Testimonianza da un paese crocifisso: il Libano

E’ una grande consolazione per un cristiano libanese rivolgersi a voi cristiani europei, soprattutto in questo momento in cui noi cristiani del Medio Oriente ci troviamo veramente isolati. Siamo qui in particolare per parlare del Libano. Non è certo un discorso politico, ma religioso ed ecclesiale. Tra il Libano e la Chiesa è stata infatti consacrata un’alleanza. Per il Libano, la Chiesa costituisce il proprio fine e la propria ragion d’essere nel contesto mediorientale, giacché la motivazione principale dell’esistenza del Libano è di rendere gloria alla Santa Trinità nel Medio Oriente. Per la Chiesa d’altra parte il Libano è la terra della propria chiamata e il luogo dell’incontro con “gli altri”. Queste affermazioni non sono né sentimentalismi, né slogans, ma sono verità, pagate da migliaia di martiri e da sangue innocente sparso lungo i secoli.

E’ sufficiente ricordare che un solo paese, al di fuori della Palestina, è stato visitato da nostro Signore: fu nel Sud del Libano che Gesù guarì il figlio della cananea ed entrò in contatto diretto coi pagani. Il Sud del Libano era un centro culturale pagano e la tradizione locale racconta che più volte nostro Signore si recò là per discutere con quegli uomini e per evangelizzarli. E là, a Sud della città di Sidone, si conservano ancora oggi le tracce del passaggio della Madonna, che veniva ad aspettare il proprio figlio alla fine della sua predicazione. Inoltre secondo gli Atti degli Apostoli, più volte i porti del Libano sono serviti per la partenza dei discepoli verso le altre località del Mediterraneo.

Da questo noi comprendiamo come il Libano abbia abbracciato il cristianesimo già nei primi anni dopo Cristo.

Noi cristiani del Libano crediamo che attraverso queste visite Gesù Cristo ha consacrato la vocazione del nostro paese; sull’esempio del Signore qui la Chiesa si deve incontrare con le altre confessioni cristiane e con le altre religioni. In effetti in Libano hanno convissuto fino ad oggi 17 confessioni religiose. La cosa non è stata facile per i Cristiani ed è stata pagata duramente.

Il Libano è un piccolo paese di 10.452 km2, di 3 milioni e mezzo di abitanti, confina a Sud con la Palestina, ad Est ed a Nord con la Siria ed a Ovest è bagnata dal Mar Mediterraneo. E’ divenuto indipendente nel 1943. Per 500 anni aveva conosciuto l’occupazione ottomana, durante la quale era stato governato secondo le leggi dell’Islam. In quella situazione i Musulmani si sentivano padroni, come avveniva e avviene in tutto il Medio Oriente. Poi, dopo la dominazione ottomana e dopo la 1a Guerra Mondiale, il Libano fu posto sotto il protettorato francese per 20 anni. Ai Cristiani libanesi fu assicurata una effettiva tutela ed essi poterono di nuovo dopo secoli respirare la libertà.

Nel 1943, anno dell’indipendenza, per la prima volta Cristiani e Musulmani si trovarono soli faccia a faccia in Libano. Si sarebbe potuto convivere in una forma di rispetto reciproco? Questa grande domanda incombeva sul paese come un’incognita. La comunità musulmana era impregnata di un senso di padronanza e di potere: un atteggiamento maturato attraverso i secoli; va ricordato che secondo le leggi del Corano e la prassi dell’Islam, un musulmano può essere governato solo da un altro musulmano. I Cristiani a loro volta erano impregnati da sentimenti di paura, divenuta ormai cronica a causa di 1400 anni di persecuzione: l’indipendenza era per essi un grande rischio, una circostanza molto difficile. Una parte dei musulmani avrebbe allora voluto unirsi alla Siria perché tale unione rappresentava l’inserimento in un contesto, che avrebbe garantito una specie di continuità al precedente regime politico – religioso islamico. Come reazione, invece, una parte dei Cristiani auspicava la continuazione del protettorato francese, temendo quanto avrebbe potuto tener dietro all’indipendenza.

In mezzo a tante incertezze e timori un gruppo di cristiani ebbe tuttavia il coraggio di lanciare un’iniziativa storica: no alla Siria e no alla Francia, e sì a un Libano unito e indipendente, che avrebbe dovuto diventare una specie di denominatore comune per tutti i suoi compatrioti e la cui missione sarebbe stata quella di offrire a tutto il mondo l’esperienza concreta della coesistenza nel pluralismo.

