al momento di passaggio tra l’oralità e la scrittura: nasce un nuovo modo di creare i contenuti, un nuovo modo di pubblicarli e diffonderli, un nuovo modo di instaurare rapporti con le cose e con gli altri uomini. La sintassi dei concetti è molto diversa dalla sintassi delle immagini, viviamo nel momento in cui se la cultura dell’immagine è stata assorbita ormai da tutti, non è stata ancora assorbita quella connessa dei nuovi strumenti di comunicazione. Con noi, come scrive Montale in una sua poesia, sta finendo un’era e ne sta iniziando un’altra, ma completamente diversa.
Le rivoluzioni culturali del tipo di quella attualmente in atto richiedono mutamenti di sensibilità; s’impone la necessità che la scuola formi gli uomini in maniera diversa. Oggi l’analfabetismo tecnologico condizionerà i giovani nella società futura. Non pochi, all’interno della scuola, respingono i nuovi strumenti, altri invece per introdurre questi, vogliono distruggere ciò che c’era prima. Siamo ancora lontani da una situazione che permetta l’accordo tra le parti in causa, perché alcuni ritengono che se non recuperiamo quello che stiamo perdendo finisce la cultura, altri dicono che se non affondiamo quella cultura non li costringiamo ad imparare quella nuova. Nella scuola, ed è qui il punto, i professori sono esattamente divisi nei due gruppi prima descritti.
Un altro punto fondamentale è questo: sono le nuove forme di pensiero che derivano da nuove forme di tecnologia e di comunicazione o viceversa? La mia risposta credo convincerà tutti: è equivalente, nuove tecniche nascono da nuovi modi di pensare e, viceversa, nuovi modi di pensare, dinamicamente, sono stimolati da nuove tecniche. La nascita di nuove tecniche di portata rivoluzionaria provoca inevitabilmente crisi spirituali, culturali e politiche di portata molto vasta. Ed è proprio quello che noi, oggi, stiamo vivendo.
Le trasmissioni definite spazzatura non sono altro che programmi mancanti di idee e privi di contenuti spirituali adeguati, eppure fatti con una tecnologia avanzata. La conclusione è questa: guai se ci si limita ad educare i giovani istruendoli solo nella nuova tecnologia delle comunicazioni, lasciando alle spalle il passato. Questo sarebbe un errore gravissimo. Nuovi contenuti non nascono eliminando i vecchi, ma superando e inverando quelli precedenti, come direbbe Hegel.
Sarebbe, allo stesso modo, uno sbaglio gravissimo, non educare i giovani in modo adeguato all’uso dei nuovi mezzi. Come in passato il compito principale è stato quello di alfabetizzare i cittadini con la scrittura, quello del futuro sarà di alfabetizzare dal punto di vista tecnologico computeristico tutti i cittadini. Attenzione, però, a credere che i contenuti spirituali creati e conservati mediante la cultura della scrittura possano essere eliminati o ristretti al minimo. Sarebbe come credere che si possono eliminare le radici di una pianta. La pianta cresce ed è robusta solo se ha forti radici. La maggior parte dei giovani utilizza questi strumenti per divertirsi, vuoti di ogni contenuto; se lo strumento non ha un contenuto adeguato è pressoché privo di ogni senso, è vuoto.
Bisognerebbe ricordare il monito di Platone, per il quale il nuovo può essere di grande effetto solo se si mantiene il nocciolo del vecchio. E’ necessaria una mediazione sintetica, costruttiva tra il vecchio e il nuovo. Si tratta di un compito molto difficile e tocca principalmente ai più vecchi. Noi viviamo in una rivoluzione spirituale che, non essendo cruenta, da molti non viene compresa nella sua vera portata.

NOTA: il prof. Giovanni Reale è Ordinario di Storia della filosofia antica presso l’Università Cattolica di Milano e autore di numerose opere di filosofia, tra le quali, la fondamentale Storia della filosofia antica, 5 volumi, Vita e Pensiero, Milano, tradotta in numerose lingue. Il testo qui riportato, non  rivisto dall’Autore, riprende fedelmente la conferenza tenuta a Brescia l’1.12.1998 su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.