Quegli umanisti, figli del Medioevo

L’Umanesimo rinascimentale è un’epoca importante della cultura, epoca complessa e controversa, che nella sua unità ideale va dal XIV al XVI secolo. Petrarca (1304 – 1374), scopritore di codici e poeta, discepolo di Cicerone e di Agostino, apre l’Umanesimo; Leonardo (1452 – 1519) opera il passaggio al Rinascimento propriamente detto, di cui Galileo (1564 – 1642) col metodo sperimentale e Campanella (1568 – 1639) con l’affermazione dell’io come autocoscienza segnano, sul terreno scientifico e filosofico, il terminus ad quem, con notevole ritardo rispetto alla poesia e all’arte, che avevano concluso il loro ciclo storico con la morte di Michelangelo (1564).
La concezione antistorica di Medioevo e Umanesimo rinascimentale come mondi chiusi e opposti nasce dalla rappresentazione che gli stessi umanisti vollero dare di sé. Questa immagine falsata di due epoche, che pure si succedono immediatamente l’una all’altra nel tempo, fu sviluppata dalla storiografia illuministica prima, idealistica e positivistica poi, fino a quando fu attaccata e profondamente modificata dalla più agguerrita storiografia del nostro secolo, la quale ha avuto il merito di operare entro quella compatta realtà storica designata genericamente come Medioevo, una serie di importanti distinzioni cronologiche, ambientali e culturali e di mostrare l’esistenza di almeno tre Umanesimi che hanno preceduto e, in un certo senso, preparato l’Umanesimo rinascimentale. Il risveglio intellettuale in Europa diventa un fenomeno di grande portata e irreversibile, a partire dalla rinascita carolingia, la quale “trovò il suo strumento per eccellenza nella cultura latina” (Pirenne). Nell’età durissima dell’anarchia feudale, anche quando la Santa Sede divenne un giocattolo nelle mani dell’oligarchia romana, fu la Chiesa e non lo Stato feudale il vero organo della cultura. Lo studio, la letteratura, la musica e l’arte, le tradizioni di una civiltà più raffinata, i risultati della stessa recente cultura carolingia, “tutto esisteva principalmente nella Chiesa e per la Chiesa, che era rappresentante della tradizione latina di cultura e di ordine come degli ideali morali e spirituali del cristianesimo” (Ch. Dawson). Una volta superata la seconda e più terribile serie di invasioni barbariche, la cultura torna, dopo il Mille, a diffondersi ed esprimersi in movimenti e personalità di eccezionale interesse.
L’Umanesimo del secolo XII, che ebbe in Francia i suoi più celebri centri di irradiazione (Bec, Parigi, Chartres, Reims, Orléans), fu operante in modo notevole anche in Inghilterra e in Germania e, per il diritto, in Italia. La rinascita del secolo XII non fu accentrata intorno ad una corte o a un asse dinastico e, a differenza del Rinascimento italiano, gl’inizi non furono esclusivi di un Paese (C.H. Haskins). Anselmo d’Aosta, Guglielmo di Chonces, Ottone di Frisinga, Bernardo di Chartres, Abelardo, Giovanni di Salisbury sono personalità eminenti che onorano la cultura universale di ogni tempo, ma che fiorirono nel XII secolo, coltivarono i loro studi con un preciso riferimento alla lezione dei classici di cui disponevano, con grande originalità ed insieme con acuta visione del divenire storico. La tanto citata osservazione “noi siamo come nani sulle spalle di giganti e vediamo più cose e più lontano degli antichi non per nostra superiorità di acume o d’ingegno, ma perché sono essi che ci sollevano e ci innalzano in virtù della loro statura gigantesca” è di Bernardo di Chartres.
