Ripensare Sturzo

 “Non volli mai trasformare i nostri incontri in un dibattito polemico: dall’altra parte del tavolo c’era un uomo e un sacerdote che aveva alle sue spalle un’esperienza politica e morale di fronte alla quale io non potevo che scomparire. Mi disponevo con lui più ad ascoltare che a controbattere. Lo rispettavo e lo amavo perché, qualunque fossero i suoi sfoghi e le sue polemiche, egli esprimeva sempre un’ansia di libertà, una passione religiosa, una tensione morale quale nasce da singolare preveggenza e che mai mi accade di ritrovare in altri uomini della nostra recente storia”.
Con queste parole Gabriele De Rosa ha iniziato la sua conversazione alla Pace, nella sala "Bevilacqua" gremita di pubblico, sul sodalizio che, a poco a poco, venne a stabilirsi tra il futuro storico di maggior rilievo del movimento cattolico in Italia e Luigi Sturzo, grande iniziatore di quel movimento. Gli incontri si svolsero nell’arco di cinque anni di quel mirabile vecchio, dal maggio del 1954 al luglio del 1959, in una stanza disadorna del convento delle Madri Canossiane a Roma. Propiziò l’incontro Giuseppe De Luca, altra forte personalità di sacerdote e di intellettuale, amico e consigliere prezioso della nostra "Editrice Morcelliana", presso la quale De Rosa ha pubblicato il testo delle sue conversazioni con Sturzo, Sturzo mi disse.
Sturzo aveva passione per la filosofia, amava le lettere, gli piaceva la musica, compose egli stesso poesie e drammi, fu prete di fede profonda. Il suo fu un temperamento esuberante, vulcanico. La politica fu l’ultima delle attività a cui da giovane avrebbe potuto pensare. A spingerlo in quella direzione furono la Rerum Novarum lo stato di disgregazione sociale di massa dei contadini meridionali e della piccola borghesia, urbana e rurale, che non beneficiavano della scelta protezionistica, al cui riparo prosperavano i privilegi degl’industriali del Nord e l’organizzazione socialista degli operai. È qui che si situa la battaglia meridionalistica di Sturzo, il suo impegno esemplare nel suscitare il gusto e gli strumenti istituzionali per il buon governo delle amministrazioni locali. Fu quell’uomo che nel 1919 dette vita, nel marasma del dopoguerra, mentre la classe politica liberale era in disfacimento, al primo grande movimento politico dei cattolici italiani con un programma originale, le cui idee-forza sono il fondamento, la ragion d’essere ancor oggi del nostro modo di pensare e fare politica: democrazia pluralistica, pluralismo delle istituzioni, riforme sociali che non si accompagnassero al parassitismo e al disservizio, instaurazione dello stato di diritto e non certo dello Stato padre e padrone.
Il motto sturziano scelto a insegna dell’incontro e campeggiante sul manifesto della CCDC, “Né il conservatorismo, né lo stato panteista ci attireranno mai nella loro orbita”, è parso a De Rosa la sintesi più felice della lunga battaglia etico-politica di Luigi Sturzo. Il messaggio politico di Sturzo ha valore paradigmatico anche per un’altra sua ardita, felice intuizione: la politica non dev’essere mai separata dalla morale, se vuoi servire la promozione dell’uomo, e per un europeo dall’ispirazione cristiana; ma la schietta ispirazione cristiana ci vieta di inalberare la fede come vessillo di partito e ci comanda l’autonomia rispetto alla Chiesa, l’aconfessionalità del partito.
Contro l’errore del liberalismo, che reputa la religione un affare privato e si configura un surrogato laicistico di essa come principio informatore della morale pubblica e collettiva; ma, proprio per questo, egli si rifiuta di confondere partito e cattolicesimo: “il cattolicesimo è religione, universalità; il partito è politica, divisione”. Un partito non dev’essere emanazione di organismi ecclesiastici e non ha il diritto di parlare in nome della Chiesa.
Ci può essere maggior giustizia sociale, quando lo Stato si trasforma in un datore di lavoro, quando l’attività economica è dominata dal più irresponsabile capitalismo, il capitalismo di Stato, che gode di ogni privilegio e di ogni protezione, divenendo inevitabilmente fonte di spreco del danaro pubblico e appannaggio ad ogni livello, di uomini il cui unico merito è quello di appartenere all’uno o all’altro partito e all’una o all’altra corrente di partito? Sturzo vide tutti i rischi mortali connessi al nuovo capitalismo di Stato con cui, influenzati dalle mitologie di una sinistra arcaica, si è creduto da parte di non pochi di vincere situazioni di arretratezza sociale. Oggi l’illusione statalistica comincia a rivelarsi, appunto, illusione. Sturzo leva ancora la sua voce contro la partitocrazia, lo statalismo, la corruzione pubblica, il disservizio cronico di uno Stato che non adempie più ai suoi compiti fondamentali.
 

 La Voce del Popolo, 21.1.1983. Articolo scritto dopo l’incontro con Gabriele De Rosa promosso dalla Ccdc.