Questa scelta non fu compiuta a caso; quei capi cristiani del 1943 erano coscienti della dimensione universale che la loro scelta assumeva, e ripetevano sempre ai cittadini libanesi: “Noi non abbiamo ricchezze materiali ma abbiamo dei valori unici che dobbiamo offrire al mondo”. Un gruppo di Musulmani rispose positivamente a quest’iniziativa e fu così che nacque ciò che sarebbe stato chiamato il “Patto nazionale del 1943”. Secondo questo patto, le cariche pubbliche vennero ripartite secondo le tre grandi confessioni religiose. La Presidenza della Repubblica fu assegnata a un cristiano maronita: prima di tutto perché i cristiani maroniti hanno la maggioranza in Libano, ma soprattutto perché vivono la condizione di minoranza, e minoranza perseguitata, nel quadro generale del Medio Oriente; l’affidamento di questa carica pubblica doveva servire da garanzia per placare i loro timori. Fu inoltre deciso che il Primo Ministro fosse un musulmano sunnita, il Presidente del Parlamento un musulmano sciita, il vicecomandante in capo dell’esercito un druso. A fondamento di questa scelta istituzionale non stavano criteri di democrazia quantitativa, ma anzitutto lo spirito dell’incontro nazionale realizzatosi nel 1943.

Va precisato come non sia possibile parlare già nel 1943 di coesistenza, si trattò allora solo di un patto a livello dei capi storici Libanesi. Questo patto, per poter diventare un’esperienza sociale, aveva bisogno di un lungo tempo, di maturazione. La gente doveva abituarsi a vivere insieme in pace, a trattarsi con reciproco rispetto. Le circostanze in cui si venne sviluppando la vita della regione avrebbero creato al riguardo non pochi ostacoli. Indico le tre grandi minacce che hanno attentato a questa forma di coesistenza.

Prima di tutto va menzionato il progetto di islamizzazione, che viene dall’esterno del Libano e che, aizzando i sentimenti di rivincita dei Musulmani Libanesi, ha teso a scagliarli contro i Cristiani. I progetti di islamizzazione sono rappresentati da due piani, diversi tra loro dal punto di vista tattico, ma non dal punto di vista strategico. C’è il progetto sciita, incarnato dalla rivoluzione dei Khomeini, che è progetto diretto, brutale e violento; e c’è un progetto più implicito, più indiretto, che è quello sunnita, patrocinato dall’Arabia Saudita. Quest’ultimo sostiene che con i Cristiani del Libano bisogna agire lentamente, bisogna islamizzare il territorio, prima di islamizzare il popolo: comprare i terreni, comprare le case e le istituzioni, cercare di cambiare la Costituzione libanese dall’interno, trasferendo ai Musulmani le prerogative riservate ai Cristiani maroniti, per arrivare un po’ alla volta a islamizzare tutto il paese. Non so se l’opinione pubblica occidentale abbia mai sentito parlare del grande congresso Musulmano del 1980, dove è stato deciso che da allora si dovesse operare perché a partire dal 2000 non ci fossero più cristiani nel Medio Oriente. Siffatto spirito di islamizzazione ha ovviamente combattuto, in modo molto tattico, la volontà di coesistere tra Cristiani e Musulmani in Libano nel reciproco rispetto e nella giustizia.

La seconda minaccia a tale coesistenza è venuta dalla presenza di Israele alle frontiere libanesi. Per Israele, la formula di coesistenza libanese si è posta come una grave questione, perché se l’incontro tra Cristiani e Musulmani riusciva in Libano, questo significava che anche la coesistenza tra Ebrei e Palestinesi poteva riuscire ed andava ricercata in Palestina. Ma una simile prospettiva è rifiutata. Per legittimare la forma istituzionale del proprio esistere, Israele deve operare per la fondazione attorno a sé di diversi piccoli stati confessionali. In questo senso si spiega l’alleanza segreta che c’è stata tra la rivoluzione iraniana degli estremisti sciiti e gli Ebrei. Per gli estremisti ebrei è importante alimentare tutto ciò che è estremismo religioso in Medio Oriente. Tenendo presente tale contesto risulta allora chiaro perché questo insieme di problemi che si muove alle nostre frontiere sia divenuto un attentato diretto alla nostra formula di coesistenza.