I frutti di questo grande risveglio divennero ancora più evidenti quando il ritorno di Aristotele in Occidente e, mediante il genio di Tommaso, la sua incorporazione nell’organismo culturale del cristianesimo in una sintesi rigorosa e insieme aperta ad ogni apporto, quale ne fosse la provenienza, purché conforme all’esperienza e alla verità, fecero del secolo XIII il secolo della rinascita filosofica e della speculazione teologica. La filosofia del secolo XIII ci dette un autentico umanesimo filosofico e cristiano, inaugurando una nuova e più profonda valutazione dell’aspetto razionale della natura umana e dell’unità della persona, com’è dimostrato dalla polemica tomistica con l’averroismo. Il compito storico di Tomma¬so fu di giungere ad un’autentica comprensione dei grandi maestri del passato, di conciliarli tra loro in una visione comprensiva di verità non opposte e anzi, proprio perché situate su piani diversi, capaci di integrarsi a vicenda. Tommaso si confrontò criticamente con Platone, con Plotino e lo pseudo-Dionigi non meno che con Aristotele e Agostino, perché il suo fine ultimo non era quello di conoscere ciò che altri aveva pensato, ma di scoprire la verità. Gli esempi più notevoli – ha osservato lo Jaeger – di questo atteggiamento sono i commentari di Tommaso, in particolare quelli su Aristotele. “Non troviamo esempi di questo tipo di comprensione, che è al tempo stesso particolare e generale, inventiva eppure assolutamente obiettiva, neppure se consideriamo i secoli del più dotto Umanesimo che seguì al periodo degli umanisti poeti del Rinascimento” (W. Jaeger, “Umanesimo e teologia”, trad. it. Milano 1958 p. 36). Nelle università Aristotele, un po’ alla volta, sostituì lo studio dei classici latini e Gilson ha potuto parlare di "exil des belles lettres", esilio contro cui gli umanisti protestarono vigorosamente, a partire dal Petrarca, cristiano ma antiscolastico; e nondimeno non è lecito dimenticare che l’Umanesimo filosofico e teologico del Duecento ha trovato anche un’espressione poetica altissima nell’opera di Dante e che Dante, più di ogni altro, ci rivela pienamente il significato umanistico della filosofia di Tommaso e della rinascita aristotelica.
Appare, quindi, chiaro che l’Umanesimo rinascimentale non fu il fenomeno straordinario ed unico che si è voluto credere e che il contrasto di quella cultura con tutta la cultura precedente non fu affatto così netto come sembrò agli umanisti e come sembra ai loro seguaci moderni, se si pensa che lo stesso Medioevo conobbe risvegli intellettuali i cui fermenti non andranno perduti nei tempi successivi e la cui natura fu senz’altro molto vicina a quella del più famoso movimento quattrocentesco. Vi è continuità storica tra Umanesimi medioevali e Umanesimo rinascimentale, e questo punto dev’essere ormai ben chiaro; e, d’altra parte, ognuna delle due epoche, congiunte da un rapporto di successione, per cui il tramonto dell’una si confonde con il sorgere dell’altra, ha una propria fisionomia storica, ha sue originali caratteristiche.
L’Umanesimo rinascimentale si svolge in un quadro di condizioni storiche che sono in rapida evoluzione, assai dissimili da quelle di altre epoche, e si genera da un nuovo atteggiamento spirituale, da un’esaltazione della vita e dell’uomo che va al di là delle fonti bibliche e cristiane, a cui non era ignota la centralità dell’uomo nell’universo. La celebrazione dell’uomo, nella quale vibra un entusiasmo nuovo ed esuberante, e che cerca nell’autorità dei classici una fonte e una giustificazione, è il motivo comune dell’Umanesimo rinascimentale. Questo atteggiamento di pensiero passa, però, attraverso variazioni molteplici, talvolta divergenti e tuttavia riconducibili, con una certa approssimazione, a tre orientamenti principali. In sintesi, nell’Umanesimo rinascimentale era diffusa la tendenza al compromesso tra l’inquietudine passionale e la coscienza cristiana, alla quale non si vuol rinunciare (Lorenzo il Magnifico e Lorenzo Valla); né mancava la componente del naturalismo immanentistico, cui si accompagna il rifiuto o la messa tra parentesi, e comunque la svalutazione, della visione cristiana della vita (Machiavelli e Bruno). La corrente che sovrasta ogni altra, tuttavia, è quella dell’umanesimo cristiano (da Petrarca a Cusano, da Salutati a Vittorino da Feltre, da Ficino e Pico, da Erasmo a Tommaso Moro), che concilia in bella armonia lo studio dei classici e lo spirito cristiano, un’alta concezione della dignità dell’uomo e la profonda fedeltà all’ispirazione evangelica.

Giornale di Brescia, 28.11.1994.