La terza grave minaccia alla coesistenza libanese è rappresentata dal regime totalitario arabo che ci circonda, messo in alto dal partito Baas soprattutto in Siria. E’, questo un partito che si dice laico, costituito in Siria prevalentemente da appartenenti alla piccola minoranza alawita e che, per poter governare, deve ricorrere a un regime di polizia, neutralizzando tutte le tensioni sociali, le differenze confessionali in nome della laicizzazione e dello Stato, ossia del regime. Questo è un grande pericolo per noi ed è quello che oggi direttamente stiamo vivendo.

Cosa ha fatto coagulare ai nostri giorni queste tre minacce contro il Libano? Nel Medio Oriente e nel Libano stesso si è venuta sviluppando tutta una serie di avvenimenti che hanno contribuito alla situazione attuale. Prima di tutto nel 1948 è scoppiato il primo scontro militare tra Arabi e Israeliani, cui è seguito il primo esodo palestinese verso il Libano. Nel 1967 vi è stata la guerra dei 6 giorni tra Arabi e Israeliani, durante la quale gli eserciti Arabi sono stati battuti; e questo ha voluto dire un nuovo, enorme, esodo dei Palestinesi verso il Libano: immediatamente 150.000; poi il numero arriva a mezzo milione nel 1980.

Potete domandarvi: ma perché i Palestinesi han scelto di venire in Libano in così gran numero? Innanzitutto, per una posizione geografica favorevole, con facili vie d’accesso attraverso il sud del Libano; poi perché in Libano vige un regime libero e democratico, una libertà garantita dalla Costituzione: il che ha fatto del nostro Paese, il paese dell’incontro a tutti i livelli. Prima dei Palestinesi, il Libano aveva già ricevuto gli Armeni, i Curdi, e tutti quelli che fuggivano dall’oppressione nei loro paesi: Iracheni, Siriani e altri. Era normale che i Palestinesi scegliessero il Libano. Anche gli altri paesi arabi favorivano questa scelta: nessun paese arabo: aveva mai accettato di ricevere un numero così alto di Palestinesi al suo interno. Basterebbe ricordare gli avvenimenti della Giordania, il “settembre nero”! Sicché paese più idoneo a un tale esodo di massa fu considerato il Libano.

Tutto il popolo libanese era a favore della causa palestinese: furono offerti ai Palestinesi, palazzi, case, territori. Ma un po’ alla volta la presenza palestinese si venne col passare del tempo progressivamente trasformando in una presenza armata. I territori offerti dalla Chiesa si mutarono un po’ alla volta in caserme e campi di addestramento per terroristi.

I musulmani fino ad oggi, e anche in Libano, fondono il senso dell’arabismo e l’Islam. La causa palestinese è la causa di tutti gli Arabi, quindi indirettamente, è la causa musulmana. Se il governo libanese, o meglio il presidente della Repubblica, avesse preso delle misure contro i Palestinesi, ciò rischiava di essere interpretato come un’operazione confessionale, innescando una guerra religiosa in Libano. I Libanesi non la volevano, perché la sentivano venire. Re Hussein di Giordania, non avendo nel suo regno il problema della coesistenza, ha potuto facilmente controllare i Palestinesi. In Giordania, dove i cristiani sono politicamente emarginati non c’è problema di coesistenza e quindi il governo ha potuto prendere le decisioni che ha voluto.

Nel contesto di questa crisi tra Palestinesi e Libanesi di fronte alla paralisi dell’esercito, fu il popolo che dovette prendere le armi per difendersi e per difendere la sovranità dello Stato. t stata questa l’origine delle milizie in Libano: il popolo che prende le armi per opporsi alle organizzazioni palestinesi.

Ma col passare del tempo, un po’ alla volta, dell’analisi degli avvenimenti quotidiani, ci siamo resi conto che c’era un piano preordinato per il Libano da parte delle potenze internazionali. Sempre di più questo piano è divenuto chiaro, ed oggi appare in tutta la sua evidenza. Conosciuto con il nome di “piano Kissinger”, esso mirava a risolvere i problemi dei rapporti tra Israeliani e Palestinesi, cancellando il nostro paese. Tale piano infatti consiste nel trasferimento dei Palestinesi in altro paese diverso dalla Palestina, così da garantire la sicurezza e la continuità di Israele. E il paese designato per tale nuovo insediamento era il Libano.

Il Libano poteva venire agevolmente piegato da un complotto di questo genere: bastava paralizzare il potere, mettere i Libanesi gli uni contro gli altri, e così far passare la stabilizzazione dei Palestinesi. Non sono parole! Perché ricordo bene che cosa disse allora l’ambasciatore americano Dean Brown, al nostro presidente della Repubblica del tempo: “Bisogna fare emigrare i cristiani al di fuori del Libano e il problema libanese sarà risolto”. Erano già pronti i battelli e anche i territori in Canada. Avevano già scelto loro il Canada! E va qui detto, tra parentesi, che due settimane dopo la resa del generale Aoun, le autorità canadesi hanno aperto le porte dell’immigrazione per un milione di Libanesi: mai vi erano stati simili facilitazioni! E’ davvero singolare il parallelismo tra il “piano Kissinger” e quanto dichiarato da capo del fronte progressista e comunista in Libano: “Per noi Palestinesi sono sufficienti cinque giorni per buttare a mare i cristiani”.

Quando la guerra è scoppiata, nel 1975, tutti credevamo che si trattasse di un incidente, che potesse durare al massimo due settimane, perché era già da cinque anni che si susseguivano una serie di piccoli incidenti. Ma questa volta era una cosa seria e abbiamo dovuto veramente resistere contro tutti, non solo cinque giorni, ma quindici anni, fino ad oggi: cosa che ha sorpreso il mondo intero e ha ritardato la “normalizzazione” del Medio Oriente. E’ mancata la rassegnazione dei cristiani perché tutto passasse in silenzio.

Fortunatamente per noi la realizzazione del piano ai danni dei Libano non è stata facile. Dopo un anno di guerra feroce, la Lega Araba ha deciso di intervenire per risolvere il problema. I rappresentanti dei paesi arabi si sono riuniti per una prima volta a Riyadh, la capitale dell’Arabia Saudita, per decidere la soluzione del caso libanese. Si sono mandate delle forze di intervento arabe con la motivazione di imporre la pace e riconciliare tra loro i Libanesi, nonché di neutralizzare la resistenza palestinese armata. Qualche mese dopo tutti gli eserciti arabi si sono ritirati per una ragione o per l’altra ed è restato a presidiare il Libano solo l’esercito Siriano che occupava l’80% del territorio.

Comprendemmo subito come la Siria avesse aspettato la copertura araba per entrare ufficialmente in Libano, adducendo al riguardo molte giustificazioni. Prima di tutto s’era appellata alla necessità, d’attuare un equilibrio strategico con Israele, che occupava il Sud; e, dal momento che Israele era nemico di tutti gli Arabi, la Siria dichiarava di assumere nel territorio libanese un ruolo eroico come nazione araba. La seconda giustificazione era stata la riconciliazione dei Libanesi; la terza, la neutralizzazione dei Palestinesi. Ma tutte e tre queste giustificazioni erano solo dei pretesti: quando Israele nell’82 invase il Libano l’esercito Siriano si ritirò senza combattere. In effetti la Siria non vuole la guerra con Israele; vuole solo disporre del territorio libanese. Anche in merito alla resistenza palestinese, il regime siriano, anziché neutralizzarla la divise in 2 fazioni: una rimasta fedele all’Olp e una passata sotto gli ordini della Siria. Sicché, invece di lavorare per la riconciliazione di Palestinesi e Libanesi, la Siria ha fatto di tutto per boicottare ogni iniziativa politica ed ogni tentativo di azione coordinata in Libano, ricorrendo a pressioni esercitate soprattutto sul primo ministro, e più in generale sui ministri musulmani che abitano nelle zone occupate dal proprio esercito. Si impedì a questi ministri persino di incontrarsi col Presidente della Repubblica, per assumere decisioni importanti per la nazione.

Abbiamo così capito che uno storico disegno siriano, iniziava a realizzarsi in Libano. Il regime siriano non aveva mai riconosciuto il Libano come una nazionale indipendente. Dal 1943 la Siria non ha mai allacciato relazioni diplomatiche col Libano. In pubblicazioni uscite in Siria l’anno scorso, il Libano non appare: è scritto solo che la Siria ha come confine occidentale il Mar Mediterraneo (il generale Aoun aveva mostrato questi volumi in una conferenza stampa, per cercare di screare il complotto di cui il Libano era vittima). E del resto durante tutti questi 16 anni la Siria aveva costantemente cercato di realizzare accordi di pace col Libano, fino ad oggi, fortunatamente naufragati, che pretendevano, ad esempio, il cambiamento dei programmi scolastici in Libano, l’addestramento degli ufficiali libanesi in Siria, l’inserimento dell’esercito libanese nella strategia di difesa siriana. In altre parole, il regime siriano voleva annettersi completamente l’identità libanese, ad immagine di quanto un altro regime totalitario aveva tentato di fare con propri satelliti.

In effetti, per poter annettere totalmente una società bisogna cambiarne le categorie di pensiero, la cultura, e questo non era facile da realizzarsi in Libano. Noi siamo una società multiconfessionale nel vero senso del termine. Noi abbiamo dei programmi scolastici del tutto autonomi, sia a livello di Cristiani, che di Musulmani. Abbiamo una costituzione che permette a qualsiasi confessione religiosa presente in Libano di perseguire le sue proprie finalità. Noi abbiamo nel cuore il rispetto delle differenze. Sicché a livello di mentalità collettiva, noi non possiamo proprio accettare gli obbiettivi siriani in Libano.

Su tale base si determinò il conflitto tra Libanesi e Siriani. Ci furono bombardamenti atroci, che non hanno risparmiato né scuole, ne ospedali, né ospizi per vecchi, né chiese, ma soprattutto tutte le industrie: si è mirato a distruggere le infrastrutture e l’economia libanese, per spingere il popolo alla rassegnazione.

Nell’82 Israele invase il Libano e, come già detto, l’esercito siriano si ritirò da una parte del territorio. Allora divenne Presidente della Repubblica Bashir Gemayel, che era stato capo della resistenza. Fedele alla tradizione libanese, egli si appellò a tutte le confessioni religiose lanciando il suo slogan più conosciuto “Siamo 10.450 Kmq.”: come dire, tutto il Libano con tutte le sue confessioni. E’ allora ch’egli venne assassinato da un miliziano pro-siriano. Fu immediatamente chiaro che il motivo era la coesistenza da lui perseguita. In Libano c’erano due cose proibite dal complotto: la prima, dichiarare che il Libano è una realtà indipendente e sovrana, con riconoscimento internazionale; la seconda, che il Libano vuole vivere secondo la sua formula di coesistenza tra le diverse religioni.

Ma anche dopo la morte di Gemaiel, il popolo libanese continuò a resistere. Il fratello di Bashir, Amin, venne eletto al suo posto. Avviò dei negoziati con gli occupanti israeliani alla presenza di una delegazione americana, arrivando all’accordo del 16 maggio 1983. I carri armati siriani si lanciarono allora contro la zona libera, per impedire al Presidente di firmare l’accordo. Il Presidente della Repubblica chiese assicurazione agli Americani e all’Onu, e anche agli Israeliani, che se avesse firmato l’accordo, ci sarebbero state delle garanzie internazionali per impedire l’invasione siriana. Ma nessuno voleva mettersi in guerra con la Siria. E così la Siria è riuscita a spuntarla di nuovo. Il Presidente non firmò l’accordo del 16 maggio, nonostante ci fossero già le firme di tutte e tre le delegazioni, la libanese, l’israeliana e l’americana.

Da allora la Siria iniziò a far infiltrare le milizie iraniane in Libano attraverso Damasco. Fece esplodere il quartier generale dei Marines, della forza multinazionale, e anche quello dell’esercito francese, causando la morte di centinaia di soldati. Ne seguì il ritiro delle forze multinazionali, che erano entrate dopo l’invasione israeliana per garantire il ritiro palestinese e lo svolgimento dei negoziati.

Il Libano si trovò nuovamente solo, ma questa volta occupato da quattro eserciti stranieri e destinato a subire uno dei più terribili massacri.

Per vendicarsi del Presidente e dei Cristiani liberi, gli Israeliani si ritirarono dalla montagna, senza sincronizzare questo ritiro con l’esercito libanese, lasciando passare al loro posto gli eserciti siriano e palestinese: fu allora che migliaia di cristiani vennero massacrati, la maggior parte all’arma bianca.

Questa è stata la situazione fino al 1988, data in cui il generale Aoun fu nominato capo del governo libanese. Il generale Aoun era nello stesso tempo, capo dell’esercito e capo del governo: per la prima volta nella nostra storia, l’organizzazione militare si allineava con quella politica, sicché l’ostacolo che aveva paralizzato il governo nel 1975 risultava, a questo punto, rimosso.

Il generale Aoun cercò di essere veramente il capo di Stato del Libano. All’Onu giacevano molte risoluzioni per il ritiro degli eserciti stranieri dal Libano: come capo di Stato chiese a tutti i capi dei governi e al Presidente delle Nazioni Uniti di onorare le loro firme al Consiglio di sicurezza e cercare di rendere esecutive queste risoluzioni; allo stesso tempo, internamente, aprì tutti i passaggi tra le diverse regioni libanesi, tra i settori cristiani e musulmani; istituì poi una camera di operazioni marittime per chiudere tutti i porti illegali, controllati dalle diverse milizie, che erano fonti di contrabbando e di traffico di droga. Immediatamente queste misure furono accolte dai capi musulmani con favore. Ma qualche giorno dopo arrivarono gli ordini della Siria e ci trovammo di fronte a discorsi del tutto diversi. Si ebbe così un nuovo inizio delle ostilità: prima di tutto vennero bombardate le linee di demarcazione, per chiudere nuovamente i contatti tra i Libanesi, e furono riaperti i porti illegali. A quel punto il generale dichiarò la guerra di liberazione.

Il mondo intero vi assistette per 2 anni. Nuovamente si parlò del Libano occupato e bombardato dagli eserciti stranieri. Il Parlamento Europeo approvò una risoluzione, che riconoscendo tale situazione, ne chiedeva la cessazione. Vi furono poi numerosi appelli del Santo Padre, di cui il più famoso è quello del 15 agosto 1989, che è contro gli occupanti e contro il genocidio dei Libanesi commesso dai Siriani. In tale contesto, i Paesi Arabi inviarono nuovamente degli emissari. Si formò quella che è stata chiamata la troika araba, per cercare di risolvere il problema. Trovatisi di fronte ad una situazione di stallo, i tre diplomatici dichiararono pubblicamente, nel luglio del 1989, che le soluzioni in Libano erano bloccate a causa della presenza dell’occupazione Siriana.

Il mese dopo, in seguito a una serie di intensi contatti tra Arabia Saudita e Stati Uniti, si incominciò a sentir parlare di un incontro di deputati libanesi in Arabia Saudita, a Taif, e di un documento su un accordo nazionale tra Libanesi da preparare a Taif. L’emissario della Lega Araba venne in Libano a tranquillizzare il generale Aoun, assicurandogli che l’accordo era modificabile attraverso le trattative. Prima di partire per Taif, i deputati si ritrovarono col generale Aoun. E il generale Aoun disse loro di non firmare nulla che non garantisse la sovranità del Paese.

Una volta arrivati in Arabia Saudita, il Ministro degli affari esteri saudita dichiarò tassativamente che il testo degli accordi era da considerarsi immutabile. I deputati libanesi vennero chiusi a Taif, isolati per una ventina di giorni. Subirono svariate pressioni, secondo la diretta testimonianza di alcuni tra i deputati cristiani. In questo modo i Sauditi riuscirono a togliere completamente di mezzo il problema della sovranità e a ridurre cosi il documento di Taif a un progetto di riforma costituzionale che faceva passare le prerogative del Presidente della Repubblica al Primo Ministro. E’ su questa base che l’America ha impegnato l’Arabia Saudita nella questione.

Tutti si domandano: “Ma l’Arabia Saudita aveva detto, che era la Siria la causa del problema? Come mai, il mese dopo, quella stessa Arabia Saudita si è impegnata a favore dei Siriani?”. Il prezzo è stato l’islamizzazione della Costituzione libanese, che è un passo verso l’islamizzazione globale. Come contropartita l’Arabia Saudita ha accettato di salvare la faccia della Siria e di pagare tutti i debiti siriani con l’Unione Sovietica.

Il popolo libanese si è espresso all’unanimità contro Taif. A centinaia di migliaia si sono presentati a manifestare di fronte al palazzo presidenziale del generale Aoun.

Secondo gli accordi di Taif, avrebbero dovuto aver luogo immediatamente le elezioni presidenziali. Il generale Aoun fece appello ai deputati perché rientrassero in Libano e non procedessero alle elezioni. Ma i deputati furono trasferiti a Parigi, salvo i pochi che scapparono. Sapendo che ci sarebbero state le elezioni sotto il controllo siriano, il generale Aoun, per impedirle, sciolse, alla vigilia, il Parlamento, secondo le prerogative che gli conferisce la Costituzione libanese. Malgrado questo, i deputati vennero portati con un aereo privato da Parigi alla valle della Bekaa, dove, condotti all’interno di una caserma, dell’esercito siriano elessero un presidente: come se niente fosse, come se il popolo neanche avesse manifestato e come il generale Aoun non fosse il capo di Stato. Sfortunatamente questo avvenne alla presenza di qualche ambasciatore occidentale, tra cui l’ambasciatore americano e quello italiano. Il popolo libanese ha tuttavia continuato a manifestare.

Il nuovo Presidente della Repubblica, eletto in questo modo, venne di lì a poco assassinato in una zona controllata dai servizi segreti siriani. E immediatamente, ancora prima dei suoi funerali, è stato fatto eleggere con le stesse modalità un altro Presidente. Il popolo non cessò di esprimere il proprio dissenso. Fu fatto un sit-in davanti al palazzo presidenziale dei generale Aoun: le famiglie han portato i loro figli, le loro masserizie e si sono stabilite attorno al palazzo. Il nuovo presidente fantoccio ha minacciato di entrare con la forza nel Palazzo, ma il popolo non ha avuto paura, nonostante lo avessero bombardato più volte e ci fossero stati dei feriti. Ed è così che ultimamente, per oltre un mese, trovandosi di fronte a un blocco popolare enorme, il Governo uscito da Taif ha posto un assedio economico totale alle regioni controllate dall’esercito, proibendo il passaggio di vetture, di rifornimenti alimentari e di medicinali. E’ stato affamato il popolo per due settimane. Ma il popolo ha continuato a manifestare in decine e centinaia di migliaia. Per la prima volta nella nostra storia il popolo ha manifestato in modo unanime e così vicino all’esercito libanese. Bisogna capire che dopo 16 anni di guerra noi abbiamo sete di legalità, sete di dignità, ne abbiamo abbastanza di anarchia e di guerre sul nostro territorio. Noi attendavamo con impazienza che l’esercito libanese si prendesse l’incarico della difesa del nostro paese. Bisognava vedere i servizi televisivi che trasmettevano le manifestazioni popolari! I vecchi, le donne, i bambini, tutti a una sola voce: non ce ne importa del cibo, siamo disposti a mangiare anche terra, ma vogliamo la nostra libertà.

Ma il governo uscito da Taif arrivò fino alla fine: con la copertura internazionale, soprattutto con la copertura dell’amministrazione americana, e come regalo per la sua posizione negli avvenimenti dei Golfo, gli Stati Uniti hanno permesso per la prima volta alla Siria di utilizzare l’aviazione nella sua guerra contro il Libano. Così il 13 ottobre scorso, alle 6 di mattina, gli aerei siriani hanno bombardato, con bombe al fosforo, tutta la regione attorno al palazzo presidenziale, mentre era ancora in corso il sit-in della popolazione civile attorno al Palazzo. Sono stati bombardati gli ospedali e le chiese. Il generale Aoun si è recato all’ambasciata francese con l’intento di negoziare il cessate il fuoco, e qui l’ambasciatore francese gli ha detto chiaramente che era finita, che ormai questa volta sarebbero arrivati fino in fondo, perché avevano una copertura internazionale; ha quindi domandato al generale di fermarsi all’ambasciata.

Nel frattempo i Siriani sono entrati con i carri armati nel ridotto cristiano dove in 16 anni non erano mai riusciti a penetrare, introducendo al loro seguito tutte le milizie anticristiane. E voi potete immaginare il resto: le donne e le religiose violentate, le violenze di ogni genere, la distruzione di case. Hanno devastato la tomba di Gemayel e hanno disperso i resti di colui che avevano ucciso: il Presidente martire.

Ed ecco, questa è la pace del Libano oggi!!

La pace delle tombe e dei morti! La pace dell’intolleranza!

Quello che è pericoloso, storicamente pericoloso, non è la questione politica; noi non abbiamo paura per la nostra indipendenza! Noi persevereremo, e un giorno l’avremo! Ci sono i diritti, le istituzioni internazionali, ci sono mille e un modo di resistere. Ma c’è un valore unico al mondo che è in pericolo oggi: la vocazione della Chiesa in Libano, la missione della Chiesa in Libano di rendere gloria alla Santa Trinità in Oriente: il nostro diritto alla differenza rispetto a tutti gli altri paesi Arabi, il nostro diritto in quanto Chiesa di vivere la nostra cultura, di vivere la nostra tradizione, di evangelizzare e di convertire; è questo che attualmente è maggiormente minacciato. Di questo noi abbiamo paura oggi: tra il pericolo di un regime siriano e il progetto di spartizione israeliano, che congiuntamente si sviluppa, si rischia di perdere la vocazione della Chiesa.

Voi, cristiano-occidentali, conoscete bene la vocazione della Chiesa Cattolica in Libano: il Santo Padre lo ha detto più volte, il Libano è un messaggio, è un laboratorio dove la coesistenza è stata pagata col sangue di migliaia di martiri nella storia. I cristiani, e in particolare i Maroniti, hanno imparato in Libano a perdonare e a resistere nello stesso tempo, a subire il martirio e ad amare, ad essere distrutti ma a ricominciare la ricostruzione.

Noi siamo una possibilità non solo per la Chiesa, ma soprattutto per i Musulmani. In Libano i Musulmani hanno imparato che c’è l’altro da ascoltare. Negli altri paesi arabi ascoltano solo loro stessi perché tutte le altre voci sono soffocate. Solo in Libano c’è una voce araba ma che parla un altro linguaggio.

Quando la guerra è scoppiata nel 1975, si è creduto che la coesistenza non fosse riuscita, ma il disegno del Signore continua indipendentemente dalle valutazioni umane. Quello che noi avevamo seminato attraverso la storia, tutto il sangue dei nostri martiri ha cominciato a fiorire. Il segno, col generale Aoun l’anno scorso, è diventato chiaro: nell’esercito regolare libanese Cristiani e Musulmani stavano morendo insieme per lo stesso paese; appartenenti a gruppi confessionali diversi morivano insieme. Quel patto nazionale stipulato tra i capi nel 1943, ha avuto il suo battesimo l’anno scorso, durante l’esperienza vissuta in quel periodo. Quando si arriva a morire insieme per la medesima causa, questo significa che il Libano è riuscito a diventare un denominatore comune per due comunità diverse. Per questo è stata accelerata l’attuazione del complotto; per questo si doveva fare in fretta ad eliminare i legami tra l’esercito e il governo libanese e a gettare in mare tutte le aspirazioni del popolo libanese, facendo passare davanti a tutto gli interessi delle grandi nazioni.

Ancora una volta è stata la legge del più forte. Ancora una volta il consenso attorno agli interessi internazionali ha vinto. Ancora una volta noi siamo sulla croce. Ma questa volta non c’è nessuno, solo Maria e Giovanni, solo i fedeli della Chiesa. Il Vangelo ci ha insegnato una cosa molto importante: quando tutte le porte sono chiuse, il Signore entra. Quale comunità cristiana in Libano, che ha vissuto la persecuzione durante i secoli, noi crediamo profondamente a nostro Signore in quanto Signore della Storia, alla regalità di nostro Signore Gesù Cristo. Ed io ritengo che questo è stato anche un fattore fondamentale per la riuscita della coesistenza in Libano. Noi non siamo andati davanti ai Musulmani senza la nostra legge, senza la nostra identità; noi siamo andati con lo Spirito Santo. Noi abbiamo voluto fare un incontro, ma nel rispetto e nella giustizia: e penso sia una cosa unica!

Noi siamo un soggetto concreto per la vostra coscienza cristiana e voi siete i nostri fratelli più grandi che devono venire ad aiutarci. Vi posso dire un’ultima cosa: né la Siria, né l’America, né Israele possono salvare il Libano. Solo una nuova coscienza internazionale specialmente europea può fare qualcosa; insieme al servizio della Chiesa Cattolica per la gloria della Santa Trinità: in Oriente, in Occidente, in tutto il mondo. Io vi ringrazio dal cuore della Vergine Maria.

NOTA: testo, non rivisto dall’Autore, della conferenza tenuta a Brescia il 13.11.1991 su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura